Il sofà delle muse

Il fascino oscuro del «boss etico»

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*Ishtar*
view post Posted on 16/4/2006, 10:04




Nella sua intervista al Corriere, il procuratore antimafia Piero Grasso ha evocato con crudo disincanto il richiamo simbolico potentemente insidioso dell'«etica mafiosa» incarnata da Bernardo Provenzano. Quel boss catturato nel contesto di una vita povera ed essenziale (la cicoria e i formaggi, il giaciglio senza lenzuola, l'ascetica solitudine del «pastore del gregge», il casolare spoglio) rischia di emanare, secondo Grasso, il fascino primitivo e arcaico del Capo inaccessibile che esercita il proprio immenso e cruento potere lontano dallo sfarzo e dagli emblemi effimeri della ricchezza. Un potere misterioso e sovraccarico di una morale del sacrificio: cosa di più terribilmente seducente per conferire all'universo dell'AntiStato una maestà attraente e allusiva?
Siciliano come lo sono stati due eroi della battaglia contro Cosa Nostra, Falcone e Borsellino, il procuratore Grasso penetra con perspicacia l'enigma culturale che si annida nelle simbologie mafiose. E indica un micidiale pericolo di cui, spiega nella sua veste di investigatore d'esperienza, sarebbe stolto non tener conto.
Il Provenzano colto accanto al suo ovile e che affida alla manualità pre-tecnologica il segno del proprio comando incondizionato racchiude una smentita dello stereotipo che, sulla scorta dei modelli suggeriti dalla fiction soprattutto non italiana, ha fissato negli ultimi decenni l'immagine del gangster mafioso. Un mafioso più simile alla ferocia smodatamente opulenta e intimamente corrotta dell'Al Pacino di «Scarface» che al riserbo sobrio e autorevole, e perciò ancor più terrorizzante, del «Padrino» di Mario Puzo poi cinematograficamente immortalato da Marlon Brando. Un mafioso carico di oro, dedito alle mollezze di una ricchezza sfacciata, vulnerabile ai richiami della cocaina compulsivamente aspirata, delle pupe facili, delle ville faraoniche, dei patrimoni sperperati al casinò, delle catene e degli orologi costati cifre fantastiche ed esibiti come monumenti di una dissipazione che è l'altra faccia della violenza efferata e persino eccessiva nella sua gratuità. Un mafioso schiavo del consumo vistoso che incute panico ma che non sa trasmettere ai seguaci e ai sudditi l'arcano del potere e la forza impalpabile di un'autorità.
Provenzano, sostiene Grasso, è il contrario dell'appiattimento in stile
pulp della mafiosità. In lui, e nella sua domesticità disadorna e priva d'ogni concessione alla mondanità, si rivela non solo la quintessenza dell'antropologia mafiosa, ma il segno di un comando tanto più imperioso quanto più animato da una simbologia, e dunque da un'«etica», autosacrificale. Il potere emancipato da ogni schiavitù del superfluo e perciò investito di una sua, pur pervertita, sacralità, non disgiunta, dice ancora Grasso, da una «generosità» indirizzata all'organizzazione criminale: una scelta redistributiva che è anche il simbolo tangibile di un potere tutelare sugli adepti della Cosa mafiosa. Un modello di ascesi ancor più pericoloso perché non privo di una sua sinistra fascinazione. L'etica mafiosa della cicoria, l'ultimo santuario criminale che lo Stato deve espugnare.
di Pierluigi Battista
da
corriere,it
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Editori.../battista.shtml
Ho letto l'intervista di Grasso che mi ha dato da pensare.Provenzano fa parte della vecchia mafia, mi è proprio sembrato di vedere in lui,tramite le parole di questo valoroso amgistrato, Don Corleone di Marlon Brando, una sorta di patriarca infessibile per quando riguardava il fattore "affari" ma con strette regole "etiche" che hanno fatto la forza vera della vecchia mafia dato che ribadivano il concetto che il mafioso è "un uomo di rispetto" e che a sua volta rispetta valori come la famiglia, l'amicizia,la lealtà.Non è così ovvio, non è certamente così per i nuovi mafiosi che sono dei tamarri arricchiti strafatti, con il gusto di mettere in mostra la loro arrogante e sporca ricchezza.A tale proposito mi è venuto in mente il film di Scorsese dai titolo "Quei bravi ragazzi" in cui si vede il vero volto della mafia, la sua corruzione, il suo far vedere di rispettare le apparenze ( famiglia "sacra", amicizia e lealtà sopra ogni cosa) mentre la sostanza era l'opposto( amanti titolari del ruolo, tradimenti del boss per interesse, omicidi gratuti) , film nettamente diverso dall'agiografica saga del Padrino di Coppola in cui è descritta la mafia rurale che traeva soldi da prostutuzione, appalti, alcool, con le sue regole precise cui man mano si è sostituita la mafia "moderna", quella del traffico della droga che non ha valori in assoluto.E' questa mafia che può essere sconfitta davvero, non quella che si sostituiva allo stato nel fare giustizia, mettere ordine, incutere rispetto, sanare ( si fa per dire)certe "ingiustizie".
Provenzano non è Don Vito Corleone, il suo nascondersi in quel modo era solo un tentativo di rendersi invisibile e di ottenere rispetto dai suoi soldati, non invidia.A ben vedere mi ricorda un poco le condizioni di Saddam Hussein quando fu trovato in una buca da quelli che gli davano la caccia, ridotto ai minimi termini per non essere scoperto o venduto a caro prezzo.Nessuna pietà per Saddam e nessuna pietà o considerazione per Provenzano: sono delinquenti veri che hanno tantissimi morti sulla coscienza, basta evidenziare certi fatti e certamente la gente non potrà nutrire alcuna ammirazione per questi mostri.In più Provenzano comunicava con bigliettini per ovvi motivi di riservatezza, dato che qualsieasi altro mezzo lo avrebbe tradito.Altro che "L'etica mafiosa della cicoria, l'ultimo santuario criminale che lo Stato deve espugnare", trattasi , credo, dell'ultimo vero mafioso,figlio di una certa cultura e di una certa società patriarcale che non esistono più
Verbena
 
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