Il sofà delle muse

Il nome storpiato della repubblica

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*Ishtar*
view post Posted on 30/4/2006, 07:16




Cronaca di una morte annunciata della politica che non può neppure decidere tra Franco e Francesco
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Roma. Forse neanche i conti del Sudoku gli saranno tornati, allo zazzeruto senatore che sui banchi alti della sinistra aveva provato a sfangare l’ora e passa della prima chiamata al voto giocando al gioco dei numeri. Presentimenti di una giornata molto lunga. Un’ora dopo, il timido applauso dai banchi della destra segnalava che alla prima tornata Franco Marini non ce l’aveva fatta, e trasformava l’altra metà dell’aula in un disordine di crocchi e capannelli, di foglietti e “ragionamenti” sul perché di quelle schede bianche, sul come di quelle schede nulle che avevano impallinato il candidato preferito di Romano Prodi. La partenza non poteva essere peggiore per l’Unione. Del resto già di prima mattina l’aria non era quella della festa, con Marini a misurare su e giù la sala Garibaldi, parlando fitto fitto, mentre i cronisti davano la caccia a Sergio Pininfarina per sapere chi votasse, e quello rispondeva “Andreotti”, e Marini a parlare ancora più fitto con i suoi. E intanto lui, Giulio Andreotti, si era già materializzato in aula dal passaggio diretto di Palazzo Giustiniani, come il fantasma di Belfagor al Louvre, ad aspettare silenzioso e immoto il suo (giovane) sfidante. Un primo giorno di scuola diverso dagli altri, nonostante Rocco Buttiglione e Roberto Formigoni si aggirassero ciarlieri, nonostante le mise delle senatrici adeguate alla giornata, a parte l’improbabile completo cilestrino di Livia Turco e l’allarmante rosso cardinale di Anna Finocchiaro. Nemmeno la performance da consumato protestatario di Marco Pannella per l’esclusione dal Senato degli esponenti della Rnp stemperava l’ansia da competizione. In aula, intanto, il pellegrinaggio dei senatori del centrodestra allo scranno di Andreotti proseguiva per tutta la giornata e si dilungava via via verso la nottata.
Aria da ritorno dalle vacanze invece a Montecitorio dove, mentre Fabio Mussi fa gli onori di casa, Bersani se la ride in transatlantico, con Anna La Rosa che bacia La Loggia, che bacia Alemanno, Daniela Santanchè sottobraccio a La Russa, l’avvocatissima di Andreotti, Giulia Bongiorno, ciarla fitta fitta con Enrico Letta e solo Enrico Boselli ha l’aria di aver dormito meno profondamente del principe di Condé il giorno avanti la Battaglia di San Quintino.
Tanto qui oggi non succede niente, è il ritornello, i giochi si fanno tutti di là. C’è tempo per i sorrisi e le strette di mano, per i commenti sulla legislatura con molte belle signore. Le deputate del centrodestra in divisa quasi ufficiale, tailleur pantalone scuro, e Giovanna Melandri a spezzare l’assedio con l’eccesso di un completino fucsia primavera. Ma, soprattutto, tutti attaccati al telefono, a scrutare quel che succede al Senato. Così, quando le cinque schede bianche bruciano la prima votazione di Marini, e aggiungendo ai voti di Andreotti i quindici che la Lega ha buttato su Roberto Calderoli (perché Roberto Castelli chiarisce subito: “Ho parlato con Bossi, dalla seconda votiamo Andreotti”), si arriva a un solo voto di scarto. E quando al primo giro a Montecitorio Fausto Bertinotti incassa 48 voti in meno sul totale dell’Unione, e poi ne perde altri tre alla seconda (mentre D’Alema sale a un opinato 51 e alla terza votazione ariverà a 70), a Mussi saltano i nervi: “Al Senato finisce male. Peccato che la legislatura duri così poco”, sbotta in transatlantico, con Rosy Bindi color crema che prova a rincuorarlo: “Stai tranquillo, finisce bene”.

Così dal bertinottismo si passa al nervosismo
Così il nervosismo prende possesso del transatlantico da cui un’irreale aria di festa l’aveva tenuto lontano. La mattina era partita bene, Fausto Bertinotti che con il suo gessato blu mandava un messaggio istituzionale e rassicurante al paese, allegramente chiacchierando con Pierluigi Bersani e Alfonso Pecoraro Scanio. Ma il transatlantico del fair play bipartisan e rilassato è durato il tempo che arrivassero i primi numeri di una legislatura nata in punta di numeri.
Dietro incomincia a materializzarsi l’antico corridoio dei passi perduti, dei conteggi dei voti, delle possibilità degli accordi che scavalcano le maggioranze, di Pier Ferdinando Casini che abbraccia Gerardo Bianco, dell’aria di sospetto su quel che sta combinando Mastella a Palazzo Madama. Ma se cade Marini… Se cade Marini risorge la politica in cui contano anche il peso delle schede bianche, il senso di quelle nulle, le convulse discussioni sull’interpretazione di due voti per Francesco (non Franco) Marini, tra le contrapposte minacce di occupare l’aula, e poi tutti attaccati al telefono a richiamare in aula i senatori per la ripetizione della votazione annullata per carenza d’accordo nel seggio elettorale. Insomma tornano le alchimie di un vecchio mondo in cui il transatlantico ricomincia a essere luogo della politica virtuale, bizantina, in cui nulla è come appare e nulla conta per quello che è. Un’esperienza fantasmatica dove l’intenzione di voto può essere soppesata come un vero voto. Il voto che prima o poi decide tra Andreotti e Marini. E comunque sia andata tanto poi se ne può ridiscutere, per andare avanti e non cambiare e non decidere nulla.
ilfoglio
 
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Blobalouffife
view post Posted on 26/12/2016, 10:44




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