Il sofà delle muse

25 aprile, dalla parte dei "vinti"

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verbenasapiens
view post Posted on 24/4/2006, 19:25




«SCONOSCIUTO 1945», NUOVO ROMANZO
DI GIAMPAOLO PANSA
Il silenzio dei vinti sul calvario del mite ciabattino
Aveva cucito scarponi per i brigatisti neri
Perciò venne pestato, cinghiato, frustato

di Giampaolo Pansa

Dal capitolo «Il calzolaio» di Sconosciuto 1945 pubblichiamo la storia di un ciabattino di Tortona che accettò di lavorare per la Brigata nera, e per questo è bersaglio, dopo il 25 aprile, della vendetta partigiana

Non posso dimenticare il giorno in cui mia madre, piangendo, mi disse per la prima volta di suo padre, il mio nonno materno, V.M. E mi narrò la storia che adesso racconterò a lei [...].
Il 25 aprile 1945, mio nonno si trovava in Val Curone con un reparto della Brigata nera. Erano dei militi già demoralizzati, per la cattura del comandante Celeste Gianelli e di molti camerati, avvenuta a Garbagna poco più di un mese prima. Ci fu un fuggi fuggi generale. Anche mio nonno gettò la divisa. Dei contadini di Brignano Frascata gli diedero un abito da civile. E, così vestito, lui tornò a Tortona e si nascose in casa.

Come tanti altri nella sua situazione V. pensava di salvarsi. In fondo aveva fatto il milite calzolaio, non aveva mai sparato un colpo di fucile né picchiato nessuno, neppure durante le poche operazioni alle quali aveva dovuto partecipare. Ma qualcuno gli fece una spiata. E presto i partigiani di Castelnuovo bussarono alla sua porta.
In casa c’erano soltanto mia nonna e le due figlie. Furono costrette ad assistere impotenti a una perquisizione violenta dell’alloggio. Non avendo trovato V., i partigiani andarono a cercarlo nelle strade di Tortona. E lo incontrarono di fronte al municipio, dove V. si era recato per avere non so quale documento. Troppa imprudenza? Certo, davvero troppa per un milite della Brigata nera.

Ma immagino che, nelle sue ricerche per «Il sangue dei vinti», lei si sarà trovato di fronte a un’infinità di casi del genere: quelli di tanta gente presa e uccisa per aver continuato a muoversi in quei frangenti terribili come se niente potesse accadergli. Quando invece la voglia di vendicarsi poteva spazzare via anche le ultime ruote del carro, quelli che non avevano compiuto né violenze né crimini di guerra.

V. venne messo sopra un camion e portato a Castelnuovo. Qui i partigiani lo rinchiusero nella caserma dei carabinieri, vicino alla piazza. Per mio nonno cominciò una prigionia terribile. Gliene fecero di ogni colore. Venne pestato, cinghiato, frustato, tormentato in tutti i modi. Spesso, da un balcone posto al secondo piano, lo esponevano alla folla, che di sotto lo ingiuriava.

Una volta alla settimana, mia nonna e mia madre andavano a trovarlo, arrivando in bicicletta a Tortona. La mamma, che allora aveva 19 anni, restava fuori dalla caserma. La nonna entrava nell’edificio e, poco dopo, ne usciva terrorizzata per le condizioni in cui aveva trovato il marito.

Il calvario di V. durò un mese. Nell’ultimo incontro, aveva la faccia devastata dalle botte. Disse a mia nonna: «Abbi cura della piccola», intendendo la figlia minore. Forse si era reso conto che stava per arrivare il momento in cui l’avrebbero ammazzato.

Alla fine del maggio 1945, la moglie e la figlia, ritornate a Castelnuovo Scrivia per vederlo, non lo trovarono più. Allora domandarono a un comandante partigiano delle Garibaldi che fine avesse fatto il loro uomo. Ma lui si rifiutò di dirglielo. Non poteva non saperlo, però tenne la bocca chiusa. E quando in seguito ritornarono a chiederglielo, più di una volta, la risposta fu sempre un silenzio infastidito.
E’ possibile che V. sia morto in quella caserma per le percosse quotidiane. Però sono propenso a credere che sia stato soppresso in qualche luogo solitario, attorno a Castelnuovo Scrivia. Le mie sono soltanto congetture, perché ancora adesso non sappiamo dove e come sia stato giustiziato. Senza nessun processo, naturalmente. E condannando la sua famiglia a una pena senza fine: quella di non avere neppure un corpo da seppellire e da piangere.

Molti anni dopo, per attenuare il dolore di mia madre, ho acquistato un loculo nel cimitero di Tortona. E ci ho messo una lapide con la foto di V. e le date d’inizio e di fine della sua vita: 1900-1945. Ma quella tomba è vuota.

