Troppo facile. È vero, siamo in campagna elettorale. È vero, la democrazia, soprattutto quella catodica, costa.
Ma non sapevo che il costo complessivo ammontasse alla totalità di ciò che ci ha fatto, un giorno di tanti anni fa e per i più disparati motivi, diventare comunisti.
Non parlo dei diessini, loro sono un caso a se stante: sono stati così tante volte a letto con il demonio che solo grazie alla loro faccia tosta riescono ancora - con un'inverosimile professione di verginità politica - a fingere di essere un partito di sinistra. Anzi, riescono a fingere di essere un partito tout court.
È uno dei pochi casi conclamati di solipsismo politico, dove un gruppo dirigente dirige unicamente se stesso, in perfetta solitudine, completamente scollato da una base che ha smesso di respirargli accanto quasi vent’anni fa, giusto perché emana lo sgradevole olezzo dello sconfitto e del venduto.
Mi sorprende invece leggere di Cossutta e Rizzo e Bertinotti e dell’incapacità di sentire forte il reale significato del loro ruolo di dirigenti nazionali comunisti.
Mi coglie alla sprovvista il rendermi conto che ancora una volta di fronte ad un popolo che si solleva contro la dittatura, anche questa catodica, vi sia un gruppo dirigente comunista che arretra di fronte a quello che è da millenni il metodo che la massa - sofferente, stanca, abusata - usa per riconquistare la sua dignità, per riappropriarsi del potere, così incautamente affidato a quelle mani prive di calli.
Il movimento è questo, non è un magma confuso: è composto da persone che sanno bene quali siano le loro priorità, e credono che queste dovrebbero coincidere con quelle di chi si è assegnato la titolarità della rappresentanza politica delle comuniste e dei comunisti in questo paese.
Certo, potremmo decidere di aspettare che - attraverso il meccanismo dilatorio dei balletti parlamentari - questi comunisti di inizio secolo facciano qualcosa di comunista, invece di dare patenti a quelli che si oppongono al fascismo, all'imperialismo, al razzismo, al colonialismo ed al totalitarismo con ogni mezzo a loro disposizione, non escludendo il giusto e sacrosanto ricorso alla violenza, spontanea od organizzata.
E questo i "no global" lo sentono. Sanno di essere l'unico vero e grande movimento organizzato globale che - dal Venezuela al Timor Est, da La Habana a Teheran, da Baghdad a Grozny, dal Kurdistan alla Palestina ai Paesi Baschi, dall'Ulster al Polisario - lotta contro chi stupra il diritto e uccide i diritti.
Sanno di avere le carte in regola per opporsi agli altri globalizzatori, quelli che ci tolgono il respiro, riempiono i nostri occhi di lacrime e con il nostro sangue lavano le loro strade. Non rifiutano la globalizzazione, rifiutano un certo tipo di globalizzazione, quella che esclude le persone per privilegiare i capitali.
Ed invece, in questi anni abbiamo assistito alla crescita di un inverecondo sedicente "gruppo dirigente della sinistra" e peggio ancora al concepimento contronatura di un feto deforme che occupa il ventre di un paese stanco, il centrosinistra: un gruppetto di biascicanti eletti che squittiscono di solidarietà con rigore, di diritti e sicurezza, di bipartisanesimo e chiarezza, e altre facezie idiote di questo genere.
Un gruppo di biascicanti eletti moderati che si appresta a ripetere la storia peggiore della sinistra italiana ed europea, abbandonando un’altra generazione di compagni alla violenza del rifiuto sociale, alla violenza del carcere e della lotta armata senza riferimenti politici istituzionali.
Un gruppo di biascicanti eletti moderati che prima che la Caserma Bolzaneto di Genova inghiottisse le urla dei figli dell’Italia intera torturati dalla polizia, avevano nutrito le pareti voraci della Caserma Diaz di Napoli con il lamento di dolore dei nostri ragazzi (questi si davvero nostri) torturati dalla polizia del "governo democratico".
Un gruppo di biascicanti eletti moderati che prima dell’intervento militare in Iraq, ci aveva regalato il bombardamento della Serbia.
