Il sofà delle muse

E parliamo di aborto, senza fare discorsi talebani..

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verbenasapiens
view post Posted on 1/7/2005, 20:12




invito laico a parlare d’aborto
Ci scrive il direttore scientifico della Fondazione Einaudi. “Non lasciamo i cattolici monopolisti di dubbi e perplessità che una visione laica della vita non può fare a meno di nutrire”. Domani le repliche
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Pubblichiamo la lettera sul problema dell’aborto che ci ha inviato Giovanni Orsina, direttore scientifico della Fondazione Einaudi. Sul Foglio di domani la risposta dell’Elefantino e una pagina con le reazioni di sei donne (Claudia Mancina, Claudia Navarini, Eugenia Roccella, Bia Sarasini, Roberta Tatafiore e Marina Terragni).

Al direttore - In un mondo che muta rapidamente e ha fatto del progresso il suo totem, essere conservatori è impossibile. Per la semplice ragione che, nel divenire in apparenza inarrestabile delle cose, sono i progressisti che si danno alla conservazione, e ai conservatori non resta che reinventarsi reazionari – o rivoluzionari. Nel nostro paese il progressismo conservatore si rivela spesso nella figura retorica dell’“intangibilità”, ingranaggio di un marchingegno ideologico che mira a santificare l’esistente circondandolo opportunamente di tabù. Imperatrice d’ogni intangibilità è ovviamente la Costituzione repubblicana, protetta dalla fitta schiera pretoriana dei tabù resistenziali. E duchessa per lo meno d’intangibilità è apparsa sovente, da ultimo durante il dibattito referendario, la legge 194 del 1978, che com’è noto regola l’interruzione volontaria di gravidanza – detta anche, in piana lingua italiana, aborto.
Ora, tacitare in via preventiva una discussione è operazione sporchetta, poiché serve a vincere le battaglie senza combatterle (vogliamo dire: almeno altrettanto scorretta quanto astenersi a un referendum?), assai illiberale, e non poco dannosa al paese, costretto all’afasia nel momento esatto in cui avrebbe più bisogno di parlare. In particolare poi, quando lo si applica alla legge 194, il meccanismo dell’intangibilità nuoce ai laici, lasciando i cattolici monopolisti di dubbi e perplessità che una seria visione laica della vita non può fare a meno di nutrire. E soprattutto, per salvaguardarne la disciplina giuridica impedisce pure che dell’aborto si ragioni in termini etici, dando implicitamente per scontato che ciò che è lecito sia pure giusto – un’equazione discutibile sempre, e in questo caso discutibilissima.
Invece, quanto meno sul terreno morale se non su quello giuridico, a me pare che il problema dell’aborto i laici e liberali dovrebbero proprio porselo.
Spero davvero che sia soltanto una mia sensazione di osservatore non sistematico né sofisticato, ma più mi guardo intorno e più mi pare che la banalità dell’aborto sia diventata nel paese convinzione diffusa. Mi pare insomma che anche sul piano etico, come su quello giuridico, interrompere la gravidanza sia ormai comunemente considerato un’operazione che si risolve interamente, senza alcun residuo, nella sfera individuale della donna – e che quindi, nonché vietata, non vada neppure discussa. E perché mai dovrebbe essere discussa, del resto? Se l’aborto è un diritto assoluto, una “conquista di civiltà”, verrà allora fin troppo naturale credere che davvero non vi sia alcuna obiezione morale da sollevare – che, appunto, poiché è lecito sia anche giusto.
Per parte mia continuo però a pensare che sia ben triste l’epoca che dell’umanità del feto non si pone neppure il problema – soprattutto se è un’epoca che si pretende individualista e liberale. Continuo a pensare che non di diritti della donna si debba parlare, ma di un conflitto drammatico fra i diritti della donna e del nascituro. Un conflitto che in termini giuridici può, di misura, essere risolto contro questo e a favore di quella, ma che sul terreno etico deve continuare a pesare intollerabilmente sulla coscienza della nostra civiltà. Perché lungi dall’esserne una conquista, della nostra civiltà, l’aborto ne è al contrario una lacerazione profonda, tanto più grave poiché va a colpirne – o quanto meno metterne in dubbio – il dogma minimo: l’unicità e dignità di ciascun individuo.

