Il sofà delle muse

L’altra Gomorra, la rivolta dei cinesi a Milano

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*Ishtar*
view post Posted on 14/4/2007, 19:32




Milano come Napoli. Una pattuglia di vigili ferma per controllo un’automobile guidata da una cinese. Le viene contestata un’infrazione, probabilmente un collaudo non fatto. Scoppia un alterco. La donna è a terra. Accorrono i giovani commessi cinesi dei negozi di fronte. Urla, botte, caccia al vigile accusato di aver picchiato la donna.
È la rivolta. Arrivano a sirene spiegate le auto della Volante. Poi i poliziotti in divisa antisommossa. Rione Sanità? No, via Paolo Sarpi, nel cuore del centro pulsante di Chinatown: il commercio all’ingrosso di filati, capi d’abbigliamento, bigiotteria, un giro di milioni di euro ogni anno, ma anche un viavai di furgoni. Vengono a far spesa nel suk orientale da tutto il Nord, e persino dalla Croazia e dalla Slovenia. Nelle vie strette della zona stazionano a ogni ora del giorno furgoni, camioncini, macchine familiari, Suv. Scaricano e caricano la merce che raggiungerà i mercati rionali e quelli delle piccole città, i negozietti degli italiani ma anche i teli stesi a terra dei vu’ cumprà. Un traffico che s’aggiunge a quello intasato e mortifero dell’intera capitale del Nord, problema irrisolto di almeno tre giunte municipali.
Da anni i cittadini della zona, in maggioranza italiani, lamentano che il quartiere è stato abbandonato a se stesso: nessuna disciplina nel concedere licenze, carico e scarico a tutte le ore, i soldi dei commercianti cinesi che acquistano contante alla mano e a prezzi fuori mercato i negozi, scomparsa di panetterie, salumerie, ortolani e altri esercizi al minuto a vantaggio dell’ingrosso cinese.
Un’associazione, «Vivisarpi», ha inalberato un anno fa le sue bandiere arancione che ora pendono stinte da balconi e finestre. Una pressione durata anni che è culminata in un’agitata assemblea pubblica con il vicesindaco, De Corato, esponente di An, che sostituiva il sindaco Moratti, la quale in campagna elettorale aveva fatto numerose promesse agli elettori della zona. Ecco allora la soluzione: trasformare via Sarpi e altre strade, centro del quartiere cinese, in zona a traffico limitato. Ecco la dinamite nascosta sotto l’alterco con i vigili: è in gioco un grosso affare commerciale che la comunità cinese, compatta, vive come un atto proditorio contro di sé.
Dopo aver lasciato per anni via Sarpi come una zona franca, oggi il Comune ha deciso di ripristinare un minimo di legalità, almeno lungo le strade, facendo multe alle macchine in doppia fila o parcheggiate sui marciapiedi, controllando i furgoncini di scarico e carico, impedendo il traffico dei carrelli sui marciapiedi. I giovani e giovanissimi commessi cinesi, guidati da piccoli megafoni, in maggioranza donne, occupano il quadrivio del quartiere inalberando le bandiere rosse della Repubblica Popolare e striscioni in cui denunciano il razzismo contro la loro comunità. Molti probabilmente abitano i dapu, le cuccette in cui dormono nella zona decine e decine di persone, posti letti organizzati di 18 e più brande, dove si alternano i nuovi immigrati da Fushun, la grande città industriale del Nordest della Cina. Stefano Boeri e la sua équipe di Multiplicity li ha censiti in un libro recente sull’abitare a Milano, descrivendo anche la topografia delle «cuccette» al pianoterra, spesso ex laboratori-abitazioni del quartiere, lasciati liberi dagli artigiani emigrati altrove. Un elemento d’illegalità che l’amministrazione comunale e le autorità di polizia non sembrano aver perseguito, incapaci di far fronte, come tutte le istituzioni di Milano, ai problemi di una città che sembra assomigliare sempre più alla sua omologa meridionale.
