Il sofà delle muse

Mostra di Giò Ross, l'archeologia del presente

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palos
view post Posted on 5/9/2006, 10:43




Giò Ross
l'archeologia del presente


Centro Arti Visive
Loggiati Pescheria
Corso XI settembre - Pesaro

4-30 settembre 2006
orario 17.30/19.30

PROFILO BIOGRAFICO DI GIO' ROSS

Giovanni Rossi, in arte Giò Ross, è nato a Urbino il 5 aprile 1972. Si è formato presso l’Istituto d’Arte di Urbino, dove consegue nel 1991 il Diploma di Maturità d’arte applicata, sezione di arte della grafica e dell’incisione. Nel 1996 si laurea in D.A.M.S. (Indirizzo delle arti) all’Università di Bologna e nel 2003 consegue l’Abilitazione all’insegnamento di Storia dell’Arte. Attratto dalla scenografia ideale di Urbino, dichiara di nutrire subito un “interesse per la musica e per i soggetti fiabeschi della storia della pittura, della letteratura e delle avanguardie artistiche”. Poco più che maggiorenne, riceve dallo zio materno, Salvatore Fiume, i primi elogi sul “talento e sulla spiccata sensibilità artistica”, e un grande incoraggiamento a dare espressione al mondo di immagini da cui si sentiva inesorabilmente avvolto. Sono ormai più di venti le mostre al suo attivo, gran parte delle quali personali. Ad un anno dalla prima personale è invitato a Milano ad esporre accanto alle opere di pittori celebri come Guttuso, Schifano e Dorazio in una importante mostra collettiva. Della timidezza personale ha fatto un filtro umano, culturale e sociale. Giò Ross ripercorre i miti dell’antichità con gli occhi del presente in un confronto continuo con l’innovazione incalzante. La sua pittura è un nuovo segno della “cultura post-moderna” in continua evoluzione e sperimentazione. La mostra si terrà a Pesaro dal 3 al 30 settembre presso il Centro Arti Visive Pescheria.
La mostra è stata inagurata domenica pomeriggio, alle ore 19, dall'Assessore alla Cultura Luca Bartolucci.
Erano presenti il Direttore del Centro Arti Visive Pescheria e lo storico Marzio Dall'Acqua, nonchè un numeroso pubblico di estimatori.

