Il sofà delle muse

L’altra Gomorra, la rivolta dei cinesi a Milano

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*PalladeAthena
view post Posted on 15/4/2007, 07:06 by: *PalladeAthena




L'integrazione non è problema di ordine pubblico

L'ideologia della fortuna lancia i fantasmi dello scontro

Eccoli, i segni. Ieri nella Chinatown di Milano, l'altro giorno le prediche violente dell'Imam torinese, tempo fa il muro di Padova, e poi altri, ogni giorno. I segni di cosa? Vogliamo far sempre finta di essere a un bel convegno e chiamarla «mancata integrazione»? O difficoltà di «meticciato»? Chiamiamola piuttosto col suo nome vero. Guerra. Perché di questo sono segno i molti, occulti o manifesti, segni che eccezionalmente o a sciami ci raggiungono da dietro casa o dai giornali e tv. Una guerra che per esplodere più vasta e generale attende solo che i motivi di interesse, di controllo del territorio o di imposizione culturale per cui già ora si accendono questi focolai diventino più grandi, e incontrollabili.
E non si tratta di una guerra o guerriglia tra gli uni e gli altri, tra immigrati e residenti, tra occidentali e arabi. Ma di tutti contro tutti. Come intorno a un osso accadono le zuffe. La colpa è di intellettuali e politici. Prima degli intellettuali, e poi dei politici. La loro ipocrita irresponsabilità ci sta consegnando a un'epoca di scontri. Lo scontro non è una conseguenza inevitabile del venire a contatto tra culture diverse. Certo, la diversità porta sempre una dose di scandalo e difficoltà. Ma lo scontro non è esito inevitabile. Lo diventa, lo sta diventando, quando come è accaduto da noi in questi decenni si è provveduto con ogni mezzo di persuasione e di indottrinamento, con ogni pressione culturale e ogni ipocrisia intellettuale e politica a convincere che la vita è solo questione di fortuna, di successo, di potere. E a spandere come unico criterio di lettura dei fenomeni personali e sociali le peggiori ideologie, che hanno generato sempre scetticismo depressione e violenza.
Ideologie che hanno convinto il nostro popolo italiano che il mondo si divide in buoni e cattivi, in giusti e ingiusti, in amici e nemici del popolo. E che basta agitare qualche slogan "buono" per sentirsi a posto e mettere a posto il mondo. Decenni in cui i maestri più a cclamati nelle università e sui media hanno provveduto a villaneggiare e a disprezzare quel che di più sacro, profondo e bello c'era e c'è nella cultura e nella convivenza italiana. In nome della loro cinica e nichilista intelligenza hanno provveduto a convincere che non c'è nulla di caro, di importante per cui vale la pena sacrificarsi, né far figli, né piegare il capo, e niente da proporre di autentico per tutti. Pensando, nella loro misera supponenza, di far fuori Dio dal cielo e dal profondo del cuore umano come radice di ogni valore e di ogni costruttiva solidarietà, sono solo riusciti a rendere più amara la terra che ora dai loro salotti osservano con la flute di champagne in mano. Si spacciavano come i portatori del paradiso in terra, e stavano seminando un amaro raccolto. Ora questa Italia resa inetta a confrontarsi senza ipocrisia con la realtà vede affiorare in lei, nelle sue città più sviluppate, più "moderne" i fantasmi dello scontro. Ne vede i segni, ne sente i brividi sulla pelle, e si teme per le proprie donne, per i propri bambini. Un popolo senza energia spirituale e impaurito è facile preda degli scontri. E preda degli atteggiamenti più irrazionali, pronto a discendere in una spirale oscura. Sorridevano, quegli intellettuali, quando la Chiesa diceva - da tempo - che c'è in gioco una questione antropologica. Pensavano: cosa ne vogliono sapere, questi cristiani, di cosa è l'uomo, e di cosa serve all'uomo moderno… Al massimo concedevano - questi padroni del vapore e delle biblioteche, delle scuole e dei giornali - un'affabile presenza in un dibattito culturale. Ma non hanno voluto, non vogliono affrontare il problema di quale antropologia è propensa alla vita e quali invece conducono alla sterilità e alla morte. Non lo vorranno ammettere nemmeno di fronte ai segni della guerra. Fingeranno che le due cose non c'entrano. Che è un problema di ordine pubblico e basta. E di trovare nuovi slogan, nuovi accomodamenti o astuzie politiche. Ma c'è la speranza che da nascosti serbatoi, dai luoghi meno avvelenati dalle irrigazioni di questi decenni, sorgano punti di resistenza al disastro. Già ci sono, come oasi. Guardarli, in un tempo che lancia segnali di guerra è il primo modo per preparare la pace.
di Davide Rondoni da avvenireonline

 
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2 replies since 14/4/2007, 19:32   47 views
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