Il sofà delle muse

Steven Spielberg, un grande della storia del cinema

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verbenasapiens
view post Posted on 14/6/2005, 19:56




Sta per uscire l'ultimo film di Spielberg che sarà certamente avvincente e spettacolare, vero cinema popolare , fatto per chi vede i film e non chi va a vedere con la puzza al naso i suoi film( o non li vede..) sapendo già che dirà che è il solito filmetto per quattro cretini boccaloni che non capiscono nulla di cinema..un classico..già perchè vuoi mettere il regista di Old Boy..? Quello sì che fa grande cinema con attorui espressivi come una trota salmonata bollita..
Allora parliamo del grande Steven e della sua ultma opera in uscita..cominciando da una sua intervista

Spielberg: stavolta vi farò davvero paura

«Gli alieni sanguinari della Guerra dei mondi come simbolo del nostro incubo-terrorismo»


LOS ANGELES — «Quand’ero bambino giocavo sempre a spaventare le mie sorelle. Ho continuato a farlo da ragazzo e mi riesce benissimo». In partenza per ilGiappone, dove presenterà in anteprima la sua Guerra dei mondi, Steven Spielberg parla del film che sognava da sempre di dirigere, tratto dal libro di H.G.Wells: una storia in cui gli spaventosi alieni invasori sono tripodi, con occhi di vetro e succhiano sangue umano. Lasciano macchie rosse sul terreno: alghe purpuree, che sempre più avviluppano il mondo in tentacoli. Perché un film sulla paura, sul terrore della gente? «E' vero, volevo spaventare tutti, incutere terrore al mondo. La paura ha un effetto catarchico, è una presa di coscienza. Spero che la platea trovi un senso nella figura di questo padre, TomCruise, impegnato nel disperato tentativo di salvare i suoi figli che gli erano stati affidati per il fine settimana; lui, come capita a tanti uomini sempre presi dal lavoro, di solito non se ne sente responsabile ».
«La guerra dei mondi» era un suo sogno: perché? «Ho sempre pensato: se mai avrò la possibilità di portare sullo schermo il libro di Wells, voglio farne non tanto un film di fantascienza, quanto piuttosto un racconto psicologico, sociologico, su una cultura che improvvisamente si ritrova in fuga, nel disperato tentativo di salvare la propria stessa esistenza». Wells era un visionario: riuscì a prevedere l'uso di gas per scopi bellici... «E i robot industriali...Ma seppe anche impegnarsi per la difesa dei diritti umani quando l'Impero britannico si estendeva su un quarto del pianeta e si assisteva al genocidio di intere popolazioni indigene. La paura divenne uno strumento di analisi sociale quando prese la penna per dire che nessuna nazione poteva considerarsi tanto grande da essere essa stessa immune dal rischio della dominazione altrui».
Scriveranno, come per per Star Wars episodio III, che il suo è un film di critica all'America di oggi... «Non ho girato il film mosso dalla collera e non l'ho fatto con l'intento di sferrare un attacco contro una certa amministrazione. Wells era furibondo contro il colonialismo e raccontò una sorta di giorno del giudizio».
E lei che cosa ha voluto raccontare? «In America abbiamo, è vero, un imperialismo quasi agli esordi... Non sta cominciando ora, diciamo che da cinque anni siamo diventati più imperialisti. C'è più unilateralità sotto l'attuale amministrazione repubblicana di quanto sia avvenuto prima, o almeno di quanto io abbia visto prima. Ma il film non è una risposta a tutto questo. Penso, al massimo, che si tratti di una coincidenza. Certo, è un monito che queste cose stiano avvenendo oggi e che La guerra dei mondi tratti anch'esso di imperialismo, originato però da un altro pianeta».
Lei non era ancora nato quando Orson Welles mandò in onda alla radio il programma dal libro di H.G. Wells... «No,ma all'epoca del programma di Welles imiei genitori vivevano a Cincinnati nell'Ohio, e la costa orientale fu travolta dal panico per quella trasmissione. Nel mio film, tutti scappano. In qualche misura, La guerra dei mondi riflette uno stato di panico che noi oggi abbiamo nei confronti del terrorismo, derivante da quello che è accaduto l'11 settembre. La paura è una brutta bestia, genera isteria collettiva».
Crede all'esistenza di altre civiltà nello spazio, agli Ufo, ai marziani? «Credo che là fuori, nell'universo, vivano e prosperino milioni di civiltà. Non penso che noi siamo l'unica civiltà intelligente nell'universo conosciuto altrimenti non avrei fatto E.T. né Incontri ravvicinati del terzo tipo. Sono convinto che lassù ci sia vita. Lontano, oltre la Terra. Per La guerra dei mondi,mi sono affidato al mio istinto». In che senso? «Invece di credere al proprio intelletto, bisogna seguire l'istinto e il film nasce da questa spinta e dal concetto della paura compagna delle nostre giornate, ormai. Non volevo raccontare il punto di vista di un astronomo, di uno scienziato, ma quello degli umani, i loro timori quotidiani, dietro grandi interrogativi».
Chi è la tuta blu impersonata da Tom Cruise? «Un uomo qualsiasi. Ho fatto del mio meglio perché Tom fosse il meno possibile Tom Cruise. Volevo che incarnasse un vero operaio, volevo che fosse una persona qualsiasi di Bayonne, uno che viene dall'Ironbound nel New Jersey, uno che lavora su quelle enormi gru che sollevano i container. Doveva rappresentare tutti quanti noi». E che cosa impara nel suo viaggio di sopravvivenza? «Molto. E ciò che impara avrà ripercussioni, forse gli permetterà di salvare la sua famiglia... E' una cosa che molte persone devono fare oggi. Penso alle emigrazioni. Le persone devono adattarsi a un ambiente completamente nuovo, con il quale improvvisamente si trovano a dover fare i conti». Gli alieni sono terrificanti, trasformano la Terra, cambiano l'atmosfera, la temperatura. Per marcare il terreno conquistati coprono la Terra con una strana erba rossa... «Se non si fa vedere l'azione di succhiare il sangue, ma la si suggerisce in maniera implicita, si può fare tutto. Credo che una delle cose che generano più spavento nel film derivi dalla mia scelta di suggerire piuttosto che mostrare. I nostri alieni probabilmente vengono da un luogo lontano come quello dal quale arrivava E.T. Ma giungono da una zona più oscura... più oscura dell'Universo mentre E.T. veniva da un pianeta piuttosto benevolo ».
Giovanna Grassi