Un gruppo di biascicanti eletti moderati che prima delle deportazioni in Libia, ci aveva regalato i Centri di Permanenza Temporanea.
Gentaglia che si scapicolla per apparire in trasmissioni televisive equivoche a fare sfoggio di arguzia ed abiti firmati, che danno del tu - sorridendo beatamente beoti - ai fascisti, ai discendenti di quelli che fucilavano i loro padri politici, quelli che fino a 15 anni fa non avevano cittadinanza nelle strade della politica, poveri peripatetici bipartigiani, che hanno il coraggio di sconfessare i partigiani e basta.
Essere partigiani, se l'etimo non è un'opinione, significa rifiutare la tristezza del compromesso ad ogni costo, la mestizia della moderazione del mestierante.
E io li odio i moderati. Odio quelli che per poter sopravvivere politicamente – a titolo personale o di branco pseudodirigente – compromettono l’integrità di una storia fatta di persone che sono state capaci di anteporre il destino del mondo al proprio, l'interesse dei molti al privilegio dei pochi.
Essere un extraparlamentare di sinistra non è una scelta: lo si diventa quando la sedicente sinistra parlamentare decide di non rappresentarti, quando decide di abbandonarti perché non sei funzionale al proprio perpetuarsi - immoti dal punto di vista dell'elaborazione di una politica nuova e migliore quanto lo sono i licheni - nel sottobosco dell'istituzione.
Allora, e solo allora, diventi un extraparlamentare, un paria degli stessi che non si fanno scrupolo di abbandonarti quando i tuoi bisogni confliggono con la loro convenienza. Loro sanno benissimo che la scelta dolorosa di ricorrere alla violenza risponde ad una precisa scelta di una specie di patetico surrogato d'avanguardia che il nostro sistema politico vuole campeggiatrice a Montecitorio, come fosse un imbarazzante plotone anziane marmotte, e che dimentica, una volta raggiunto lo scranno, di rendersi interprete dei bisogni reale di una vera democrazia popolare.
Odio quelli che mi chiedono di aspettare, di delegare, di pazientare, di votare e lasciare a loro le questioni “da grandi”. Li odio appassionatamente e sono loro i miei primi nemici, quelli che si frappongo fra me, il popolo, e ciò che io desidero: l’uguaglianza, la pace, il controllo delle risorse e della produzione.
Perché la mia pazienza è finita. Ufficialmente.
Vedete, è molto semplice: se qualcuno mi offende io lo picchio, se qualcuno mi picchia io gli brucio la casa, se qualcuno mi brucia la casa io lo uccido, e se qualcuno mi uccide, ad uccidere lui e i suoi bipartigiani saranno i partigiani.
Oggi non ero a Milano. Ma se ci fossi stata, ah, se ci fossi stata avrei innalzato una barricata, ed avrei preso la falce e portato il martello, sarei scesa giù in piazza e avrei picchiato con quello, sarei scesa giù in piazza ad affossare il sistema. Lo avrei fatto per impedire, come ho già fatto, da sola in un assolato pomeriggio romano, ai fascisti di sfilare impettiti, caracollando con il passo di un’oca colpita dall’aviaria.
Ed avrei cantato, forte e chiara:
“È cominciata di nuovo la caccia alle streghe: i padroni, il governo, la stampa e la televisione... in ogni scontento si vede uno sporco cinese: Uniamoci tutti a difendere le istituzioni!
Ma oggi ho visto nel corteo tante facce sorridenti, le compagne quindicenni, gli operai con gli studenti.
Il potere agli operai! No alla scuola del padrone! Sempre uniti vinceremo, viva la rivoluzione!
Quando poi le camionette hanno fatto i caroselli i compagni hanno impugnato i bastoni dei cartelli ed ho visto le autoblindo rovesciate e poi bruciate, tanti e tanti baschi neri con le teste fracassate.
La violenza, la violenza, la violenza, la rivolta; chi ha esitato questa volta lotterà con noi domani!”
Dacia Valent
http://orabasta.iobloggo.com/archive.php?eid=218Può una ......scrivere queste cose credendoci davvero?