Se nella Napoli descritta da Roberto Saviano l’intreccio tra camorra e mafia cinese è sempre più stretto, a Milano, come raccontava l’altroieri un giovane cronista di City, la free press locale, Davide Milosa, si estende il racket della prostituzione e della droga che ha il suo baricentro a Chinatown: pizzo ai commercianti cinesi intrecci tra mafia orientale e cosche calabresi, bordelli clandestini, usura, riciclaggio, banche illegali. Il suo articolo, cucito con riferimenti presi dalla cronaca milanese degli ultimi mesi, descrive Milano come se fosse la Chicago di Al Capone, con giovani cinesi agguerriti della She Tou, le «Teste di serpente», che mantengono l’ordine per conto di vecchi boss che si spostano a bordo di auto di lusso: esili, pallidi, vestiti all’occidentale. Un film di Scorsese in salsa cinese.
In effetti, il problema milanese con cariche della polizia, pestaggi, scritte e bandiere, giovani che tirano bottigliette d’acqua sugli agenti - bottigliette fornite dal bar di una connazionale per dissetare i manifestanti - è assai aggrovigliato e dimostra ancora una volta l’incapacità della classe politica meneghina di gestire l’emergenza che avanza. ; racimolano stipendi stentati e pagano 10 euro al giorno.Questi ragazzi che fischiano e vociferano tra via Sarpi e via Bramante, denunciando la discriminazione razziale, sono arrivati pagando un prezzo salato ai mercanti d’uomini, probabilmente hanno documenti falsi e nessun permesso di soggiorno o per il posto nella camerata affollata, con la speranza di migliorare la propria vita, di accedere a quella ricchezza che invece la vecchia generazione del Chekiang, nel Sud della Cina, ha raggiunto da tempo. Una divisione di classe che raramente emerge all’esterno, anche per via del gap linguistico, e che corrisponde a un’altra, più visiva: la città dei negozi cinesi ad altezza dei marciapiedi, e la città, sempre più invisibile, degli abitanti italiani dal primo piano in su. Chi saprà sciogliere questo nodo all’italiana in cui il «politicamente corretto» s’intreccia con problemi ambientali, di convivenza civile, illegalità e regole che nessuno sembra più deciso a far rispettare? Reduce dalla manifestazione sulla sicurezza da lei fortemente voluta come un atto politico interno alla CdL, Letizia Moratti si trova tra le mani una nuova patata bollente in una città sempre più chiusa a riccio su se stessa, incapace di dialogo, come ha ricordato don Virginio Colmegna, uno dei preti milanesi più attivi nella società civile, presentando davanti a una folla straboccante di giovani, alla Triennale, Cronache dell’abitare di Boeri, un lavoro che fotografa lo stato d’allarme rosso dell’ex capitale morale. Chissà se lo hanno letto, a Palazzo Marino. Oggi dovrebbero: una cruda fotografia della città che ha perso la sua anima. Come sostiene da tempo uno scrittore cattolico milanese, Luca Doninelli
Di Marco Belpoliti da lastampa.it
Non conosco la situazione degli immigrati cinesi a Milano, ma conosco abbastanza bene quella di Napoli che per inciso è stata descritta a tinte foschissime come un girone infernale da cui è impossibile venire fuori da Saviano nel suo libro Gomorra.Consiglio chi non l’ha fatto di leggere Gomorra,una specie di inchiesta-verità-romanzata(mica tanto), che racconta la storia del malaffare locale, campano ,il quale, peraltro,ha ora come ora, metastatizzato l’Italia tutta .In questo malaffare gli affaristi cinesi svolgono un ruolo fondamentale, in primis sfruttando in modo indegno la propria gente trattata a