QUESTA LA PRESENTAZIONE DELLE OPERE DA PARTE DELLO STORICO MARZIO DALL'ACQUA PUBBLICATA SUL CATALOGO DELLE OPERE

Marzio Dall’Acqua, presidente dell’Accademia Nazionale di Belle Arti di Parma

Mentre sto scrivendo questa presentazione delle opere di Giò Ross si stanno bombardando il Libano e le città israeliane e subito tra le immagini del catalogo mi viene da ritornare su “dopo il bombardamento”, e su “occhi bombardati”. Forse troppo facile, forse troppo emotivo, ma le immagini indubbiamente oniriche di Ross sono così evidenti, così urgenti, così puntuali che sembrano nate da un fotoreporter dell’anima e non da un giovane artista che sta inseguendo un suo mondo personale amorfo, labile come le vagule e bladule animule dell’Ade. Eppure queste immagini hanno una persistenza nel presentare l’orrore che tutto cerchia, come intravisto attraverso moltiplicati mirini, nel gioco del prima e del dopo, nell’attimo del puntare e nella dissoluzione dell’esistente davanti all’occhio che guarda attraverso il mirino e che anticipa la deflagrazione, tra reale e virtuale, come del resto percepiamo noi la guerra attraverso le immagini televisive che ci filtrano quotidianamente in spazi senza punti cardinali, in luoghi innominati, per cui anche i tempi potrebbero essere di altre guerre, di altri massacri, in un indicibile continuamente presente e continuamente inconcluso, rimandato da una stagione all’altra. Ross dice tutto questo, con l’apparente indifferenza dei monitor della tecnologia, dell’annullamento tra cielo e terra, il tutto fermato da occhi di vetro, che deformano l’evento per eccesso di prudenza, per un allontanarsi eccessivo dal campo, per garantire a chi guarda la massima sicurezza, la massima distanza dalla distruzione, che esplode con effetto di nuvole. In “occhi bombardati” non dobbiamo pensare solo alla guerra, ma quello sconvolgimento, anch’esso quotidiano di immagini, colori e forme che ci penetrano e che ci tolgono la possibilità di veder, il gusto di ospitare la pupa, la figura con la quale ci mettiamo in relazione - da cui pupilla -, per incorporare materiale eterogeneo, non imano, che in realtà ci acceca. Ma gli occhi di Ross non sono né sinistri né destri sono il terzo occhio, quello frontale, quello della mente nelle religioni orientali, nel sapere tibetano. Ed allora la guerra, il bombardamento è in noi come impotenza, come impossibilità di pensare, come una forma di occlusione magmatica in un ondeggiare di sguardi perduti in paesaggi frammentati, ridotti a segni cromatici e a coriandoli di rappresentazioni. E siamo dunque ormai dentro alla pittura di Giò Ross, una pittura molto libera, naturale, che si muove sulla spinta del postmoderno tra la citazione e l’invenzione, tra l’astrazione e la figura, non rinunciando a forme evidenti di apologo visivo, di sberleffo, di illustrazione dell’assurdo con rimandi a illustratori come Topor, per citare un nome. Ma Ross non si ferma a questa invettiva giovanile, egli è alla ricerca di una sua terra promessa e la trova in certe opere nebbiose, opalescenti per liquidi che evaporano, che perdono consistenza, per fumi che si condensano e questa chiarità si collega alla metamorfosi del bianco, a quella “scrittura della morte che attraversa una pagina nera”, come ha scritto Alberto Castoldi nel suo saggio appunto sul bianco. Colore, ma anche scrittura, elemento della pittura come cromia del divino, della potenzialità della creazione, ma anche come rimando alla pagina da scrivere, alla tela da dipingere, che si sporca, si sfuma, si viene agitando in vortici che sembrano affioramenti, con ectoplasmi, con segni, con apparizioni larvali, che diventano lettere. Ecco il mondo di Ross è in questo far lievitare da sotto la tela, dal chiarore cremoso e pastoso, un rapporto che spesso è proprio incentrato su pittura e scrittura, in un connubio, che la stessa frustante difficoltà di lasciare memoria, di comunicare., rende una evocazione di una necessità, di una potenzialità. Affiorano lettere, graffi, segni, figure di una comunicazione in ieratica, geroglifici di un alfabeto perduto, ombre di pensieri e di parole balbettate, trascinate, ondulanti e lievitate dal vento. Il mondo stesso diventa così la superfice di un foglio da scrivere - il pennello come la penna -, spazio per la creazione romantica e l’invenzione della logica modernista, per cui come ha scritto Marco Belpoliti, in “Doppio zero”, “il punto di svolta è nel passaggio da una tradizione pittorica e letteraria fondata sulla mimesi, sulla descrizione della realtà così come appare, all’idea della creatività assoluta del romanticismo che presuppone il tentativo di sottrarsi allo sguardo che organizza il reale”. Per dirla con il Calvino delle “Lezioni americane”: “Laddove non c’è testimonianza dello sguardo non posso essere guardato”, per cui la scrittura dell’inconscio “è sempre inafferrabile, illeggibile, è sempre là dove si nega, fuori posto”. La pittura va così verso la negazione di qualsiasi linguaggio visivo che non sia questa proteica evaporazione, questo vago ed indistinto affiorare che il nostro occhio immagina di riconoscere, a tratti, indovina più che trattiene. E c’è l’effetto distorcente di un movimento, come di un trascinamento, nelle opere di Ross che si aggiunge a questa mancanza non solo di prospettiva, ma anche di corporeità, per cui non a caso, nei suoi titoli ricorre spesso il termine “corpo”, come specchio per le allodole, come tensione verso ed insieme negazione di una fisicità che rimane sospesa ed ambigua nel suo divenire. Come l’ossimoro “archeologia del presente” con la quale questa mostra viene presentata rende bene questa difficile navigazione o meglio questa difficile cartografia tra il viaggio verso il reale che viene negato, trasfigurato o l’affondamento nell’inconscio, “che, nella sua ricerca di assoluto, spinge l’opera ai limiti estremi dell’enunciabilità, là dove non può più materializzarsi”. E’ quello che Rosalind Krauss ha definito “inconscio ottico”. Ross è certamente ora annidato in una posizione simile che è di attesa, ma anche effusiva, per cui certi gesti da action painting, con colore disegnativo fatto colare in modo quasi casuale a attenuare figure totemiche, sono ancora una forma mimetica dell’interiorità, mentre egli viene cercando proprio quell’”inconscio ottico” che gli auguriamo di trovare al più presto, per la disarmante sincerità con la quale nascondendosi si svela, nelle sue opere. Due strade speculari e divergenti caratterizzano il suo linguaggio negli ultimi due anni, sono le facce di due mondi paralleli, che non sono ancora arrivati a compromesso, né realmente a confrontarsi: uno parla d’altro, il secondo denuncia la difficoltà del dire, uno cerca di costruire una retorica, l’altra un ermetismo esistenziale ed un minimalismo emotivo. Il passato stesso, che forse è l’unico tenue legame tra questi due filoni, è visto come una sottile citazione appena riconoscibile, estenuata e senza forza, per cui solo il presente rimane in tutta la sua fragile evanescenza.
Parma, nei giorni caldi di luglio 2006

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verbenasapiens
view post Posted on 15/9/2006, 15:23




se fossi a Pesaro ci verrei..tutto è molto interessante :)
 
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1 replies since 5/9/2006, 10:43   92 views
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