il corriere.it

Edited by verbenasapiens - 14/6/2005, 20:57
 
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Rachael
view post Posted on 14/6/2005, 20:25




Grande Spielberg...non me lo perderò di sicuro
 
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Ishtar
view post Posted on 3/7/2005, 11:52




Spielberg, film su strage Monaco '72

Al via le riprese del nuovo film di Spielberg sulla rappresaglia dopo la strage degli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco nel 1972. La pellicola prende il via dalla strage di Monaco per affrontare temi politici scottanti: il conflitto tra Israele e Palestina e la risposta di una società civile agli atti di terrorismo. Il film umanizza i terroristi palestinesi ma anche i killer israeliani colti da dubbi sulla legittimità della rappresaglia. Il film uscirà negli Usa il 23 dicembre. (Ansa)

 
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Ishtar
view post Posted on 4/7/2005, 15:51




Steven Spielberg



"Il sogno ci libera dalle nostra angosce, ci permette di mettere ordine nella nostra vita diurna. Abbiamo pianto nel sonno, abbiamo riso nel sogno, abbiamo avuto un orgasmo nel sogno. Credo che un giorno sarà possibile rivolgersi direttamente al proprio cervello, programmare una storia, confezionata all' esterno da altri. Una storia che potrà fare di noi addirittura un personaggio di se stessa..."

Creatore di sogni. Forse il più grande. Se è possibile trovare un filo conduttore nei suoi lavori (non opere, come dice lui stesso, ma lavori) così diversi fra loro (mettete uno accanto all' altro film come Jurassic Park e Salvate il soldato Ryan) è proprio il sogno. O meglio, la sensazione, quando ci si siede nella sala buia, di non essere del tutto svegli. E questo accade non solo quando Steven Spielberg, il geniale affabulatore, ci racconta delle fiabe, nere o formato famiglia che siano, sempre di favole si tratta, ma anche quando abbandona momentaneamente il campo della fantasia per rivolgersi a quello, più prosaico, della realtà.
Se il sogno è infatti qualcosa che ci permette di mettere ordine nella nostra vita diurna, è possibile approfittare dello stato di semi-incoscienza che ci provoca un film per fare in modo che un briciolo di sogno entri nella realtà e, perché no, anche nella Storia.