livello schiavi o peggio, il che è tutto dire.L’incipit del libro è molto potente, descrive il trasporto di un container con una gru dalla bolgia infernale del porto di Napoli su una nave in partenza per la Cina.Ad un certo punto il container si apre ed erutta, piccolo e mortifero Vesuvio fatto di materiale organico, teste, membra attorcigliate, corpi in decomposizione che precipitano a terra in un macabro tonfo.Sono i cinesi morti in Italia che hanno ancora pagato per poter finalmente riposare in pace nel loro paese.Ma di essi non si deve sapere nulla dato che le loro identità serviranno ad altri cinesi, numeri produttivi, che sono clandestini da noi.Non conosco come chi sfrutta e manovra questa povera gente, ha ridotto Milano, ma so come ha ridotto Napoli.Un intero quartiere in cui c’erano artigiani e botteghe varie è stato sostituito da una serie di negozi sporchi, disordinati con merce straripante ma di qualità infima che non è venduta al dettaglio , ma solo all’ingrosso.Tutta una strada è fatta da negozi cadenti , vuoti di gente ed in cui ogni mattina viene accatastata merce scaricata da enormi TIR e portata in giro con carrelli da gente con facce imperscrutabili, rassegnata, senza speranza.A volte ci sono zone delimitate dal nastro che la polizia usa per circoscrivere il luogo di un reato, magari si vedono degli stracci vecchi e scoloriti per terra che non sono buttati lì a caso, ma coprono un cadavere.Si respira il malaffare più totale in via Carbonara che peraltro è vicina alla strada dove abitavano tanti boss della Camorra, la famigerata Forcella.Degrado, sporcizia, malaffare,invivibilità più totale.Leggete Gomorra, leggete e forse capirete meglio.Questa cosiddetta rivolta dei cinesi di Milano, fatta da gente usa ad ubbidir tacendo da millenni e a maggior ragione sotto il regime comunista di Mao Tse Tung e soci, non sarebbe mai potuta avvenire SPONTANEAMENTE, a maggior ragione perchè una donna era stata malmenata(a suo dire) ed offesa( a suo dire).C’è qualcosa che non mi convince in quanto è accaduto a Milano, c’è l’arroganza di chi, avendo comprato degli spazi per fare i propri affari crede,vuole, che tutto gli sia concesso e non vuole controlli.
Si dice che c’è una holding di 50 mandarini pronta a comprarsi ampie fette di Milano e allora cosa c’è di meglio che deprezzare le zone da invadere per conquistarle al minor prezzo possibile?E perché c'è stata questa rivolta da parte di gente che in Cina vive ancora peggio di qua, vessata in tutto e per tutto?Mah
Se qui, a Milano come a Napoli vivono male, se qui, a Milano come a Napoli sono discriminati e maltrattati, perché non tornano nel loro paese dove di certo avranno più rispetto e considerazione e dove vivranno di gran lunga molto meglio?Ma se restano qui da noi sappiano che in una comunità esistono diritti e DOVERI, e che tra i doveri c’è quello sacrosanto di rispettare la Legge.Spero che la Signora Moratti non molli e che i soliti sinistri sinistrati sinistranti capiscano prima o poi che esiste pure povera gente indigena, italiana, che è vessata e limitata nelle sue libertà da soggetti che si sentono al di sopra della legge e non ne può più.Si ricordino i nostri politicanti rossi che certi voti NON VALGONO UNA MESSA.In fin dei conti per le teste calde e quelli che fanno rivolte a comando è noto che...
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magari Ferrero ruba qualche soldino al tesoretto di 5 euro a famiglia e paga a queste povere vittime dell'arroganza dei padroni, un volo( non da un container sia chiaro) senza ritorno, magari in business class.Farebbe finalmente una cosa giusta e anche un "affare"


