Munich: Spielberg va al contrattacco
Dopo le polemiche in tutto il mondo, il regista di Munich, in uscita il 27 gennaio in Italia, parla con Panorama della Palestina: "È tutto nelle mani dei successori di Sharon. Speriamo che seguano la sua strada"
C'è il futuro James Bond, l'attore inglese Daniel Craig, ma non è la classica spy story. C'è l'ultimo Ettore, l'attore australiano Eric Bana, ma non è il classico film d'azione. Anche se porta la firma di Steven Spielberg e segue di appena sei mesi La guerra dei mondi, kolossal della sua amata fantascienza, Munich ha scatenato un furioso dibattito politico.
Partendo dal mortale attacco palestinese contro gli atleti israeliani alle Olimpiadi del 1972, il più famoso regista del mondo (e anche il più rispettato artista ebreo) si è interrogato senza pregiudizi sulle ragioni di un conflitto che dura dal 1948.
«Fu la prima volta che sentii la parola terrorista» racconta Spielberg. «Inchiodato davanti alla televisione, quel 5 settembre di 33 anni fa pensavo che si trattasse di una falange palestinese della banda Baader-Meinhof».
Invece era Settembre nero, che con quella operazione voleva far conoscere al mondo in diretta la sua esistenza e le sue ragioni.
Era dal 1998 che Spielberg rimuginava su come adattare Vendetta, il libro di George Jonas che racconta la risposta di Israele: localizzare nel mondo ed eliminare gli autori palestinesi del massacro (missione mai ufficialmente ammessa dal governo di Gerusalemme). Dopo cinque diverse versioni della sceneggiatura, quella firmata da Erich Roth (Forrest Gump) e da Tony Kushner (Angeli in America) ha sciolto i suoi dubbi.
Munich è un film cinematograficamente teso, filosoficamente e politicamente complesso. «Non mi interessava spiegare se la logica dell'occhio per occhio fosse buona o cattiva, ma testimoniare come siamo arrivati a questo punto in una diatriba che non è risolta» sostiene Spielberg. «Parlo di guerra per evocare la pace». «Diciamo a questi macellai… voi non volete dividere questo mondo con noi, quindi non siamo tenuti a dividerlo con voi» dice nel film il primo ministro Golda Meir prima di ordinare la vendetta.
«Avete idea di quante leggi abbiamo violato? Comprese quelle dello stato di Israele che non prevede la pena di morte» dirà più tardi Carl, uno dei cinque sicari di stato. Quanto ai palestinesi, la loro posizione è riassunta nelle frasi: «Siamo il più grande popolo di profughi del mondo. Hanno preso le nostre case, viviamo in accampamenti. Senza futuro, senza cibo, senza niente di dignitoso»; «Tu non sai cosa vuol dire non avere una patria. Noi vogliamo essere nazione. La patria è tutto».
Munich ha suscitato un dibattito furente (esponenti delle comunità ebraiche hanno considerato il regista al minimo un «velleitario» e al massimo un «traditore»), destinato a rinnovarsi con l'uscita in Italia il 27 gennaio. Spielberg, che finora ha parlato solo attraverso il film (nessuna conferenza stampa di lancio e una sola intervista a Time), ha accettato di parlare con Panorama.
Si aspettava questo putiferio?
Me lo auguravo. L'unica vera critica per me sarebbe stato il silenzio.
Da molti anni lei annunciava e poi rimandava questo film. Come mai?
Ero spaventato dall'isteria che spesso accompagna registi e scrittori quando si occupano di Medio Oriente. Non sono ingenuo: sapevo dove andavo a cacciarmi, ma avevo qualcosa da dire, o da domandare.
«Non faccio paralleli fra palestinesi e Al Qaeda che vuole distruggere la civiltà occidentale» dice Spielberg.
Che cosa l'ha convinta che era il momento giusto per «Munich»?
I passi verso la pace fra palestinesi e israeliani vanno avanti e indietro perché c'è troppa gente che non vuole sforzarsi di capire e considera perfino la diplomazia una resa. Sono un ebreo americano e ho sempre spalleggiato Israele. Stavo per girare Munich nel 2001, ma subito dopo l'11 settembre non era il caso. Nel 1972 Golda Meir, dopo molte riflessioni e grande pena, non si limitò certo a gonfiare i muscoli. Sono convinto che Israele dovesse rispondere con la forza: circondato com'è da nemici non poteva mostrarsi debole. Ma volevo sottolineare che, quando rispondi alla violenza con la violenza, ci sono risultati che non avevi previsto: dalla possibilità che il terrorista eliminato venga rimpiazzato da uno ancora più feroce al fatto che da aggredito ti trasformi in aggressore.
