Depressione, problemi psicologici: ogni anno in Italia circa 20 bambini vengono uccisi dai genitori. A Castiglione delle Stiviere si cerca di capire perché.di Bianca Stancanelli
Sembrava un giorno di festa. La mamma aveva vestito i suoi bambini, li aveva fatti salire in macchina, aveva guidato verso il lago. Nell'auto i due fratellini non riuscivano a star fermi per la gioia. Una volta arrivati, il più piccolo, che aveva appena imparato a camminare, si è avviato tranquillo verso l'acqua. La mamma lo ha spinto dolcemente fino al punto dove non toccava, poi lo ha lasciato andare. Spaventato, il fratello maggiore ha provato a difendersi, a reagire. Una mano di ferro, la mano della mamma, gli ha inchiodato la testa sotto l'acqua. Fino a quando non si è mosso più.
Una storia tremenda, quanto quella della madre cremonese che lunedì 6 dicembre si è gettata nel vuoto con la sua creatura. La donna responsabile del doppio infanticidio oggi vive sulle colline mantovane, chiusa nell'Ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere, a 5 chilometri dall'incanto del lago di Garda. Unico fra gli opg italiani dotato di un reparto femminile, l'ospedale di Castiglione è il solo che ospiti madri che hanno ucciso i propri figli. A due condizioni: che siano state dichiarate totalmente incapaci di intendere e di volere e giudicate «socialmente pericolose». Racconta Antonino Calogero, 57 anni, psichiatra, dal 1976 al lavoro nell'opg e dal 2003 direttore: «L'ospedale dipende dal ministero della Salute, ma ha una convenzione con il ministero della Giustizia. Su 190 internati, le donne sono 80. Dieci di loro sono figlicide». Nella maggioranza dei casi la diagnosi è: depressione.
Depresse come Rosa Sansone, 39 anni, la donna di Volpiano (Torino) che mercoledì 1° dicembre ha ucciso a coltellate la figlia Nausicaa, 4 anni, e si è poi pugnalata fino a perdere i sensi. In cura da tempo, assistita dai servizi psichiatrici della asl, Rosa Sansone sembrava ai vicini una donna chiusa e triste. Ma nessuno, nemmeno il marito, Giampaolo Sellitto, impiegato nell'ufficio pesi e misure della Camera di commercio di Torino, avrebbe mai sospettato che potesse impugnare un coltello per uccidere sua figlia.
Com'è potuto accadere? A Castiglione delle Stiviere è appena stato avviato un progetto di ricerca: d'accordo con l'università romana La Sapienza, gli esperti dell'ospedale psichiatrico giudiziario stanno tentando di capire se esistono segni premonitori del figlicidio. Chiarisce il direttore Calogero: «Non è sufficiente dire che una donna è depressa. Bisogna indagare la storia familiare, in cui figurano a volte anche madri afflitte da depressione, le relazioni con i familiari, con il partner, gli eventuali conflitti».
Secondo l'Istat, ogni anno circa 20 figli vengono uccisi dai genitori, nella quasi totalità dei casi dalla madre. «Ma solo una su tre finisce in ospedale psichiatrico giudiziario» avverte Giuseppe Gradante, psichiatra e primario dell'area femminile nell'opg di Castiglione. «Le altre vanno in carcere, perché sono considerate sane di mente. Quando una donna uccide i suoi figli, la gente pensa: è un gesto contro natura, che contraddice l'istinto materno. Ma quell'istinto non esiste. C'è un sentimento materno, piuttosto, che non è innato e può essere più o meno accentuato, o non esserci del tutto».
Da quando il delitto di Cogne è esploso nei media con tutto il suo carico di mistero e di angoscia, l'ospedale di Castiglione è sommerso dalle richieste di laureandi che vogliono dedicare la tesi al figlicidio. «Ma ogni storia è un caso a sé» sostiene il primario Gradante. «L'unico elemento comune è che si tratta di donne che soffrono. E sono più vittime che carnefici. Vanno curate, non punite».
C'è Anna, ragazza di buona famiglia che ha avuto un bambino da un uomo più grande di lei, con il quale convive, e che un giorno, senza ragione apparente, apre la finestra del suo appartamento al secondo piano, col piccolo di due anni in braccio, e lo lascia cadere giù.
C'è Maria che, a quarant'anni, con due figlie adolescenti e un maschietto di 3 anni, si convince che il bambino sia malato, arriva a credere che la vita gli riservi un destino di sofferenza e di dolore e, non sapendo come proteggerlo, si ritrova a gettarlo in un canale, affidandolo alla corrente. C'è Angela che ha soffocato suo figlio, 2 anni appena, con un cuscino: voleva punire il marito, così distante, così freddo.
Nel dicembre 2003, quando le internate per figlicidio erano 14, Antonino Calogero ha stilato una rapida statistica. Trentasei anni e mezzo, l'età media delle madri al momento del delitto. Fra i 3 e i 5 anni, l'età delle vittime, maschi e femmine in ugual misura. Donne del Nord, nel 55 per cento dei casi (il 27 per cento provenienti dalla Lombardia). Titolo di studio, in maggioranza, la licenza media, ma in qualche caso il diploma. In nove casi su 14 il marito o il compagno non ha retto: si è allontanato. La famiglia d'origine, al contrario, spesso assicura sostegno, aiuto, comprensione. Accoglie le donne quando, per poche ore o qualche giorno, possono uscire grazie a un permesso dall'ospedale psichiatrico, da queste palazzine bianche con le grate alle finestre e un parco con piscina e laboratori di sartoria, falegnameria, grafica, informatica. Quelle brevi pause fuori dall'ospedale sono la prova generale del ritorno alla vita.
L'internamento in opg dura cinque o dieci anni, secondo le disposizioni della magistratura. Ma se il recupero della salute psichica è più veloce, i tempi possono abbreviarsi. Per tutte il momento più duro arriva quando si rendono conto di ciò che hanno fatto. Racconta Gradante: «Vengono nel mio ufficio, dicono: "Dottore, sto male: mi viene in mente mio figlio". Nessuna riesce a dimenticare, tutte ripetono: se potessi tornare indietro…».
Fra le madri uscite da Castiglione delle Stiviere nessuna ha avuto altri bambini. «Eppure» osserva Calogero «in molte donne che hanno appena ucciso un figlio scatta il desiderio di averne un altro». Nell'atelier di pittura dell'opg Margherita ha dipinto una madre che aspetta un bambino: in un violento color arancio ha rappresentato sulla tela il piccolo tutto chiuso nella pancia della mamma. Quando lo aveva tra le braccia, il suo bambino, Margherita l'ha lasciato cadere nel vuoto, sporgendosi dalla ringhiera del balcone.
Prigioniero nel carcere di Reading, un malinconico Oscar Wilde affidò ai versi di una ballata un pensiero struggente: «Ognuno uccide ciò che ama». Le mamme di Castiglione l'hanno fatto, e non sanno perché.
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