Il sofà delle muse

Pietro resiste e trionfa insieme a noi

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Pontormo
view post Posted on 17/6/2006, 18:19




La basilica compie cinque secoli. E un ricco programma di iniziative ne celebra la storia. Dal primo apostolo al genio di Michelangelo, a Papa Benedetto XVI, un racconto affascinante nelle risposte di monsignor Gianfranco Ravasi.



Se oggi, nella lunga durata del Cristianesimo, la figura del fondatore Pietro è ancora appannata, per esempio rispetto all'altro protagonista Paolo, molte delle ragioni vanno attribuite alla tormentata storia della Fabbrica di San Pietro di cui proprio quest'anno ricorre il cinquecentenario.
Correva l'anno 1506 quando Giulio II, papa condottiero ma anche politico e mecenate, veritiera incarnazione rinascimentale del Principe di Niccolò Machiavelli, decise di avviare un'impresa che lungo centocinquant'anni non solo avrebbe cambiato il volto di Roma, ma avrebbe finito per incidere profondamente sulla storia stessa del Cristianesimo.

Non era una chiesetta la basilica antica edificata per successive addizioni sulla tomba del primo apostolo di Cristo nei pressi del Circo che Caligola e Nerone avevano insediato sul Monte Vaticano. Ma nessuno avrebbe potuto immaginare gli esiti catastrofici della scelta di fare tabula rasa della grandiosa basilica voluta dall'imperatore Costantino.
Il «nuovo» San Pietro cominciò a produrre rovine fin dal primo progetto a croce greca di Donato Bramante, ben presto ribattezzato Ruinante dal popolino romano. E dopo, per un secolo e mezzo, fu tutto un distruggere per ricostruire fra interminabili dispute religiose, guerre politiche e disquisizioni teologiche.

Soprattutto, ognuno dei nove architetti, tutti di gran nome, da Antonio Sangallo a Raffaello Sanzio, da Michelangelo Buonarroti a Lorenzo Bernini, che furono chiamati a dirigere la Fabbrica, prima di fare si preoccupò di disfare la messa in opera del predecessore. Perciò Michelangelo, gran genio, si preoccupò non solo di rifare tutto da capo, ma anche di costruire in modo che gli architetti futuri non potessero distruggere ciò che era riuscito a realizzare.

Il dispendio di energie economiche fu enorme. La Riforma protestante non avrebbe avuto lo stigma esecrato contro cui combattere la battaglia per la riforma morale della Chiesa se non ci fossero state le malversazioni della Fabbrica di San Pietro. Specularmente la Controriforma farà della Fabbrica un simbolo di rinnovamento e di modernità, uno straordinario strumento di potere universale. Un'immagine che troverà la sua completa trasfigurazione nel colonnato barocco di Bernini, stemma vittorioso della Chiesa trionfante.

«Petros Eni-Pietro è qui», oltre a essere il titolo della grande mostra sul quale fanno perno i lavori del comitato scientifico per il cinquecentenario (vedere il riquadro a destra), funziona come lo slogan di un programma ideale, culturale e religioso. Per capire l'attualità di San Pietro, il santo oltre che la basilica, bisogna conoscerne la storia. Ed è quello che Panorama ha chiesto a monsignor Gianfranco Ravasi, prefetto della Biblioteca ambrosiana di Milano, grande studioso del Vangelo e della Bibbia, membro del comitato scientifico della Fabbrica di San Pietro.

Che cosa vuol dire «Pietro è qui»?
Quando a partire dal 1939 gli scavi archeologici voluti da Pio XII, nei sotterranei di San Pietro, portarono in luce i resti della basilica costantiniana, si sono trovati i resti del mausoleo di cui parlava il presbitero Gaio. Su un muro rosso è stata trovata la scritta in greco: «Petros eni», Pietro è qui.
Si tratta di un graffito devozionale, segno di una devozione popolare, ma molto importante perché conferma la presenza di Pietro a Roma. All'inizio del Secondo secolo esistono due trofei: quello sul Vaticano segnala la sepoltura di Pietro, mentre quello sull'Appia indica la tomba di Paolo.