È per questo che ci sono state tante critiche dalla comunità ebraica che dai tempi di «Schindler's list» l'aveva sempre applaudita?
Mi hanno accusato di avere trattato da esseri umani i palestinesi, di aver dato loro una voce, lo hanno definito il «peccato di equivalenza». Chi giudica Munich «moralmente equivoco» ha visto il film in maniera preconcetta. Ma chi lascia a casa le sue certezze non può che interrogarsi come faccio io attraverso il mio protagonista.
Qualcuno è arrivato a dire che sembra un film diretto da un regista non ebreo.
Io penso che solo un regista ebreo poteva raccontare questa storia, e io sono un regista ebreo.
Qual è la maggiore differenza fra «Schindler's list» e «Munich», anche considerando il suo personale impegno?
Ci sono solo differenze. Il primo era un ricordo di un pezzo di storia passata che parlava di tolleranza, Munich è la cronaca di una storia ancora viva oggi e che continua. Schindler's list non voleva essere un film politico, Munich sì.
La scena che definirebbe più importante?
Il film è composto da differenti punti di vista e chi lo vede può tirare le proprie conclusioni. C'è stata una scena più difficile da girare, e non parlo di tecnica, ma di emozioni: quando gli atleti israeliani vengono presi in ostaggio dai palestinesi è stato struggente per tutti. Ho scelto attori israeliani e attori arabi ed è stato catartico. Sul set sono diventati veramente amici. La sera pensavo: guardali, funziona, questa gente può stare insieme.
È vero che ha mostrato la sceneggiatura ai suoi amici più cari?
Al mio rabbino, ai miei genitori, a Bill Clinton. Proprio perché amo Israele penso che, in quanto artista, il peccato più grave che potevo commettere era quello del silenzio. Paura e autocensura sono errori: un artista deve confidare nella decenza e nell'intelligenza del pubblico.
Qualcuna delle critiche l'ha offesa?
No. Chi ha scritto stupidaggini mi ha rattristato perché è rimasto fermo nella sua trincea, senza nemmeno ammettere il beneficio del dubbio.
Quanto c'è di finzione in «Munich»?
Credo che la maggior parte dei fatti sia vera. Il libro di Jonas è stato attaccato, ma mai smentito con prove. Uno dei consulenti del film è stato proprio il vero protagonista della storia. Sia ben chiaro che non avrei mai fatto un film di finzione.
Uno dei pochi effetti speciali del film è l'immagine delle Twin Towers nel finale. Che significato ha?
Solo che allora facevano parte del panorama di New York. Non ho voluto fare un parallela fra i palestinesi che lottano per la loro terra e Al Qaeda che vuole distruggere la civiltà occidentale. Noi americani abbiamo sbagliato invadendo l'Iraq, che non aveva niente a che vedere con le Torri gemelle.
Come vede il futuro?
Tutto dipende dai successori di Ariel Sharon, che ha fatto cose grandiose. Se seguiranno il suo esempio, riuscirò a vivere la pace. E anche i miei figli, perché sarà duratura.
STORIA TRAGICA
La notte del 5 settembre 1972 e le 23 ore seguenti la presa in ostaggio di 11 atleti israeliani nel villaggio olimpico di Monaco: comincia così Munich, ricreando quel che il mondo visse in diretta tv.
Poi va dietro le quinte, accompagnando i 5 sicari scelti dal Mossad per eliminare i mandanti palestinesi. Missione eseguita, anche se a cose fatte si saprà che non tutte le persone uccise erano coinvolte nell'attacco a Monaco.
Una spy story in piena regola quella girata da Spielberg, sia pure ispirata a fatti realmente accaduti
Munich (Usa 2005)
Distribuzione: Uip
Regia: Steven Spielberg
Cast: Eric Bana, Daniel Craig, Ciarán Hinds, Mathieu Kassovitz, Hanns Zischler, Ayelet Zurer, Geoffrey Rush, Yvan Attal, Michael Lonsdale, Mathieu Amalric, Lynn Cohen
Sceneggiatura: Tony Kushner ed Eric Roth (dal libro di George Jonas, Vengeance: The True Story of an Israeli Counter-Terrorist Team)
Fotografia: Janusz Kaminski
Montaggio: Michael Kahn
Musiche originali: John Williams
Genere: spy story
Durata: 150 min.
Uscita nelle sale: 27 gennaio 2006
Sito:
http://www.uip.it/munich/main.html http://www.panorama.it/spettacoli/star/art...1-A020001034476bella intervista, persone intelligente e acuta Spielberg, non si diventa per caso un mito