Il sofà delle muse

Antonio De Curtis in arte Totò, a 40 anni dalla sua morte

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verbenasapiens
view post Posted on 14/4/2007, 19:21




TOTO': SULLE SUE TRACCE A NAPOLI A 40 ANNI DALLA MORTE
NAPOLI - Il 15 aprile del 1967 moriva a Roma il principe Antonio De Curtis, universalmente noto come Totò: a 40 anni dalla scomparsa di uno dei simboli di Napoli cosa rimane del ricordo del grande attore nella città partenopea? "Addio Totò, questa tua Napoli affranta dal dolore vuole farti sapere che sei stato uno dei suoi figli migliori e non ti scorderà", promise Nino Taranto nella sua orazione funebre.

A Napoli è in programma entro fine mese una serie di iniziative, ma non sono mancate polemiche circa un presunto oblio da parte della città del più grande attore comico della storia italiana. Sicuramente è entrato nella memoria collettiva il 'doppio' funerale napoletano di Totò, celebrato il 17 aprile nella Basilica del Carmine Maggiore gremita da tremila persone, mentre altre centomila sostavano nella piazza antistante. La bara fu anche la prima ad essere platealmente applaudita dal pubblico, una abitudine che si è poi diffusa. Chi volesse ritrovare il principe della risata tra le vie di Napoli dovrebbe recarsi al popolare rione Sanità, e più precisamente in via Santa Maria Antesecula 1 dove, al secondo piano, nel 1898 nacque il figlio illegittimo del principe de Curtis e di Anna Clemente. La casa natale fu messa in vendita per soli 35 milioni di lire all'inizio del 2000 e acquistata da un privato, non da un'istituzione, come si auspicava, per farne un museo o una fondazione culturale. Poco lontano, al Collegio Cimino nel palazzo del Principe di Santobuono in via San Giovanni a Carbonara, Totò frequentò le classi ginnasiali mentre nella vicina parrocchia di san Vincenzo il comico servì messa recitando in latino. E fu proprio nella parrocchia della Sanità che venne celebrato, qualche giorno dopo quello ufficiale, un altro rito funebre, con la bara vuota, presenti migliaia di napoletani con la medesima commozione. Non esiste più invece la Sala Napoli, dove Totò cominciò a proporre con poco successo le macchiette di De Marco, mentre è stato rinnovato di recente lo storico teatro Trianon, dove lavorò negli anni giovanili, prima di cercare fortuna a Roma.

Proprio questi ambienti, e soprattutto il teatro Nuovo ai Quartieri Spagnoli, furono anche lo scenario della sua travagliata passione con Luisella Castagnola, la bellissima soubrette che si tolse la vita per amore e che per volontà di Totò riposa nella cappella gentilizia dei de Curtis, altro luogo di culto dei napoletani. Tra le altra vestigia per gli appassionati: adiacente a via Foria, nei pressi del Museo nazionale, c'é una piccola strada intitolata ad Antonio De Curtis, mentre un monumento in bronzo del principe De Curtis è nascosto tra i palazzi del Vomero Alto. Aspettando il "grande evento" annunciato dal Comune di Napoli per fine aprile (il sindaco Rosa Russo Iervolino parteciperà a una messa nel cimitero degli Uomini illustri) e in vista della celebrazione ufficiale alla Festa del cinema di Roma ad ottobre, Napoli ha dedicato a Totò la Pasqua appena trascorsa con una mostra nello storico Salone Margherita.
da ansa.it

UNA GLORIA ITALIANA
(di Maurizio Giammusso)
Nel Pantheon delle glorie italiane Toto' ha un posto unico.
La sua figura ha da tempo superato i confini del cinema e del teatro ed e' entrata profondamente nel costume, nel lessico corrente, nell'immaginario di tanti spettatori, anche quelli che non erano nemmeno nati quella mattina di quaranta anni fa (15 aprile 1967), quando il grande attore usci' per sempre di scena. Toto' oggi piace a tutte le classi di eta', a tutti i ceti, al nord e al sud; i suoi film spuntano ascolti elevati in tutte le tv, alla centesima replica; i libri che lo riguardano costituiscono oramai un'ampia biblioteca; la sua figuretta con la bombetta campeggia sempre nei presepi napoletani, insieme ad altre piu' effimere celebrita', come Maradona o Di Pietro. Tutto questo quaranta anni fa nessuno poteva lontanamente prevederlo.
Nelle dichiarazioni commosse al tg di quel giorno Renato Rascel, Nanny Loy, Peppino de Filippo e tanti altri parlano della sua grandezza d'attore, della generosita' dell'uomo. Ma chi avrebbe scommesso su un successo cosi' duratura? In questo senso Toto' e' ancora un mistero, mentre si sa quasi tutto sulla sua vita.
Sara' la madre a dargli il nomignolo di Toto'. Ma e' al collegio Cimino, che un suo precettore, tirando di boxe, gli causa quella deviazione del setto nasale che diventera' un tratto caratteristico della sua maschera. La sua carriera comincia a 14 anni, in piccoli teatri di periferia.
Scoppia la guerra e va volontario; scampa la prima linea e inventa il celebre motto: 'Siamo uomini o caporali?'. Nel 1918, torna a recitare a Napoli, con un repertorio di imitazioni.