 
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Maximus05
view post Posted on 14/4/2007, 19:52




Samuel Huntington si è sempre molto stupito che del suo libro del 1996 Lo scontro delle civiltà si parli sempre e soltanto a proposito di islam. In realtà, scrivendo diversi anni prima dell'11 settembre 2001 Huntington pensava che, per quanto grave sia il problema islam, il maggiore scontro di civiltà del XXI secolo sarebbe stato fra l'Occidente e il mondo cinese. I fatti di Milano gli danno ragione?

Cinesi e musulmani, pure così diversi, hanno in comune un complesso di superiorità. Ai musulmani il Corano assicura che sono la migliore nazione che sia mai apparsa sulla scena della storia. Tra i cinesi è radicata la convinzione che la parola «cultura» abbia veramente senso solo se applicata alla cultura cinese.
Le somiglianze, tuttavia, si fermano qui. Molti musulmani esprimono l'idea della superiorità religiosa attraverso una forte visibilità, attiva e politica, che talora degenera in violenza. Per i cinesi la superiorità è culturale ed economica, e si traduce non in presenza ma in assenza dalla comunità che li ospita, nei cui confronti è elevata la barriera della separatezza.

I cinesi in Italia sono presenti fin dal 1920, quando vennero a Milano alcuni fra coloro che la Francia aveva reclutato in Cina per sminare i campi della Prima guerra mondiale. Ma solo dal 1980 il fenomeno è diventato di massa, come conferma una ricerca in corso di cui chi scrive è condirettore e che coinvolge diversi sociologi dell'Università di Torino.
Anche senza contare i clandestini (difficili da trovare: nell'ultimo anno su 5.000 espulsioni solo 71 hanno riguardato cinesi), gli immigrati regolari cinesi in Italia (114.000) rappresentano un record nell'Unione Europea. La Gran Bretagna ne ha 70.000, la Francia - dove contro i cinesi, i cui negozi sono accusati di concorrenza sleale, sono spesso scoppiati tumulti - solo 30.000. Un quarto degli immigrati cinesi nell'Unione Europea si concentra in Italia: e di questi il 23,4% vive in Lombardia e il 23,3% in Toscana, anche se comunità come Torino e Napoli sono in forte crescita. È una presenza coesa, perché la maggior parte degli immigrati viene da due regioni, lo Zhejiang e il Fujian. Con l'immigrazione di massa sono aumentati anche il traffico di clandestini e la presenza della criminalità organizzata cinese in Italia, già confermata da sentenze definitive.

I cinesi sono gli immigrati con il maggiore reddito medio e la più alta percentuale di proprietari di immobili e di imprenditori (anche se alcuni hanno solo un banchetto al mercato). Dati che farebbero pensare a un'alta integrazione: ma non è così. La comunità, come ha detto un intervistato nella nostra ricerca sociologica, mette in atto «meccanismi di autoisolamento»: per ragioni culturali ma anche a protezione di reti economiche di cui non si vuole che gli estranei si occupino troppo. La speranza d'integrazione sta nei giovani che vanno a scuola, e arrivano anche all'università: anche qui riescono meglio degli altri immigrati, ma spesso sono ostacolati dalle famiglie che preferiscono richiamare in negozio un prezioso lavorante. L'integrazione degli immigrati cinesi non è impossibile. Occorre tuttavia una politica intelligente e ferma, che - come ha detto a Milano il sindaco Moratti - non tolleri le Chinatown come «zone franche», di cui s'impadronirebbe subito la criminalità organizzata, governi i numeri dell'immigrazione senza aperture indiscriminate, e convinca i cinesi che chi reclama diritti deve fare lo sforzo culturale di capire e accettare anche i relativi doveri.

da: ilgiornale.it

 
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*PalladeAthena
view post Posted on 15/4/2007, 07:06




