Il sofà delle muse

Il caso Bologna

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*PalladeAthena
view post Posted on 23/4/2006, 19:11




Con un esempio da manuale di pedagogia politica a rovescio, a Bologna i settori più radicali della sinistra hanno dimostrato quello che «non» si deve e «non» si può fare nei rapporti tra politica e magistratura. Per anni hanno contestato a Berlusconi la sua sistematica delegittimazione dei giudici, ma adesso, alla prima occasione, e a parti invertite, si allarmano per l’«uso politico della giustizia», chiedono l’allontanamento di un magistrato, emettono verdetti non nei tribunali ma nelle aule del Consiglio comunale. Un autogol, e per fortuna che i Ds bolognesi si sono affrettati a sconfessare un’iniziativa che arreca un non lieve danno di immagine alla coalizione che ha appena vinto (di poco) le elezioni.
Naturalmente non è in discussione il diritto di chicchessia di criticare la linea di condotta di un magistrato e agli esponenti bolognesi di Rifondazione e dei Verdi non può essere negata la facoltà di obiettare sulle motivazioni e sui criteri di indagine delle gesta no-global di un giudice (magari omettendo, per un elementare buon gusto prima ancora che per una valutazione politica, di rimproverargli l’amicizia con Marco Biagi). Ma è il tono, gli argomenti adoperati, lo stesso attacco preventivo a un’inchiesta duramente contestata solo perché ad essere colpiti sono gli «amici» o i «compagni» a conferire all’iniziativa dei Verdi e di Rifondazione un sapore di strumentalità che va oltre il mero errore di calcolo politico.
La questione del rapporto tra magistratura e politica è in Italia un tasto troppo delicato per non reclamare prudenza e rigore nelle parole e nei comportamenti. Il corto circuito tra politica e magistratura ha accompagnato la demolizione della Prima Repubblica e sul tema della «politicizzazione» dei giudici si è giocata una partita che ha spaccato l’opinione pubblica. Quando si parla di un’Italia politicamente divisa in due, non si può dimenticare che nel decennio appena trascorso metà degli italiani ha individuato nei giudici gli angeli vendicatori in lotta contro la «delinquenza politica» incarnata dai nemici mentre l’altra metà ha vissuto quelle stesse toghe come persecutori al servizio di una centrale «rossa» intenta a distruggere gli avversari politici. Negli anni del governo Berlusconi si sono formati girotondi attorno ai tribunali, si è fatto ostruzionismo per contrastare leggi indicate come strumenti di vendetta nei confronti della magistratura, si è adottato il motto borrelliano del «resistere, resistere, resistere». E adesso tutto questo viene ribaltato con disinvoltura per fermare le indagini di un magistrato scomodo? Di nuovo le toghe vengono contestate, stavolta da sinistra, perché sospettate di agire secondo un criterio politico?
In una condizione di incertezza politica, in un Paese oramai ritualmente definito come una creatura «spaccata in due», il cronico contenzioso tra politica e magistratura sarà uno dei banchi di prova dell’atmosfera che si respirerà nella legislatura inaugurata con il voto del 9 e 10 aprile. Un ex magistrato accorto come Gerardo D’Ambrosio, appena eletto in Parlamento nelle liste dell’Ulivo, ha invitato la nuova maggioranza a non avvitarsi in una defatigante opera di mera destrutturazione delle leggi sulla giustizia emanate nel quinquennio del governo del Polo. Non sono mancate critiche alle parole di D’Ambrosio. Ma almeno in quelle parole si avvertiva l’esigenza di non riaprire fratture che intossicano da anni il clima politico italiano. La sortita della sinistra radicale bolognese va invece nella direzione opposta e offre una formidabile arma a chi avanza sospetti di strumentalità sulle battaglie della sinistra a favore dei giudici in guerra con Berlusconi. Una marcia indietro non sarebbe umiliante, ma solo la doverosa correzione di un passo decisamente falso.
di Pierluigi Battista
da Corriere della Sera
 
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