Se a essere abortito è il feto malato
Ne colpisce il dogma minimo anche (soprattutto) se a essere abortito è un feto malato. Ma qui è bene intendersi, perché il gioco si fa pericoloso. Crescere un bambino difficile, direttore, è un’ordalia. La tenerezza che sempre si prova per un figlio si acuisce fino al parossismo – fino a diventare insopportabile, fino a fare male. La fatica enorme che sempre costa accudire ed educare si gonfia al punto da trasformarsi in annichilimento. Nessuno può essere costretto a patire questa condanna se, troppo umanamente, se ne ritrae inorridito.
E però. Però mi pare che il ripiegamento della sensibilità morale di fronte all’avanzare del diritto all’aborto, quando si tratta dell’aborto cosiddetto (siamo ben oltre l’eufemismo) terapeutico si sia trasformato in una disfatta. Una disfatta che diviene ancora più grave nel momento in cui per giustificare l’aborto “terapeutico” viene chiamato in causa il presunto “bene” del feto sventurato, ricorrendo a un’argomentazione che in casi estremi non può certo essere ignorata, ma che in linea generale mostra un po’ troppo la faccia d’una mistificazione etica. A questo siamo arrivati, nella nostra presunzione illiberale: dall’imperfezione deduciamo l’infelicità necessaria; e avendola dedotta ci arroghiamo la facoltà di liberare l’infelice del suo dolore. Con buona pace dell’unicità e dignità di ciascun individuo – del suo diritto a giocarsi la sua partita, del suo diritto a provare almeno ad arrivare al punto in cui potrà decidere per se stesso.
Se vivessimo in una società diversa, per quei neonati che sfuggissero dalle maglie del nostro preveggente altruismo avremmo magari rimesso in auge l’antica, venerabile istituzione della rupe Tarpea. Ma per fortuna non viviamo più nella Roma sanguinaria che segnava le miglia fra Roma e Capua di schiavi crocifissi. No direttore, la meravigliosa civiltà del politicamente corretto disdegna i metodi del nostro passato barbaro (oscurantisti e medioevali, li avrebbero forse detti i sostenitori dei referendum?), e per l’imperfezione che a dispetto del suo perfezionismo si ostina a esistere ha in serbo vie più raffinate. Semplicemente, le toglie la parola. La copre di una crosta di eufemismi tanto spessa da renderla letteralmente ineffabile. Poiché Robespierre e Lenin non sono stati in grado di mantenerci la promessa di un paradiso in terra, i loro figlioli intristiti hanno aperto il tirassegno contro gli angeli zoppi – e a quelli che mancano hanno l’impudenza di dire: “va là, che cammini anche tu”. Emuli del dio che negano, s’illudono di poter creare con la parola.
Tempo fa mi hanno raccontato di una piccola istituzione di volontariato che da “Gruppo assistenza handicappati” s’era ribattezzata “Gruppo handicappati”. “Perché – questa la ragione – siamo tutti un po’ handicappati”. Eh già: tutti storpi, nessuno storpio. Una bella notte in cui ogni vacca è nera. Solo che la mandria umana pascola al sole, le vacche hanno i colori più diversi, e alcune di loro sono più sfortunate della altre. Ed esorcizzare la loro sventura non giova a nessuno: non a loro, che vedono negata in astratto una diversità che in concreto è fin troppo presente e gravosa; non agli altri, cui viene occultata la sofferenza e impedito, affrontandola, di crescere in umanità; tanto meno a una civiltà che non riesce più a pensare, figurarsi metabolizzare, l’intrinseca, ineludibile, irrevocabile imperfezione umana.