Penso che sia questo l’aspetto più barbaro della resa dei conti imposta ai fascisti sconfitti. Negare ai parenti la possibilità di rintracciare i resti dei loro morti è la crudeltà più dura da accettare. Anche da chi, cresciuto dopo, nell’Italia tornata alla libertà, si rende conto del clima di odio e di violenza cieca che imperava dopo la fine della guerra. E ne comprende le ragioni storiche e politiche.

Oggi mia nonna e mia zia non ci sono più. E’ scomparso anche mio padre. Soltanto mia madre è rimasta alle prese con quei ricordi tremendi. Ci sono cuori che sanguinano ancora. La crudeltà di troppa gente, in quei momenti, ha portato a negare a chi è sopravvissuto il ricordo delle persone care. Al di là dei bombardamenti, delle invasioni, delle privazioni, è questa la prova del male assoluto che la guerra porta con sé.

E qui voglio dirle un’ultima cosa. Entrambi i miei genitori, e io stesso, siamo sempre stati di sinistra. Intendendo per sinistra quel pensiero volto all’affrancamento dei poveri dalla miseria, alla piena realizzazione umana di tutti, in base alle proprie capacità, alla pace come condizione per un mondo migliore.
Sono certo che lei mi capisce, perché credo che siamo fatti della stessa pasta. E la ringrazio per avermi aiutato a non far dimenticare la storia di un semplice calzolaio, travolto da una guerra crudele. Molto più crudele e più grande di lui.

Come eravamo nei giorni aspri
Il nuovo libro di Giampaolo Pansa, Sconosciuto 1945 (Sperling&Kupfer), raccoglie lettere e ricordi di persone che hanno avuto parenti o amici vittime di vendette dopo il 25 aprile. Nel libro appare un interlocutore immaginario, l’avvocato Alberti, che è un parto di fantasia.
Pansa ha all’attivo una ventina di titoli. Fra i romanzi ricordiamo Ma l’amore no, Siamo stati così felici, I nostri giorni proibiti, La bambina dalle mani sporche, Il sangue dei vinti.
da
lastampa
 
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verbenasapiens
view post Posted on 24/4/2006, 22:06




Per non dimenticare quello che al di là di certe celebrazioni, è successo in Italia.Ricordare significa pure avere chiaro il quadro della situazione, solo così certi orrori magari non si ripeteranno
Verbena
ps: invito a leggere anche questo link
http://www.cronologia.it/storia/a1945u.htm
Strage di Porzus 1945:partigiani comunisti fucilano una formazione della brigata Osoppo, costituita da partigiani cattolici, azionisti e indipendenti.Perchè?
Non conoscevo l'esistenza di questi fatti, ringrazio bolinarossa per averne parlato per tempo e non solo ora.La memoria storica di certi fatti non deve essere mai perduta, specie se certi tragici eventi non sono noti ai più, nascosti come sono per la loro inspegabile assurdità.La memoria non significa rancore che deve sfociare in vendetta e divisioni, la memoria significa rispettare e riconoscere la verità vera, non quella roboante e tronitruante di tante celebrazioni a senso unico di chi non si sa perchè si ritiene di gran lunga migliore di altri.Una vera riconciliazione in Italia passa proprio dal ricordo di certi fatti.


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petrus33
view post Posted on 25/4/2006, 19:31




