Nome: Clive Owen
Data e luogo di nascita: 3 Ottobre 1964, Coventry, Gran Bretagna
Non capita spesso. Il più delle volte, quando si incontra dal vivo un “bello” del cinema o della tv, l’effetto è: tutto qui? Nel caso di Clive Owen l’impressione ravvicinata è invece: molto meglio che sullo schermo. È più alto di quanto ci si aspetti, meno ruvido di lineamenti, ha un modo avvolgente di trattare. Sexy potrebbe essere la definizione giusta. Julia Roberts, che in Closer lo ha visto molto da vicino, preferisce “mozzafiato”. E se lo dice lei...
A questo punto, basterebbe sostituirgli l’abbigliamento casual con uno smoking, la bottiglietta d’acqua con un Martini e diventerebbe un perfetto “agente al servizio di Sua Maestà”. E infatti Owen, premiato con un Golden Globe e candidato all’Oscar (non ha vinto, ma c’è andato vicino) per l’interpretazione in Closer è il più accreditato fra i possibili James Bond dell’era Post Brosnan, in lizza per la parte con il dottor Nip Tuck, Julian McMahon.
Probabilità di aggiudicarsi il personaggio? “Beh, so che si fa il mio nome. Ma credo dipenda soprattutto dalla pubblicità”, minimizza l’interessato. In che senso? “Ho interpretato otto short pubblicitari per la Bmw, diretti da grandi registi del cinema come Ang Lee, John Frankenheimer, John Woo. Si trattava di piccolissimi film d’azione in cui facevo il “pilota misterioso” in una serie di avventure alla guida dell’auto. E quando un attore sta su una macchina veloce, l’associazione con 007 diventa automatica”.
Può darsi. O forse è la scaramanzia di chi, fino a quando non ha incontrato il regista Mike Nichols e il ruolo del dermatologo innamorato della “stupenda, vi assicuro” Julia Roberts, era popolare solamente fra sei milioni di donne inglesi. Che, all’inizio degli anni ‘90, non si perdevano una puntata del telefilm Chancer e della sua simpatica canaglia protagonista, Clive appunto. Ora, invece, con i premi arrivano anche continue proposte di lavoro e l’attore - “il più versatile che abbia mai incontrato”, dice la Roberts - ha un fittissimo carnet d’impegni hollywoodiani.
L’ultima notizia lo vede ingaggiato la prossima primavera dal remake del kolossal catastrofico L’avventura del Poseidon, dove dovrebbe avere la parte che fu di Gene Hackman, il reverendo che tentava di guidare alla salvezza i passeggeri di un trans-atlantico disastrato. Il primo aprile riapparirà intanto sugli schermi americani con Sin City, nei panni di un ex fotografo che accidentalmente uccide un poliziotto. Quindi, il pubblico lo ritroverà a fianco di Jennifer Aniston in quello che il protagonista definisce “un incubo fra Hitchcock e Kafka”: Derailed, storia di come una coincidenza mancata e uno strano incontro in treno possano cambiare la vita di un uomo d’affari e di una donna.
Pensare che fino a poco tempo fa quasi nessuno sapeva chi fosse questo quarantenne, sì “sexy e imprevedibile” (definizione di Mike Nichols, regista di Closer), ma relegato a parti minori, come il professore assassino di Bourne Identity o il valletto di Gosford Park. Parte, quest’ultima, per la quale egli stesso ha preteso che gli fossero tagliate alcune battute “superflue”, suscitando lo stupore del regista Robert Altman: “In questa professione tutti lottano per avere più spazio sul set. Lui è il primo che mi abbia chiesto di parlare di meno”.
Owen, d’altra parte, ha imparato presto a non fare la primadonna. Da ragazzo, dopo aver recitato in un Oliver Twist teatrale, aveva capito che il palcoscenico sarebbe stata la sua vita. L’insegnante di recitazione gli disse però che avrebbe fatto meglio a lasciar perdere: troppo proletario. È vero: non aveva un buon curriculum familiare. Papà Jess, cantante country, aveva abbandonato la famiglia, moglie e quattro bambini, quando Clive aveva tre anni (padre e figlio si rividero solo sedici armi dopo, per perdersi nuovamente di vista: “È dal 1985 che non ci sentiamo nemmeno”, ammette Jess). Il ragazzino crebbe a Coventry, allevato dalla mamma e dal patrigno ferroviere, con pochi soldi. Ma la gavetta non gli fece male. Tanto che, dopo il primo rifiuto, riuscì a farsi ammettere alla Rada, la famosa Royal Academy of Dramatic Art.
Dopo molto teatro - “uno splendido esercizio, duro e difficile, ma ti serve a mantenerti fresco” - un po’ di tv e qualche film, Owen ha ottenuto finalmente il ruolo da protagonista con il kolossal King Arthur film difficile: l’attore non sapeva cavalcare, ma si è rifiutato di usare controfigure, perché “se un altro sa fare una cosa meglio di me, tanto vale che reciti lui”. In realtà, con i cavalli Owen ha un ottimo feeling in altro campo: è nota la sua passione per le scommesse. Un tempo, ricorda, non si poteva permettere di giocare se non cifre minime. Ora che Hollywood glielo consente, non pone più limiti al budget.
Sono altri i limiti che si dà. Uno è professionale: “Nonostante la fortuna che sto avendo a Hollywood, non voglio diventare americano, trasferirmi a Los Angeles”, dice convinto. Perché? “È una città che ti divora l’anima, va bene per il lavoro, ma subito dopo è meglio andarsene. Poi la mia famiglia vive a Londra, li è la mia cultura, lì è la mia storia”. Ecco, la famiglia: è questo l’altro punto fisso. Da quando, alle prime esperienze teatrali molti anni fa, conobbe Sarah-Jane Fenton: lui faceva Romeo, lei era Giulietta. Inevitabile che si innamorassero. Con qualche tempesta (a un certo punto sembrava che la donna avesse intrecciato un nuovo amore con il ben più vecchio attore Richard Harris), superata dieci anni fa dal matrimonio.
Sarah-Jane adesso ha rinunciato a recitare e fa la mamma. Di due figlie, che hanno 7 e 5 anni: Hannah ed Eve. Clive continua la carriera, ma assicura: “Per me è fondamentale stare con le mie bambine, come non ha fatto mio padre con me. Certo, a un figlio un genitore che recita provoca delle inquietudini. Non sa mai se il papà domani sarà lì con lui o se dovrà partire per un set lontano. Io però ce la metto tutta, quando non devo lavorare vado a prendere le bambine a scuola e trascorro ogni minuto libero con loro”. E se un giorno le dicessero che vogliono diventare attrici? “Ne sarei felice: è un mestiere meraviglioso”. Con o senza Oscar.
Da Vanity Fair, 17 Marzo 2005
link