La via marxista e i sentieri minori
E’ proprio calcando questo terreno che inciampiamo ancora oggi sui nodi irrisolti del pensiero laico. Da tempo ormai non vogliamo più che l’imperfezione umana ce la risolva iddio. Incapaci però di conviverci, con quell’imperfezione, impossibilitati a redimerla vivendo etsi deus non daretur, abbiamo provato a curarla deo non dato. Ma il marxismo, maestra fra le vie verso la redenzione storica, atea e materialistica, è fallito, smentito da quella storia stessa che pretendeva di conoscere per certo nella sua razionalità. E ci restano ora soltanto i sentieri minori – un ateismo meno superbo, un materialismo più volgare, uno storicismo di più modeste pretese. Sentieri che esigono da chi li percorra silenzio, ubbidienza e conformismo, poiché debbono occultare la loro incapacità di condurre in alcun dove. Sentieri lungo i quali incontriamo il nostro asettico Erode – perché, deo non dato, che motivo avrei mai di rovinarmi la vita per far campare un figlio malato? Deo non dato, non è meglio per tutti che lo si tolga di mezzo, e se ne faccia magari un altro sano?
Quasi un secolo fa, in una delle sue pagine più belle, Max Weber suggeriva a chi non sapesse affrontare “virilmente” il disincantamento del mondo di “tornare in silenzio, senza la consueta conversione pubblicitaria, bensì schiettamente e semplicemente, nelle braccia delle antiche chiese, largamente e misericordiosamente aperte”. Weber parlava di singoli individui, ma a me pare che sia la nostra civiltà a non aver ancora imparato a conviverci, col disincantamento. Finge di saperlo fare, ma non appena può corre a nascondersi, e nella penombra si ricostruisce in fretta e furia una qualche fede rabberciata e surrettizia. Nel progresso, magari. O nella scienza. Fedi posticce, di quelle che soltanto qualche anno dopo le parole di Weber già Eugenio Montale provvedeva a collocare nel posto che compete loro: la pattumiera della storia. “Non vorremmo accettare alcuna mitologia; ma alle nuove che si pretendesse d’imporci preferiremmo decisamente quelle del passato che hanno una giustificazione e una storia. Al furore relativistico e attualistico è ben sicuro che anteporremo lo splendore cattolico. Al desiderio di frontiere troppo vaste, di cieli troppo distanti, porremmo innanzi il confine del nostro paese, la lingua della nostra gente. Troppo lavoro rimane da compiere oggi, perché ci tentino questi salti nel buio”.
Giovanni Orsina
direttore scientifico della Fondazione Einaudi

da il foglio
 
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verbenasapiens
view post Posted on 1/7/2005, 20:19




tanto di cappello..Mi immagino altrove gli angeli dei vari forum, le taccarelle presuntuose, le pasionarie zite puntigliose, et etc etc..cosa direbbero..ma dico io possibile che certi dilemmi non si li pongono? Possibile.???Loro pensano solo ai "diritti acquisiti"..i loro però..Gli altri, i più deboli, non hanno diritto..nessun diritto, meno che mai a nascere

Edited by verbenasapiens - 1/7/2005, 21:53
 
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Rachael
view post Posted on 2/7/2005, 20:33




Molto interessante questo editoriale del Foglio


Una Wittenberg laica
Bioetica, occorrono 95 tesi da affiggere sul portone della Chiesa secolare