Dal 1922 e' a Roma, ha successo con la sua figura di marionetta disarticolata, in bombetta, tight fuori misura, scarpe basse e calze colorate. Ha gia' trentun anni quando, al termine di un grande amore burrascoso, si uccide per lui la nota soubrette Liliana Castagnola: il nome col quale battezzera' sua figlia. Toto' sposa nel 1932 la diciassettenne Daria Rogliani. Ma il matrimonio viene annullato nel 1940, mentre corre voce di un presunto flirt fra l'attore e Silvana Pampanini. In preda alla gelosia, l'ex moglie finira' per lasciare il comico e sposare un altro uomo, ispirando cosi' la stupenda canzone Malafemmena. Intanto dagli anni Trenta e' gia' un divo dell'avanspettacolo, con la sua compagnia, spesso accanto alla Magnani. Dopo la guerra verra' anche il cinema, un torrente di film (anche fino a dieci l'anno!), che fanno cassetta con il suo nome addirittura nel titolo; ma non piacciono alla critica.
Piu' avanti pero' Toto' avra' tutte le soddisfazioni possibili, recitando per registi di rango, come Roberto Rossellini (La paura), Vittorio De Sica (L'oro di Napoli), Mario Monicelli (Guardie e ladri), Pier Paolo Pasolini (Uccellacci uccellini). Intanto nel 1952, grazie ad un giornale, conosce Franca Faldini, attrice, poi giornalista, una donna intelligente e materna, con la quale vivra' fino alla morte. Nel '56, dopo una lunga parentesi cinematografica, Toto' torna in teatro con la rivista 'A prescindere'.
Purtroppo mentre recita a Palermo viene colpito da un male agli occhi: resta quasi cieco, ma indomito: continuera' a recitare in teatro e sul set fino alla fine.
RENZO ARBORE, IL PIU' GRANDE ATTORE ITALIANO
'Faccio mia la frase di Dino De Laurentiis, Toto' e' stato il piu' grande attore italiano di tutti i tempi'. A dirlo e' Renzo Arbore che all'attore napoletano ha dedicato un speciale tv per i 25 anni dalla morte: Caro Toto' ti voglio presentare. 'Era sempre grande sia quando faceva la parte del perdente, del tirchio, del ladro. Insomma - ribadisce Arbore - il piu' grande attore italiano a tutto campo con il beneficio di una particolare magia difficile da spiegare'. La sua bravura e il segreto del suo fascino 'lo aveva spiegato lui stesso quando aveva detto: quando recito penso sempre alla fame. E se pensi a quella tutto diventa relativo'.

La critica ai suoi tempi lo ha lungamente disprezzato 'perche' allora i critici dovevano essere contro il pubblico. E ora lo hanno recuperato solo in nome del mercato. L'attore comico a quei tempi veniva considerato un genere minore. E' stato con l'avvento della tv - continua lo show man - che si e' scoperto che i film comici sopravvivono rispetto a quelli d'autore. Ovvero i film di Stanlio e Olio e quelli di Bud Spencer e Terence Hill'.

Toto', spiega ancora Arbore 'non era affatto consapevole della sua grandezza era stato solo baciato dalla grazia del suo talento e ha avuto anche la fortuna di lavorare spesso con cattivi registi con i quali poteva essere piu' libero di improvvisare'.
L'attore contemporaneo piu' vicino alla figura di Toto' 'e' senz'altro Benigni, una vera maschera' mentre quelli che verranno recuperati a pieno merito 'senz'altro Terence Hill e Bud Spencer che ogni volta che passano in televisione con i loro film continuano a fare ascolti'.
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segue..
 
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verbenasapiens
view post Posted on 18/8/2007, 16:31




