Il sofà delle muse

Sergio Leone, perchè è il più grande alla faccia di chi non capisce nulla

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Ishtar
view post Posted on 10/8/2005, 19:10




Sergio Leone. Vi spiego perché è il più grande


di Walter Veltroni
25/7/2005






Una mostra a Los Angeles celebra il maestro che ha inventato gli spaghetti-western. Un osservatore d'eccezione, cinefilo con il mito della frontiera, va oltre e scopre che avevamo il nostro Kubrick. Imbattibile nel raccontare miti e miserie » Vita per immagini



Klaus Kinsky e Mario Brega: l'uno sarebbe diventato l'inquieto protagonista di Fitzcarraldo e l'altro il mitico padre romanaccio delle Vacanze di Natale dei Vanzina. Erano insieme, nel 1965, in Per qualche dollaro in più di Sergio Leone.
Perché il cinema di Leone era una enciclopedia, una meravigliosa enciclopedia.
Se dovessi dire qual è il regista italiano che più mi fa pensare a Stanley Kubrick, il più grande con Chaplin, Fellini e Hitchcock di tutti i tempi, è proprio l'inventore degli spaghetti western. Del suo cinema ha detto una volta: «Il cinema deve essere spettacolo, è questo che il pubblico vuole. E per me lo spettacolo più bello è quello del mito. Il cinema è mito».
Pensando e facendo cinema così Sergio Leone è diventato un mito.
Ognuno, chiudendo gli occhi, potrebbe descrivere il tempo, i ritmi dei film di Leone. Potrebbe restituire le sensazioni di «grande» che i campi lunghi e i piani sequenza offrivano allo spettatore. Che vedeva un film costruito come un mito, con il linguaggio e gli spazi temporali e fisici del grande racconto classico.

Leone attingeva a piene mani e quando parlava del suo primo western Per un pugno di dollari giustamente non si vergognava di chiamare in causa Shakespeare e Plauto, Terenzio e Goldoni. Fino a Omero, «i cui personaggi non sono altro che gli archetipi degli eroi del West. Ettore, Achille, Agamennone non sono altro che gli sceriffi, i pistoleri e i fuorilegge dell'antichità».
Non per caso, di lì a poco, Duccio Tessari avrebbe trasformato Giuliano Gemma in un Ringo che era Ulisse nel West in un film perduto e bello che si chiamava Il ritorno di Ringo. Strano, no?
Il genere che tutti i critici del tempo bollavano con l'infamia del disimpegno era molto più colto e motivato di tanti prodotti bandiera rossa e pugno chiuso. A scrivere quei film erano sceneggiatori d'eccezione come Age e Scarpelli, Luciano Vincenzoni e, per C'era una volta il West, persino Bernardo Bertolucci e Dario Argento.
A confermare il carattere non frivolo di quei western girati a Manziana c'erano espliciti riferimenti alla storia del cinema più colto, tanto che Leone, che si firmava prudentemente Bob Robertson, non esitò a richiamare per Un pugno di dollari la paternità dell'Akira Kurosawa di Yojimbo.

D'altra parte John Sturges non aveva scelto di fare un remake di I sette samurai con il fantastico I magnifici sette?
Non erano scherzi, quei film da poche lire. Costavano poco e incassavano tanto. Andavano a vederli tutti, quelli che scorgevano Joyce e quelli affascinati dalla comparsa di una violenza inedita. Si è molto discusso sulla efferatezza delle scene di violenza nel cinema di Leone.
Eppure io penso, con lui, che quell'uso della violenza avesse un significato morale, fosse una «educazione al dolore», lo sforzo di far capire che la morte non era un uomo piegato sulle gambe in campo lungo ma la materialità orrenda del sangue che sgorga, dell'urlo di una vita che finisce.
Non è Quentin Tarantino, è il Michael Cimino che fa rabbrividire, non ideologicamente, per la terribile mostruosità della guerra in Il cacciatore.
Il cinema di Leone è cresciuto, opera dopo opera. Come se il regista acquistasse una meravigliosa sfrontatezza, una assenza di timidezze nel nutrire il suo genere «minore» di significati sempre più grandi.
Grandi come gli spazi delle sue immagini. Grandi come quella musica meravigliosa di Ennio Morricone che aggiungeva senso e pathos, epica e racconto. Gianni Amelio ha scritto che vedeva i film di Leone anche per «guardare» la musica.
Che non era ancella delle immagini ma protagonista, uno dei linguaggi possibili.