La lettera pubblicata ieri nel Foglio a firma del professor Giovanni Orsina (“Invito laico a parlare d’aborto”) non è la riedizione dell’assalto selvaggio e poetico di Pier Paolo Pasolini né una nuova esposizione delle perplessità etiche di un Norberto Bobbio o di un Giuliano Amato a proposito di quella lacerazione della nostra civiltà che è stata il riconoscimento di legalità alla pratica dell’interruzione volontaria della gravidanza, idest la soppressione di un essere umano non desiderato garantita dalla legge e dall’assistenza pubblica. Gli argomenti morali decisivi sono simili, e sempre molto robusti, ma c’è una cruciale differenza: a oltre trent’anni dal varo delle legislazioni pro choice in occidente, emerge che nel governo politico e tecno-scientifico di quelle scelte legislative o giuridiche, il cui cuore di progresso e di liberazione dall’incubo della clandestinità tollerata non è rinnegabile, siamo slittati in una palude di indifferentismo etico con seri rischi eugenetici. Noi laici abbiamo fatto e difeso quelle leggi per contrastare il mercato clandestino degli aborti e – così dicevamo – per arrivare a una maternità e paternità libere e consapevoli. Ma in realtà l’aborto legale è diventato un mezzo di controllo delle nascite e un espediente eugenetico, per di più in una temperie di completa banalizzazione del fenomeno e di totale scissione del rapporto tra vita e libertà, tra modo di vita sociale e dignità dell’individuo e della persona. In un paese ricco e colto come la Francia, dove non esiste alcun impedimento alla contraccezione la più ampia e varia, si praticano duecentomila aborti l’anno, senza variazioni, da quando fu introdotta la legge Veil, e trent’anni dopo è scomparsa una metropoli indesiderata, di sei milioni di abitanti da uno a trent’anni, grande quasi quanto Parigi. Non si sa se Parigi valga una messa, certo quella città fantasma vale l’apertura di una discussione seria e responsabile, non eufemistica e non esorcistica, appunto laica.
Nella sua lettera Orsina distrugge con fredda passione rivoluzionaria o reazionaria (fa lo stesso) alcune mitologie della popolosa setta laicista, neosecolarista e iperconservatrice: che esistano questioni intangibili, che le cose debbano essere nominate con nomi comodi e menzogneri piuttosto che con il loro nome proprio, che ciò che è legale sia anche eticamente accettabile, che l’imperfezione umana sia una malattia curabile sbrigativamente in nome del benessere dei forti e con l’eliminazione dei deboli, che ci sia alcunché di liberale e di laico in questo “ateismo meno superbo”, in questo “materialismo più volgare”, in questo “storicismo di più modeste pretese” che sono i sentieri minori imboccati dalla civilizzazione moderna dopo il tramonto del dio marxista che è fallito.
La sintonia con le posizioni del Foglio, fondate su antiche radici laiche riproposte oggi nell’analisi in prima pagina sulla vera storia del referendum, è assoluta fino all’identità. Bisognerà arrivare a scrivere in lingua protestante le 95 tesi intorno a una vera laicità fondata sull’etica della ragione, e affiggerle sul portone della Chiesa secolarista. Quanto all’aborto, la prima tesi recita: le donne hanno diritto di non abortire clandestinamente. La seconda tesi recita: la società ha il dovere di contrastare l’aborto con ogni mezzo. Quando i pro life accetteranno la prima tesi, e i pro choice la seconda, sarà vinta la più importante guerra culturale della nostra epoca
il foglio
 
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*Ishtar*
view post Posted on 28/12/2005, 19:08




Parliamo di aborto e responsabilità
di Giuliano Ferrara

Ottenuto il diritto di non abortire clandestinamente, abbiamo scordato il dovere di non abortire.
Chiunque sia interessato ad alzare il livello del dibattito pubblico in Italia, a migliorare la condizione delle donne, a mettere argine a una strage silenziosa, a riaffermare seriamente i diritti di un pensiero effettivamente laico accanto a quelli della fede e del pensiero religioso; chiunque sia interessato a una seria iniziativa di solidarietà sociale, e al ripristino di quella strana gioia di vivere che si scopre quando si combattano certi demoni del nostro tempo; chiunque abbia la testa sulle spalle, dunque, dovrebbe mettersi alla ricerca di un leader influente della sinistra, di un guru del pensiero liberale perfettamente a suo agio nell'epoca moderna, di una femmina o di un maschio femminista, di un filosofo o semiologo della scuola che va di moda, quella della leggerezza e dell'evanescenza linguistica nel contatto con la realtà. Una volta trovato il soggetto e accertata la sua idoneità allo scopo, chiunque lo abbia trovato gli proporrà di ragionare sull'aborto e sulla bioetica nel modo seguente, e di farlo in pubblico.
«Cari amici moderni» dirà il Filosofo Re rintracciato dopo ardue ricerche «finiamola di dividere la mentalità corrente, in modo grottesco, tra abortisti e antiabortisti. Finiamola di lottare in difesa dell'aborto libero, di identificare la donna moderna e l'aborto, di costruire con argomenti progressisti e liberali il nostro «viva la muerte!», di legittimare come una conquista l'abbattimento seriale dei feti nel grembo delle madri, con i ferri o con l'ultimo veleno ritrovato. Finiamola di comportarci come il partito dell'emorragia, come il branco barbarico che equipara aborto e parto, che non sa distinguere, capire, entrare nella profondità delle questioni etiche essenziali.