E' di qualche giorno fa questa notizia:
Il presidente venezuelano Hugo Chavez ha proposto al parlamento una riforma costituzionale che prevede che lui possa essere rieletto indefinitamente e con scadenze più estese. Nel suo intervento all’assemblea nazionale, Chavez ha detto che il mandato presidenziale deve essere esteso da sei a sette anni e l’attuale limite alla rielezione dovrebbe essere eliminato.
Chavez ha tuttavia tenuto a precisare: «Propongo al popolo sovrano di estendere a sette anni il mandato presidenziale e che il presidente possa essere immediatamente rieletto. Se qualcuno dice che è un progetto per rimanere per sempre al potere, no, è solo una possibilità, una possibilità che dipende da molte variabili». I critici tuttavia lo accusano di cercare di rimanere presidente per decenni come Fidel Castro.
Chavez ha anche proposto di mettere fine all’autonomia della banca centrale del Venezuela, dando a lui l’accesso ai miliardi di dollari delle sue riserve. Inoltre, Chavez propone nuove forme di proprietà in cooperativa e una «milizia popolare» che farebbe parte delle forze militari.da lastampa.it.Solo oggi c'è questo commento di Battista
La nascita di una dittatura, il lento ma inesorabile cristallizzarsi di un nuovo dispotismo rivoluzionario: basta guardare alla Caracas di Hugo Chávez per capire in tempo come si forma l'ennesima tirannia animata da propositi palingenetici di giustizia sociale. Una dittatura che non indigna perché non si presenta con i tratti lugubri dei militari golpisti le cui gesta hanno infestato la storia latino- americana. Un dispotismo solare, caldo, esotico. Un nuovo castrismo che incatena il Venezuela ma che elettrizza i cuori dei sempre inappagati turisti della rivoluzione mondiale. Ora il caudillo di Caracas proclama un ritocco costituzionale che semplicemente gli frutterebbe la rielezione a vita come incontrastato presidente del Venezuela.
Abroga de iure la proprietà privata già minata da un’ondata di nazionalizzazioni e da un uso spregiudicato dell’arma del petrolio, brandita alla maniera non di una ricchezza economicamadi una risorsa politica per accreditarsi come avanguardia della rivoluzione mondiale. Si candida ad autorità suprema della banca nazionale, concentrando sulla sua figura un agglomerato di potere finanziario e politico destinato a schiacciare ogni tentativo di opposizione.
Nessuno sdegno internazionale per l’uomo che sta disegnando a suo piacimento l’architettura istituzionale di una democrazia che sta soffocando nell’indifferenza generale. Per il dittatore con la smania di entrare nell’eletto gruppo degli «Stati canaglia», vantando un rapporto privilegiato con l’estremismo di Ahmadinejad. Per la nuova bandiera di una mitologia rivoluzionaria che non vuole comprendere il significato delle televisioni scomode imbavagliate in Venezuela e ridotte al silenzio, per gli squadroni paramilitari chiamati a seminare il terrore nei quartieri riottosi di Caracas, appoggiate e assecondate dalle autorità che rispondono soltanto a lui, a Hugo Chávez. Al Chávez che sembra incarnare alla perfezione lo stereotipo dell’agitatore antimperialista e che per questo alimenta attorno alle sue malefatte un’atmosfera di indulgenza, di bonaria accondiscendenza, quando non addirittura di adesione alle sue invettive antiamericane.
Sembrano quasi innocui il suo istrionismo oratorio, la sua figura così poco marziale eppure trasfigurata nelle forme di un nuovo condottiero rivoluzionario che quando deve annunciare al mondo i suoi propositi di dittatore a vita lo fa citando Toni Negri, il pensatore della «moltitudine» bizzarramente equiparato nientemeno che ad Aristotele, Machiavelli e Antonio Gramsci. Ma per un Toni Negri che va a Caracas alla ricerca del nuovo Eldorado rivoluzionario, quanta solitudine attorno al Mario Vargas Llosa che identifica in Chávez il nuovo dittatore destinato a perpetuare la maledizione latino-americana. E quanta scarsa voglia di capire perché si vada a finire sempre allo stesso modo, da Cuba al Nicaragua sandinista al Venezuela di Chávez. Di capire qual è la dinamica dell’autoritarismo rivoluzionario che porta passo dopo passo alla sepoltura di ogni parvenza di democrazia e di tutela dei diritti civili. E di comprendere la chiave di un processo degenerativo che è inscritto negli stessi cromosomi dell’avventura rivoluzionaria e anti-imperialista anche se ogni volta adduce circostanze e pretesti i più diversi per giustificare il giro di vite tirannico, il perfezionamento dell’apparato repressivo, la sterzata autoritaria che dapprima stringe in modo asfissiante ogni forma di presenza democratica e poi si compie nel solito trionfo di prigioni piene di dissidenti, censura totale sui mezzi di informazione, annichilimento di ogni genere di resistenza civile. E tutto attraverso l’ossessivo ricorso alla mobilitazione «di massa», alla galvanizzazione populista dei pasdaran della rivoluzione, già eccitati per aver trovato un leader capace di sfidare con la sua demagogia tribunizia i «potenti della terra».
Ecco perché il Venezuela di Chávez assume il valore di un laboratorio politico, di un esperimento che, al prezzo della vittimizzazione dei venezuelani, offre una chiave privilegiata per penetrare nei segreti del dispotismo «socialista»: la vecchia storia che si ripresenta rimpannucciandosi con nuove vesti. di Pierluigi Battista da corriere.it
Dove sono gli intellettuali di sinistra di ora ?E non dicono nulla su :piccoli dittatori in red crescono?Ah già sono troppo impegnati a mangiare nella mano sinistra dei loro mecenati...
 
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