Il sofà delle muse

Le verità sepolte a Chernobyl

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verbenasapiens
view post Posted on 8/6/2006, 19:36




Vent'anni dopo: i documenti nascosti dagli ecologisti. Sfruttata per alimentare il movimento antinucleare, la tragedia in realtà non fu un incidente ma un esperimento delittuoso compiuto da tecnici impreparati.

di Luigi Lerro - «Secondo il programma approvato, durante la fermata era stata prevista una prova, con esclusione dei sistemi di protezione del reattore, dell'alimentazione elettrica delle apparecchiature della centrale. Si voleva produrre energia elettrica intercettando il vapore della turbina e la rotazione per inerzia del turbo- generatore. Questa prova era stata richiesta a molte centrali nucleari, ma per l'alto rischio dell'esperimento tutte avevano rifiutato. La direzione di Chernobyl aveva invece aderito».

Questo è l'incipit del Diario di Grigorii Medvedev, comparso due mesi dopo lo scoppio del reattore n. 4 su Novyi Mir ( mensile dell'Unione degli scrittori sovietici) e pubblicato in Italia, nel novembre 1986, dalla rivista " Energia e Materie Prime" diretta da Felice Ippolito e Giorgio La Malfa.

Nel presentare il documento, il Premio Nobel Andrei Sakharov scrisse: « È un racconto competente e veritiero. L'autore è uno specialista del nucleare che ha lavorato a suo tempo a Chernobyl. Subito dopo l'incidente, Medvedev è stato inviato a Chernobyl e ha avuto la possibilità di raccogliere notizie di prima mano e di vedere con i propri occhi » .

I vent'anni trascorsi dallo scoppio della centrale atomica di Chernobyl, nell'Ucraina allora sovietica ( 26 aprile 1986), non sono stati sufficienti a fare uscire la vicenda dalla cronaca e farla diventare storia. Storia nel senso di esame critico di tutti i fatti emersi, indisponibile a occultare responsabilità o azioni di parte. In vent'anni, i mezzi di informazione nel nostro Paese hanno riproposto sempre lo stesso copione di quel tragico evento, aggiornandolo soltanto con nuove previsioni pessimistiche per tenere accesa la fiamma antinucleare. Previsioni che non coincidono quasi mai con quelle esposte dalla scienza e riconosciute in tutto il mondo.

Due grandi categorie hanno conquistato la scena nel dopo Chernobyl in Italia: il movimento antinucleare, e il dossier sulla centrale, mancante però della sua parte più importante.

La cementificazione della centrale atomica di Chernobyl, decisa come prima necessaria misura d'emergenza, ha nascosto anche un segreto che gli italiani non devono conoscere. In occasione del ventennale della tragedia, abbiamo assistito a reportage e inchieste televisive in ricordo di quanto avvenne allora, di quanto è accaduto dopo e dei pericoli che incombono ancora sulle popolazioni delle zone contaminate dalla nube radioattiva. Nessuno, però, si è preoccupato di dire chi abbia innescato quella tragedia. Insomma, l'opinione pubblica italiana è stata sottoposta a una grande opera di disinformazione. Se le cose sono andate così, un motivo ci deve essere.

Vent'anni fa l'Italia è stata sedotta dal «pessimismo catastrofico» ( così Alberto Ronchey, Corriere della Sera, 14 maggio 1986). Tale atteggiamento diede il via per disincentivare l'energia nucleare: «Alt a tutti gli impianti nucleari previsti, a partire ovviamente da quello di Montalto di Castro» ( Gianni Mattioli e Massimo Scalia, Il Manifesto, 1 maggio 1986).

Per qualche mese ancora alcuni scienziati discussero sull'incidente: «Se il reattore di Chernobyl fosse stato costruito seguendo le rigorose disposizioni che gli scienziati non si stancano di precisare e raccomandare, quel disastro non avrebbe potuto verificarsi» (Antonino Zichichi, Il Tempo, 4 maggio 1986); «Non sappiamo, e forse non sapremo mai, se quello di Chernobyl fu un incidente o una catastrofe, una fatalità o una strage colposa» ( Luigi Firpo, La Stampa, 4 maggio 1986); «La domanda è se la scelta nucleare debba essere ulteriormente perseguita, o se il disastro di Chernobyl non sia un monito a cambiar strada» ( Giorgio Tecce, Paese sera, 1 maggio 1986).