Possiamo oggi parlare di una riscoperta di Pietro?
Non possiamo certo dire che fosse stato dimenticato! Ma è anche vero che Paolo è stato considerato, in questi ultimi secoli, come il vero artefice teorico del Cristianesimo. Antonio Gramsci lo aveva chiamato «il Lenin della religione cristiana». Friedrich Nietzsche nell'Anticristo lo definì il «disangelista», un antievangelista, per sottolineare con un paradosso la forza della costruzione teorica di Paolo.
Il ritorno di Pietro, anche nell'esegesi e nella ricerca scientifica, è perciò un ritorno alla sua identità storica. Per cominciare, nessuno lo considera, ma Pietro è il nome più citato nel Nuovo Testamento dopo Gesù, sempre per primo, come capofila del collegio dei 12 apostoli: 154 volte come Petrus, più tutte le volte che appare sotto il nome di Simone, suo nome originario che ritorna 27 volte, e poi ben 9 volte ricorre come Kefa.
E Kefa vuol dire pietra nell'antico aramaico. Cruciale il riferimento al gioco di parole con cui Cristo investe il pescatore Simone a Cesarea di Filippo, città pagana alle sorgenti del Giordano, secondo il Vangelo di Matteo: «Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa».
Tutto il brano del capitolo sedicesimo di Matteo è modulato su espressioni aramaiche. Il che significa che il brano ha un sapore più antico del greco dei Vangeli, perciò non può essere stato inventato dalla Chiesa posteriore a sua maggior gloria.
Questo imprinting aramaico fa di Pietro una figura speciale in tutto il Vangelo fin dall'alba della sua vocazione: è un pescatore, conosciamo anche il villaggio di origine, Bethsaida, che in aramaico vuol dire «casa della pesca». Ti farò pescatore di uomini, gli dice Gesù, usando ancora una volta un'immagine che non esiste nella tradizione giudaica e che perciò dobbiamo immaginare affondi nelle radici della storia del tempo.
Però la Basilica di San Pietro è a Roma. Com'è possibile?
Negli Atti degli apostoli ci sono due lettere di Pietro. Nella prima dice di scrivere da Babilonia, che nel linguaggio apocalittico dell'epoca designa in negativo proprio Roma. Se è vero che la Chiesa nasce con Cristo, il trapasso del Cristianesimo da religione legata alla rupe di Gerusalemme a religione universale è un processo di «trasculturalizzazione» nel senso pieno del termine che dobbiamo proprio al primato di Pietro.
In un testo apocrifo del Secondo secolo troviamo Pietro che scappa da Roma per sfuggire alla persecuzione. Ma non è ancora uscito dalle mura quando incontra Cristo che va verso la città portando la croce. Pietro capisce e torna indietro per farsi crocefiggere. È l'episodio cruciale del Quo vadis? di Henryk Sienkiewicz ed è a partire da quel momento, se si vuole, che la Chiesa cattolica si riconosce in continuità permanente nel simbolo di Roma.
Ecco il grande valore simbolico della Basilica di San Pietro: un tempio orizzontale, frutto di culture diverse, che ingloba il mondo intero dentro di sé attraverso le grandi braccia del colonnato del Bernini. Michelangelo aveva voluto che fosse un tempio di luce, in polemica con il progetto di Sangallo, il costruttore del grande modello ligneo di San Pietro, proprio a segnare la differenza con il buio delle cattedrali gotiche, templi verticali dove la luce si dirige solo verso l'alto, verso il mistero del cielo.

E oggi? Fino a che punto conserva il suo valore simbolico?
Lungo il tempo della costruzione la Chiesa ha percorso fino in fondo la sua crisi più profonda. San Pietro è diventato il simbolo della corruzione terrena del potere papale. In Germania girava la voce che i marmi comprati con le offerte dei tedeschi venissero, nottetempo, trafugati per costruire la villa del nipote del papa. Voglio dire che la Fabbrica ha sempre avuto un ruolo decisivo in tutti i secoli di storia che ha attraversato.

Ruolo religioso ma anche politico...
Da Giulio II a Paolo III, a Urbano VIII la Fabbrica è stata al centro del potere tanto temporale che spirituale del Papato. E se pensiamo al carisma di Giovanni Paolo II dobbiamo constatare che la Chiesa non ha perso la sua dimensione simbolica trionfale. Ma Papa Wojtyla è forse l'ultimo papa a misura di San Pietro.
Benedetto XVI introduce un altro tipo di Chiesa, più sepolta nel seme della terra, nella profondità delle origini, addirittura catacombale. Il confronto con la modernità non può più avvenire attraverso la figura incombente della Chiesa trionfante ma attraverso il dialogo. Anche il simbolo magniloquente di San Pietro va declinato con la modernità di una società secolarizzata.

I PRINCIPALI APPUNTAMENTI
- 2 LUGLIO
Oratorio «Petros Eni» (Aula delle Benedizioni, in Vaticano). L'orazione sacra è opera di Antonio Pappalardo. L'esecuzione è curata dalla Bayerischer Rundfunk.
- 3 OTTOBRE
Mostra: «Petros Eni - Pietro è qui» (in Vaticano, fino all'8 marzo 2007). La mostra ripropone l'evento della posa della prima pietra nella nuova Basilica di San Pietro il 18 aprile 1506.
- 19 NOVEMBRE 2006
Esecuzioni di oratori di musica sacra. Messa solenne di «Requiem» di Mozart (Basilica di San Pietro)
- 19 GENNAIO 2007
Convegno internazionale «San Pietro nella Sacra scrittura, nella devozione, nell'iconografia».
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di Psquale Chessa
da panorama online
 
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