E allora, persino nella mostruosa tragedia della seconda guerra mondiale, ecco che si scoprono momenti in cui l'uomo smette di essere bestia e con i suoi piccoli gesti riscatta l' intera razza. E se si tratta di fatti realmente accaduti, tanto meglio: è bello poter dimostrare, ogni tanto, senza ricorrere ad alieni o a dinosauri che il bene ha una forza tutta particolare, che può essere sporcato, massacrato, essere sul punto di morire, ma alla fine rimane sempre in piedi, zoppicante quanto si vuole, ma pronto a ricominciare.
Concetti banali per un cinema commerciale e solo di superficie? Forse. Ma, se andiamo un secondo al di là della retorica dei buoni sentimenti e di alcune cadute di tono nel nome dei valori da buon cittadino americano (sempre presenti, non lo nego, nella filmografia di Spielberg), scopriamo che c'è dell' altro, radicato in profondità, ma sommerso, come se il regista non volesse mai essere preso del tutto sul serio.

Ed è la partecipazione, sentita, forte e dolorosa, per la tragedia del genere umano. Un senso di pietas che impone di perdonare e di offrire sempre un' altra possibilità. Spielberg fotografa dei piccoli uomini costretti a diventare giganti, loro malgrado, uomini che non hanno nessuna voglia di essere eroi, e infatti il loro eroismo è sempre accidentale, forzato, a volte anche ridicolo. Personaggi che ricevono una spinta morale dalle circostanze e che, in situazioni normali, sarebbero vili e meschini come tutti gli uomini in tutti i giorni della loro vita. Che cosa accade a questi eroi mediocri? Si ritrovano a combattere contro forze troppo grandi per loro, la natura improvvisamente impazzita o una catastrofe mondiale, oppure gli viene regalata dall' alto una possibilità di redenzione, che può avere il volto di un alieno che comunica con la musica, o di un piccolo androide che prega un pupazzo da luna park. E a quel punto, devono scegliere. Nei film di Spielberg, l' uomo, alla fine, sceglie sempre per il meglio, anche a costo della sua stessa vita. Semplicistico? Può darsi. Ma parliamo sempre di fiabe, parliamo di sogni, e le fiabe e i sogni servono a mettere ordine dove c'è solo il caos.

http://cinema.castlerock.it/speciali.php/id=3

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Rachael
view post Posted on 4/7/2005, 20:56




Verissimo Spielberg é il più grande creatore di sogni, l'unico che riesce ad affascinare, divertire e far pensare
 
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verbenasapiens
view post Posted on 4/10/2005, 20:32




Spielberg sugli ufo in Calabria
Regista partecipera' sabato a convegno su extraterrestri
(ANSA) - COSENZA, 4 OTT - Steven Spielberg sara' sabato all'Universita' della Calabria per partecipare al primo simposio internazionale sull' ufologia. Promosso dal Centro ufologico nazionale, durante il convegno fisici, ufficiali dell'aeronautica, giornalisti e scrittori si confronteranno sulla possibile scoperta di civilta' intelligenti nell'universo. Spielberg partecipera' ai convegni in programma venerdi' e sabato dove si parlera' di come il cinema ha affrontato il tema degli extraterrestri.

http://www.ansa.it/main/notizie/awnplus/sp...04_1447480.html
molto interessante..la guerra dei mondi mi è piaciuto davvero molto come film tongue.gif
 
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valmont74
view post Posted on 2/11/2005, 21:27




Spielberg,slitta uscita film Monaco
Problemi con la colonna sonora, in dubbio per corsa Oscar

(ANSA) - ROMA, 2 NOV - Gravi ritardi in fase di post-produzione per il nuovo film di Steven Spielberg dedicato alla strage degli atleti israeliani a Monaco 1972. Il problema maggiore e' rappresentato dalla colonna sonora, visto che il compositore John Williams e' ancora impegnato nella fase creativa. Il regista spera di concludere il film in tempo e di riuscire a presentarlo nei cinema entro Natale, scadenza vitale sia per gli incassi sia per la qualificazione agli Oscar.

http://www.ansa.it/main/notizie/awnplus/ci...02_1854803.html
 
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*Ishtar*
view post Posted on 1/12/2005, 18:44