«Ma che lotta è? Che senso ha? Un tempo ci battemmo per sottrarre le donne che abortivano alla condizione ancestrale della clandestinità, pericolosa per la loro salute e insultante per la loro identità, annullata dalla colpa e dal castigo. Stabilimmo, con il consenso della maggioranza, una regola inquietante, abnorme, giustificata soltanto dalla precaria morale del minor danno, del male minore: decidemmo che dare la morte in pancia a un essere che sta per nascere è legalmente possibile, che lo si può fare in strutture pubbliche e a certe condizioni.
Non celebrammo una libertà moderna o un nuovo diritto, piuttosto ci sottomettemmo a una necessità, trovammo una soluzione fragile per una situazione tragica. Fu giusto agire così? È difficile a dirsi, ma soluzioni alternative la vita non ce le ha offerte, la ruota dei conventi era scomparsa, l'idea stessa di colpa e punizione era scomparsa, sicché non rinneghiamo l'idea che l'aborto è un orrore superato soltanto dall'aborto clandestino, solitario, nelle mani della coorte spregiudicata delle mammane e dei profittatori di tutte le risme.

«Però, cari amici moderni, questi tre decenni che ci separano da quel momento tragico della nostra esistenza collettiva sono passati nell'indifferenza, nell'inerzia, tutto è continuato come prima e non ci consolano i dati controversi sulla diminuzione degli aborti in Italia, ampiamente compensati da quelli che invece confermano la tendenza all'aborto burocratico, all'aborto come abitudine anticoncezionale, all'aborto come coazione ideologica sia in Italia sia nel resto del mondo. Scomparsa la ruota, scomparso il ferro da calza, scomparsi colpa e castigo, non è comparsa la gloria o il vanto che dovrebbe essere blasone di un modo laico e moderno di vivere: la libertà di non abortire, la responsabilità di non abortire.

Questo della libertà e della responsabilità è il problema che oggi ci resta, che resta a noi laici, progressisti, a noi che diffidiamo della presenza pubblica della fede, a noi che vogliamo lo Stato e la Chiesa sovrani ciascuno nel proprio ordine. Questa è la nostra scommessa. Nessuno vuole abolire la legge di trent'anni fa. Perfino coloro che la combatterono aspramente si sporcano le mani con la norma che odiano teologicamente, e chiedono di farla funzionare, di attuarla in tutte le sue parti che parlano di tutela della maternità, chiedono di toglierle il sapore di una conferma notarile concepita all'esclusivo scopo di rilasciare un certo numero di certificati d'aborto ogni anno, migliaia, decine di migliaia, centinaia di migliaia e milioni nel corso del tempo.

«Ottenuto il diritto di non abortire clandestinamente, ci siamo scordati il dovere di non abortire. Ci siamo fatti scudo in modo ipocrita, sepolcri imbiancati, della salute della donna, della divinizzazione di una donna abortista che non esiste, per riaffermare un povero potere culturale, tutto maschile, di legittimazione di quel che è giusto, laico, dissacrante, moderno, volitivo, desiderante e potente, a spese di quella cultura della vita che consideriamo umile folclore, paccottiglia chiesastica, bigotteria incompatibile con la bronzea necessità del nuovo che avanza. «Cambiamo registro, cari amici moderni, riconosciamo valore a ciò che ha valore, rimettiamoci al servizio di quelli che hanno da venire, invece di servircene e di scartarli come materiale eccedente». Fatto questo discorso, il Filosofo Re vide che intorno a lui si faceva una certa luce, bella e allegra. La sua gente lo aveva compreso, gli altri gli riconoscevano valore, coraggio, senso della vita. E tutto cambiò.

http://www.panorama.it/opinioni/archivio/a...1-A020001033743
Chiarissimo quello che dice Giuliano eppure in tanti/e fingono di non capirwe e si stracciano le vesti appena credono che sia in pericolo "un diritto" acquisito, che bel "diritto" ammazzare un esserino indifeso...
 
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povera_mè
view post Posted on 29/12/2005, 11:07




Il fatto è che ci sono troppi asini che ragliano a cielo e vogluiono solo avere ragione..un classico .E dire che Ferrara è chiarissimo tongue.gif
 
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4 replies since 1/7/2005, 20:12   66 views
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