L'integrazione non è problema di ordine pubblico

L'ideologia della fortuna lancia i fantasmi dello scontro

Eccoli, i segni. Ieri nella Chinatown di Milano, l'altro giorno le prediche violente dell'Imam torinese, tempo fa il muro di Padova, e poi altri, ogni giorno. I segni di cosa? Vogliamo far sempre finta di essere a un bel convegno e chiamarla «mancata integrazione»? O difficoltà di «meticciato»? Chiamiamola piuttosto col suo nome vero. Guerra. Perché di questo sono segno i molti, occulti o manifesti, segni che eccezionalmente o a sciami ci raggiungono da dietro casa o dai giornali e tv. Una guerra che per esplodere più vasta e generale attende solo che i motivi di interesse, di controllo del territorio o di imposizione culturale per cui già ora si accendono questi focolai diventino più grandi, e incontrollabili.
E non si tratta di una guerra o guerriglia tra gli uni e gli altri, tra immigrati e residenti, tra occidentali e arabi. Ma di tutti contro tutti. Come intorno a un osso accadono le zuffe. La colpa è di intellettuali e politici. Prima degli intellettuali, e poi dei politici. La loro ipocrita irresponsabilità ci sta consegnando a un'epoca di scontri. Lo scontro non è una conseguenza inevitabile del venire a contatto tra culture diverse. Certo, la diversità porta sempre una dose di scandalo e difficoltà. Ma lo scontro non è esito inevitabile. Lo diventa, lo sta diventando, quando come è accaduto da noi in questi decenni si è provveduto con ogni mezzo di persuasione e di indottrinamento, con ogni pressione culturale e ogni ipocrisia intellettuale e politica a convincere che la vita è solo questione di fortuna, di successo, di potere. E a spandere come unico criterio di lettura dei fenomeni personali e sociali le peggiori ideologie, che hanno generato sempre scetticismo depressione e violenza.
Ideologie che hanno convinto il nostro popolo italiano che il mondo si divide in buoni e cattivi, in giusti e ingiusti, in amici e nemici del popolo. E che basta agitare qualche slogan "buono" per sentirsi a posto e mettere a posto il mondo. Decenni in cui i maestri più a cclamati nelle università e sui media hanno provveduto a villaneggiare e a disprezzare quel che di più sacro, profondo e bello c'era e c'è nella cultura e nella convivenza italiana. In nome della loro cinica e nichilista intelligenza hanno provveduto a convincere che non c'è nulla di caro, di importante per cui vale la pena sacrificarsi, né far figli, né piegare il capo, e niente da proporre di autentico per tutti. Pensando, nella loro misera supponenza, di far fuori Dio dal cielo e dal profondo del cuore umano come radice di ogni valore e di ogni costruttiva solidarietà, sono solo riusciti a rendere più amara la terra che ora dai loro salotti osservano con la flute di champagne in mano. Si spacciavano come i portatori del paradiso in terra, e stavano seminando un amaro raccolto. Ora questa Italia resa inetta a confrontarsi senza ipocrisia con la realtà vede affiorare in lei, nelle sue città più sviluppate, più "moderne" i fantasmi dello scontro. Ne vede i segni, ne sente i brividi sulla pelle, e si teme per le proprie donne, per i propri bambini. Un popolo senza energia spirituale e impaurito è facile preda degli scontri. E preda degli atteggiamenti più irrazionali, pronto a discendere in una spirale oscura. Sorridevano, quegli intellettuali, quando la Chiesa diceva - da tempo - che c'è in gioco una questione antropologica. Pensavano: cosa ne vogliono sapere, questi cristiani, di cosa è l'uomo, e di cosa serve all'uomo moderno… Al massimo concedevano - questi padroni del vapore e delle biblioteche, delle scuole e dei giornali - un'affabile presenza in un dibattito culturale. Ma non hanno voluto, non vogliono affrontare il problema di quale antropologia è propensa alla vita e quali invece conducono alla sterilità e alla morte. Non lo vorranno ammettere nemmeno di fronte ai segni della guerra. Fingeranno che le due cose non c'entrano. Che è un problema di ordine pubblico e basta. E di trovare nuovi slogan, nuovi accomodamenti o astuzie politiche. Ma c'è la speranza che da nascosti serbatoi, dai luoghi meno avvelenati dalle irrigazioni di questi decenni, sorgano punti di resistenza al disastro. Già ci sono, come oasi. Guardarli, in un tempo che lancia segnali di guerra è il primo modo per preparare la pace.
di Davide Rondoni da avvenireonline

 
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