Oscar. Spielberg dato per vincente

Mancano ancora due mesi all’annuncio delle nomination, ma la notte degli Oscar ha già un candidato americano molto promettente . Si tratta di "Munich" di Steven Spielberg, dato per vincente. Il film racconta le tragiche Olimpiadi del ’72 (un gruppo di terroristi fece irruzione nello stadio di Monaco di Baviera uccidendo 11 atleti israeliani) e uscirà negli Usa il 23 dicembre. A a darlo per vincente è il sito di scommesse Sportsbook.com che ne ha fissato la quota a 5 a 2.
http://it.news.yahoo.com/051201/234/3icif.html
 
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Rachael
view post Posted on 1/12/2005, 21:22




Che bello, ne sono veramente felice...proprio due sere fa ho rivisto La guerra dei mondi, e non posso non inchinarmi al genio di Steven
 
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*Ishtar*
view post Posted on 5/12/2005, 18:55




Sugli schermi Usa il 23 dicembre e in Italia dal 27 gennaio

Spielberg: '''Munich', preghiera per la pace in Medio Oriente''
Il regista sul suo ultimo film sull'attentato alle Olimpiadi di Monaco del '72: ''Vero nemico non sono ne' gli israeliani ne' i palestinesi, ma l'intolleranza che regna nei loro paesi''

''Una preghiera per la pace in Medio Oriente''. Steven Spielberg parla per la prima volta di 'Munich', atteso suo ultimo film sull'attentato ai Giochi Olimpici del 1972 a Monaco. O meglio sulla 'vendetta', pianificata dal servizio segreto israeliano per riscattare l'uccisione degli undici atleti israeliani da parte del commando terrorista palestinese. ''Non credo che cinema e libri possano risolvere la situazione - ha dichiarato il regista al 'Times', in quella che dovrebbe essere l'unica sua intervista prima dell'uscita del film -, ma vale comunque la pena provare. Il vero nemico non sono ne' gli israeliani, ne' i palestinesi, ma l'intolleranza che regna nei loro paesi''.

Sugli schermi Usa dal 23 dicembre e su quelli italiani dal 27 gennaio, 'Munich' vede come protagonista Eric Bana nei panni dell'agente del Mossad intenzionato a non concedere scampo ai terroristi palestinesi. Completano il cast Geoffrey Rush, il nuovo James Bond Daniel Craig e Mathieu Kassovitz.

''Condanno quanto e' accaduto a Monaco, ma non demonizzo gli agenti - ha spiegato Spielberg -. Attraverso i sentimenti che provano, la musica che ascoltano e la loro vita quotidiana, mostro invece che si tratta di persone come tutti noi''. In questo, conclude, risiede il messaggio di pace e tolleranza del film: ''Far capire alla gente che, almeno sul piano umano, tra questi due popoli non ci sono poi cosi' grandi differenze''.


Sugli schermi Usa il 23 dicembre e in Italia dal 27 gennaio
Spielberg: '''Munich', preghiera per la pace in Medio Oriente''
Il regista sul suo ultimo film sull'attentato alle Olimpiadi di Monaco del '72: ''Vero nemico non sono ne' gli israeliani ne' i palestinesi, ma l'intolleranza che regna nei loro paesi''
Los Angeles, 5 dic.- (Adnkronos/Ign) - ''Una preghiera per la pace in Medio Oriente''. Steven Spielberg parla per la prima volta di 'Munich', atteso suo ultimo film sull'attentato ai Giochi Olimpici del 1972 a Monaco. O meglio sulla 'vendetta', pianificata dal servizio segreto israeliano per riscattare l'uccisione degli undici atleti israeliani da parte del commando terrorista palestinese. ''Non credo che cinema e libri possano risolvere la situazione - ha dichiarato il regista al 'Times', in quella che dovrebbe essere l'unica sua intervista prima dell'uscita del film -, ma vale comunque la pena provare. Il vero nemico non sono ne' gli israeliani, ne' i palestinesi, ma l'intolleranza che regna nei loro paesi''.

Sugli schermi Usa dal 23 dicembre e su quelli italiani dal 27 gennaio, 'Munich' vede come protagonista Eric Bana nei panni dell'agente del Mossad intenzionato a non concedere scampo ai terroristi palestinesi. Completano il cast Geoffrey Rush, il nuovo James Bond Daniel Craig e Mathieu Kassovitz.