Come la faccia di Clint Eastwood.
Nell'intervista rilasciata a Francesco Mininni e pubblicata nel Castoro a lui dedicato, Sergio Leone racconta come scelse Clint.
«Avevo bisogno più di una maschera che di un attore, ed Eastwood a quell'epoca aveva solo due espressioni: con il cappello e senza cappello».
A quell'epoca, perché di lì a poco Clint sarebbe diventato non solo un grande attore ma un magnifico regista, uno dei migliori contemporanei.
Il suo Gli spietati è il più bel film western degli ultimi anni e Sergio Leone sbuca da tutte le parti. Basterebbe questo, anche solo questo, perché il cinema sia riconoscente a Leone.
Ma se amate il cinema, quello vero; se pensate che i film siano fantasia e sogno, storia e mito; se il movimento di un dolly vi toglie il fiato, se vi piacciono le storie grandi e preferite Proust o Roth a David Leavitt, allora non perdete un solo fotogramma di Leone.

Se fosse vissuto di più avrebbe, come Stanley Kubrick, immerso il suo talento in ogni anfratto dei generi possibili.
È morto sognando di girare un grande film sull'assedio di Leningrado. Così avrebbe aggiunto al western e ai film mitologici dell'inizio carriera un altro tassello di epica, quella della morte e della vita nell'inferno della guerra. Kubrick torna costantemente come riferimento.
Anche quando Fernaldo Di Giammatteo deve descrivere la meravigliosa avventura di C'era una volta in America.
Dice: «Afferra e stringe in un mazzo l'intera tipologia del cinema statunitense (i generi, dal gangster alla commedia, dal dramma psicologico all'horror, dal giallo al melodramma urbano), la ricompone in modi originali, la inserisce in una struttura temporale che comporta salti vertiginosi come nemmeno Orson Welles e Stanley Kubrick avrebbero osato». È il suo film più grande, la sua storia più matura.
Ci sono Chandler e Dos Passos, Fitzgerald e Hammett. Un'esperienza, non un film da vedere. Girato da un regista che assomigliava a Orson Welles e girava come Kubrick. E scriveva dialoghi come Ennio Flaiano.
«Il mondo si divide in due categorie: chi ha la pistola carica e chi scava. Tu scavi». O ancora, e può valere per lui che se n'è andato troppo giovane, una frase di C'era una volta in America: «Che hai fatto in tutti questi anni, Noodles?». «Sono andato a letto presto».
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da panorama.it

Eh già....

Edited by Ishtar - 10/8/2005, 20:13
 
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sandokan23
view post Posted on 15/9/2005, 17:08




Molto bello quello che afferma Leone, un grande regista che è considerato moltissimo all'estero..molto meno da noi, dove certi cacasenno e i soliti tromboni trombati, lo ritengono un regista per il popolino ignorante e boccalone.Ma quello che dice Leone è vero: il cinema è dello spettatore, non di chi saccente e noioso al massimo, sa solo sputare solo veleno e...invidia
 
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verbenasapiens
view post Posted on 29/9/2005, 21:22






SERGIO LEONE... e il mito

"Il cinema dev'essere spettacolo, è questo che il pubblico vuole. E per me lo spettacolo più bello è quello del mito". Sergio Leone (Italia, 1929-1989), è stato senza dubbio l'inventore oltre che il maggior esponente del "western all'italiana", meglio conosciuto come "spaghetti-western", genere sicuramente tra i più imitati. Celebrato per la sua qualità dagli stessi americani (che dell'argomento ne sanno parecchio!) è doveroso sottolineare che lo spaghetti-western, insieme al neorealismo, alla commedia e all'horror all'italiana, fu un filone di rilevanza internazionale! Ma il messaggio cinematografico di Leone, non si limita ad un cinema minore come quello western: ha influenzato centinaia di autori del panorama mondiale, dai colleghi contemporanei fino alle ultimissime leve. Jan Kounen, per il suo feroce "Doberman" ha dichiarato:"Il mio film di riferimento è «Il buono, il brutto, il cattivo» di Sergio Leone, con la sua amoralità paradossale e il suo gusto della beffa".

Il resto è qui
http://www.1aait.com/larovere/leoneser.htm
Filmografia di Leone
"Gli ultimi giorni di Pompei", 1959;
"Il colosso di Rodi", 1960;
"Sodoma e Gomorra" di Robert Aldrich (Leone è regista della seconda unità e delle scene di battaglia), 1962;
"Per un pugno di dollari", 1964;
"Per qualche dollaro in più", 1965;
"Il buono, il brutto, il cattivo", 1966;
"C'era una volta il West", 1968 (esiste una recente edizione "C'era una volta il West - The director's cut" prodotta da Tele Più e il Centro Sperimentale di Cinematografia);
"Giù la testa", 1971 (esiste una versione integrale restaurata prodotta da Tele Più e il Centro Sperimentale di Cinematografia);
"C'era una volta in America", 1984.

il mio preferito?
C'era una volta in America, film stupendo
 
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2 replies since 10/8/2005, 19:10   142 views
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