Da allora in poi la nostra pubblicistica ha ignorato sistematicamente i rapporti ufficiali sulle dirette responsabilità dei tecnici della centrale. Per partito preso, per evitare il "reato" di lesa maestà sovietica, per priorità ideologiche, per rafforzare il nascente movimento antinucleare.

Il lungo Diario di Medvedev e i documenti dell'Aiea pubblicati dall'Enea (maggio-giugno / novembre-dicembre 1986) sono rimasti confinati in qualche biblioteca sconosciuta agli opinion makers. Nel rapporto della Commissione dell'Urss all'Aiea del 25- 29 agosto 1986 è scritto: «Gli operatori deliberatamente e in violazione delle norme operative, hanno estratto la maggior parte delle barre di controllo e sicurezza dal nocciolo ed escluso alcuni importanti sistemi di sicurezza».

Tiriamolo fuori, una buona volta, questo "segreto" taciuto dall'informazione nostrana, che ha concentrato l'attenzione esclusivamente sulla minaccia della radioattività dispersa nell'ambiente, creando in Italia la base per l'opposizione al nucleare industriale. Per rinforzare la deriva antinucleare, l'opinione pubblica è rimasta tagliata fuori dalla grande informazione mondiale sulle cause dell'incidente. Perché era opportuno che non sapesse che in quel reattore l'innesco della catastrofe era stato attivato coscientemente da ingegneri e tecnici sovietici, avventurosi e inesperti, arrivati ai loro posti di responsabilità esclusivamente per meriti politici. Gli italiani devono continuare a credere che una centrale nucleare sia una bomba atomica costruita vicino alle nostre città.

«Nell'ambito del Gidroproekt, il progetto della centrale di Chernobyl - scrive Medvedev nel suo Diario - operava V. C. Konviz, esperto progettista di centrali idroelettriche (...) Difficilmente Konviz poteva avere un'idea di cosa fosse un reattore nucleare, anche perché si era circondato prevalentemente di specialisti di progettazione di centrali idroelettriche.... G. A. Vertennikov, privo della minima esperienza di esercizio delle centrali nucleari, era direttore del Soyuzatomenergo, ente del Ministero per l'Energetica».

La stessa cosa può dirsi dei responsabili tecnici della centrale: Bryudhanov, Fomin, Dyatlov. «In particolare l'ignoranza del nucleare portava Bryudhanov a circondarsi di persone di senso pratico... Purtroppo non era un ingegnere nucleare. Nonostante ciò, il viceministro dell'Energetica dell'Ucraina lo aveva promosso direttore della centrale di Chernobyl (...) Nel gennaio 1986, Bryudhanov aveva sottoposto il programma della prova all'approvazione dei progettisti della centrale. Non ebbe alcuna risposta. Ciò non ha minimamente preoccupato l'ente responsabile dell'esercizio. L'irresponsabilità di questi enti di Stato era ormai tale da permettere che si effettuasse la prova secondo il programma proposto, nonostante il preciso dovere di intervenire in merito».

Questi tecnici del tutto incompetenti provocarono lo scoppio del reattore, manovrando o escludendo leve, barre di controllo, pulsanti di sicurezza senza sapere quali sarebbero state le conseguenze. Un responsabile della Commissione dell'URSS sulla utilizzazione dell'energia atomica, nell'incontro con gli esperti dell'AIEA del 25- 29 agosto 1986 a Vienna, riferendo sull'incidente ai massimi responsabili delle Nazioni Unite, affermò che i dirigenti della centrale ucraina si erano comportati come un automobilista che pretende di guidare in discesa una vettura priva i freni.

Non un errore, o un incidente, cioè. Ma un atto delittuoso, deliberato, compiuto dai tecnici irresponsabili del dissolto " Stato- guida", come si diceva allora; che ha lasciato eredi in tutto il mondo a opporsi allo sviluppo delle tecnologie avanzate.

da: Libero

 
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