Macché partigiani e comunisti Vi abbiamo liberato noi inglesi
L' Italia rincoglionita, l'Italia dei coglioni e dei " pacifisti", l'Italia del ponte a tempo indeterminato, si prepara ad autocongratularsi oggi per la Liberazione del Paese sia da Silvio Il Magnifico che da Hitler Il Malefico. Io, invece, sono andato ieri al cimitero dei soldati dell'Ottava Armata britannica a Forlì per salutare quelli che hanno veramente liberato l'Italia nel 1945. E sono sicuro che se fossero vivi oggi quei ragazzi sarebbero pronti a dare una mano al Magnifico per liberare il Paese, questa volta da Prodinotti & Co. Piango sempre quando vado a quel cimitero. I morti non mentono. Ti fanno capire che vuol dire la guerra. Chi c'era, per esempio, e chi non c'era. Solo a Forlì, in due cimiteri, ci sono i resti mortali di 1.500 soldati inglesi e del Commonwealth. Solo a Forlì, For Gods Sake ! Ragazzi! Vi saluto! Piango, però, non solo per quei miei compaesani. Piango anche per come è stata ribaltata la storia di quegli anni qui in Italia. Non c'è bisogno di una " deberlusconizzazione" dell'Italia come vuole la sinistra, ma il contrario. Si potrebbe iniziare il progetto con la sua " departigianizzazione". Qui, la verità è semplicissima: 1) i partigiani erano totalmente irrilevanti dal punto di vista militare; 2) i partigiani comunisti ( la parte dominante) lottavano non per la libertà, la democrazia e l'Italia, ma per la dittatura, il comunismo e l'Unione Sovietica. Perciò quello che la sinistra italiana combinerà così rumorosamente oggi ( come ogni 25 aprile) è una vergogna. Scenderanno in piazza per vantarsi ancora, questi " pacifisti", di aver liberato l'Italia dal " nazifascismo" ( falso) e di aver fondato la democrazia ( falso). Gli alleati hanno liberato l'Italia, loro no, e la democrazia fu fondata qui malgrado loro, non grazie a loro. Anzi. Ma in ogni caso non fa ridere questo spettacolo ogni 25 aprile di un'armata di " pacifisti" che si auto- identificano con una vittoria militare? Va beh, lasciamo stare il loro " pacifismo" di oggi. Parliamo invece del loro eroismo di ieri. Chiedo loro: ma dove giacciono i resti mortali dei " vostri" ragazzi? C'è qualche vostro cimitero di guerra in giro per caso? Non mi riferisco a civili uccisi per rappresaglie naziste, ma a partigiani caduti sul campo di battaglia. E come fate a identificarvi con le forze del bene quando, a guerra finita, i " vostri" hanno ammazzato a sangue freddo un minimo di 20.000 civili nel Nord Italia, principalmente non perché " fascisti" ma perché " nemici di classe"? Ditemi, please , che c'entra la libertà con lo sterminio in Istria di 15.000 italiani, i cosiddetti infoibati, ammazzati dai " vostri", cioè i partigiani di Tito, a sangue freddo, semplicemente perché " nemici di classe italiani"? Insomma, i " vostri" sono stati peggio addirittura dei nazisti che hanno ammazzato nelle loro rappresaglie qui in Italia " solo" 15.000 civili italiani fra il 1943 e 1945. Vado a quel cimitero a Forlì anche per leggere il libro della memoria. I visitatori sono pochi, il cimitero lontano da casa. Quelli che ci vanno, al contrario di quelli che manifesteranno in piazza martedì, vanno in silenzio, privatamente, senza gran cassa e trombone. Non ho mai visto nessuno lì. So che ci vanno solo perché lasciano dei messaggi in quel libro. Ma lì sì che c'è la verità. Per esempio quello che ha scritto il 9 aprile di quest'anno un certo Nicola di Forlì: « Grazie per averci salvati, vi vogliamo bene » . E ci vado a quel cimitero anche per motivi personali. Per ringraziare Private W. J. Blake, del Durham Light Infantry, ucciso il 15 dicembre del 1944. Nell'estate del 1999, arrivato in Italia da poco, mi sono innamorato di una graziosa ragazza romagnola ( ora madre di miei due figli, Caterina e Francesco Winston). Una sera, per suggellare il romance sentivo un impulso urgentissimo di regalarle una rosa rossa. Avevo il forte presentimento che se non l'avessi fatto l'avrei persa per sempre. Mi bastava una rosa sola. Ma i fioristi erano tutti chiusi. Che fare? Ho deciso di trovare la soluzione al cimitero degli inglesi. E lì, accanto alla bianca pietra rettangolare sopra i resti del Private Blake, c'era un cespuglio strapieno di rose rosse come il sangue. Perfetto! Certo, mi sono chiesto: ma si può rubare una rosa da un morto? Senza fargli un dispetto? Poi mi sono anche chiesto: ma porta sfiga una rosa che viene da un cespuglio le cui radici si mischiano con le ossa di un soldato inglese defunto? Ho deciso di no. Anzi. In una situazione di questo genere, cioè nel nome dell'amore, sono convinto che per forza si deve rubare una rosa da un morto. Anche se inglese. Innanzitutto, non si tratta di un mazzo di rose, ma di un cespuglio che non si lamenterebbe mai della perdita di una dei suoi bellissimi fiori. Secondo, sono sicuro che senza alcun dubbio Private Blake sarebbe felicissimo di sapere che ha giocato un ruolo non da poco in una storia d'amore fra un inglese ( anche se un tal soggetto) e un'italiana. Non è anche per questo che lui e gli altri ragazzi dell'Ottava Armata sono venuti a liberare l'Italia nel ' 44- 45? Ho lasciato il cimitero. Commosso. E poi, ho notato il cartello sul quale c'era scritto il nome della strada che vi porta: Via del Partigiano. E mi sono incazzato di nuovo. Adoro l'Italia. Adoro la primavera italiana. Il canto magico degli usignoli, per esempio, nel bosco dietro casa. Ma odio le bugie. E odio quindi il 25 aprile.
Nicholas Farrell-Libero
Già e se si odiano le BUGIE si diventa automaticamente per certi cervelloni di sinistra nazi-fascisti. Che tristezza l'Italia é un paese così bello, ma tanta troppa feccia ne calpesta il suolo.
Orpheus



leggere anche qui
http://phastidio.net/2006/04/25/liberi-dallodio-2/
 
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