Il sofà delle muse

Giovanni Paolo II: quale eredità

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verbenasapiens
view post Posted on 2/4/2006, 16:28




Un anno senza papa Wojtyla. Il cardinale Glemp invita a ricordare non solo la persona, ma anche il suo messaggio. Un'indicazione utile per superare il clamore e la retorica di chi vuole fare di un santo un santino.
Il mondo ricorda Giovanni Paolo II. Esattamente un anno fa, il 31 marzo, papa Wojtyla cominciava ad aggravarsi, senza lasciare più speranze di miglioramento. Un’agonia che commosse tutti, credenti e non, consapevoli che con papa Wojtyla se ne andava un protagonista del ‘900 e un testimone della fede credibile e autentico. Dopo dodici mesi, rimane una grande eredità, fatta di scritti, immagini, ricordi, ma soprattutto di esempi: nel vivere in profondità, nel soffrire, nello sperare, nell’accettare la morte come un nuovo inizio. Ma Giovanni Paolo II ha lasciato dietro di sé anche un carico di emozioni sorprendente: sentimenti che nei giorni di aprile del 2005 fecero riversare a Roma milioni di persone, disposte ad affrontare code di 12-13 ore, pur di portare l’ultimo saluto al loro papa. La Chiesa non può dimenticare.
Eppure è interessante confrontarsi sulla natura di questa eredità, sul modo in cui è stata gestita in questi mesi, sui rischi da evitare, specie in futuro quando il 2 aprile del 2005 per forza di cose si allontanerà. Scrive il cardinale Jozef Glemp su Famiglia Cristiana: “Un anno dopo continuiamo a guardare al papa Giovani Paolo II, all'uomo, raccogliamo le sue fotografie, inauguriamo monumenti. E il suo insegnamento sulla vita, sulla famiglia, sulla pace, sul perdono, sul dialogo, sul coraggio della fede? C'è una differenza tra leggere il Vangelo e praticare il Vangelo. Oggi si tende ancora ad analizzare il personaggio Wojtyla, ma osservo che troppo poco ci si occupa del messaggio di Wojtyla”.
Una riflessione provocatoria forse, che tuttavia centra bene il nocciolo della questione. Perché ricordare il papa è doveroso e naturale, altra cosa trasformarlo nell’oggetto inconsapevole di operazioni commerciali, di descrizioni enfatiche e trionfalistiche, di scelte comunicative che fanno venire in mente i santini più che i santi. Di Giovanni Paolo II ormai si può dire tutto, attribuendogli virgolettati e dichiarazioni, descrivendone in modo puntuale e circostanziato gli ultimi istanti di vita (cartella clinica compresa), rimarcando in continuazione (con una tempistica perfetta) le sue innumerevoli “gesta”. Un papa decantato perchè guarisce cristiani e fedeli di altre religioni, un papa eroe che è morto forse più di tutti gli altri anziani nelle sue stesse condizioni, un papa sempre al centro della chiacchiera di chi si sente in dovere di precisare e argomentare, esprimendo pareri sul coefficiente della sua santità, sulla bontà di un miracolo piuttosto che di un altro, sui tempi del processo di beatificazione che, a sentire alcuni, sarebbe quasi un esercizio superfluo.
In tutto questo, la grande figura di Giovanni Paolo II rischia di essere idealizzata, in contrasto con il senso stesso della santità, che i cristiani sono chiamati a vivere nella semplicità della vita quotidiana. La testimonianza che il papa ha dato in ogni momento, anche in privato, come racconta chi lo conosceva. Dovrebbe essere questo lo stile del ricordo, per far sì che Giovanni Paolo II continui ad essere alla portata anche delle generazioni che non lo hanno conosciuto e non un personaggio quasi irreale posto su un piedistallo. Un obiettivo realizzabile, facendo più silenzio ed equilibrando i toni, ma soprattutto non dimenticando il suo messaggio: quello di un uomo mite che per tutta la vita non ha mai messo in mostra se stesso. “Era come un indice puntato verso Cristo”, ama ripetere mons. Renato Boccardo. Forse di fronte al clamore di questi giorni (alimentato anche dalle persone a lui vicine), il papa sorriderebbe e guarderebbe in alto, per invitare a fare altrettanto.
Da www.korazym.org
 
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