''Condanno quanto e' accaduto a Monaco, ma non demonizzo gli agenti - ha spiegato Spielberg -. Attraverso i sentimenti che provano, la musica che ascoltano e la loro vita quotidiana, mostro invece che si tratta di persone come tutti noi''. In questo, conclude, risiede il messaggio di pace e tolleranza del film: ''Far capire alla gente che, almeno sul piano umano, tra questi due popoli non ci sono poi cosi' grandi differenze''.
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Sugli schermi Usa il 23 dicembre e in Italia dal 27 gennaio
Sempre un grande Steven...sempre e comunque..

Grn


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Spielberg regala videocamere a bimbi palestinesi e israeliani per documentare la loro vita



Steven Spielberg
Steven Spielberg vuole regalare 250 videocamere a bambini israeliani e palestinesi perché possano documentare la loro vita di ogni giorno. Il regista ha detto, in una intervista al settimanale 'Time', che i bambini "potranno riprendere i loro genitori, le loro scuole, cosa mangiano, come trascorrono il loro tempo libero, che musica ascoltano".
I bambini israeliani e palestinesi potranno poi scambiarsi i nastri per vedere come ognuno trascorre la sua vita. "Questo è il tipo di piccole iniziative che possono dimostrarsi efficaci - ha detto Spielberg - perchè consentono di capire, nel modo più diretto, che non vi sono in realtà grandi differenze che dividono Israeliani e Palestinesi. Almeno come esseri umani".

Il regista ha appena completato 'Munich' un film sulla strage di Monaco del 1972 che mira, partendo da un evento cruento, ad umanizzare le due parti contrapposte. "Da qualche parte, tra tanta intransigenza, vi può essere spazio per una preghiera per la pace - ha detto Spielberg - Noi non desideriamo demonizzare i protagonisti del film ma dimostrare al contrario che sono individui, che hanno famiglie".

Il film uscirà negli Usa il 23 dicembre prossimo, in tempo per concorrere agli Oscar. Le recensioni iniziali dei pochi che hanno già visto il film sono molto positive.
http://www.capital.it/trovacinema/detail_a...dContent=300015

 
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Pontormo
view post Posted on 11/1/2006, 21:48




In "Munich", sfidando certezze ed emozioni dello spettatore,
il regista svela la strategia omicida del Mossad dopo Monaco '72
Israele fra terrorismo e vendetta
così torna il grande Spielberg
Nel film, con protagonista l'Eric Bana di "Hulk", tante domande
ancora attuali sul conflitto mediorientale. Tra suspence e violenza

di CLAUDIA MORGOGLIONE

ROMA - Addio alle soluzioni semplici, alle contrapposizioni manichee della Guerra dei mondi. Perché in Munich, per raccontare la tragedia israeliana alle Olimpiadi del '72 - e soprattutto le sue conseguenze, materiali e morali, su un gruppo di agenti supersegreti del Mossad - Steven Spielberg torna all'antico: alla carne e al sangue di Salvate il soldato Ryan, alla complessità di Schindler's List. E perfino alla tensione narrativa e alla suspence di un'opera di tutt'altro genere, come Lo Squalo.

Insomma: nella sua ultima fatica, presentata in anteprima alla stampa italiana (e nelle nostre sale dal 27 gennaio), il grande autore si ripresenta nella sua forma migliore. Con un film accolto bene dai critici di mezzo mondo. E con una storia che, comunque la si pensi, è un pugno nello stomaco dello spettatore. Una sfida alle certezze politiche ed etiche di noi tutti, sullo sfondo di una guerra al terrorismo che oggi, a inizio 2006, appare più attuale che mai.

Questo perché Munich non è affatto la ricostruzione dell'impresa del commando palestinese Settembre nero, l'azione armata - con tanto di sequestro - che provocò la morte di undici tra atleti e preparatori della delegazione israeliana, alle Olimpiadi di Monaco '72. Quello fu un episodio terribile ma circoscritto, ventuno ore di angoscia finite in tragedia, e seguite, in tutto il mondo, dai 900 milioni di spettatori che guardavano i Giochi. No, quei fatti sono solo la premessa del film. Che racconta invece un'altra storia, la storia del "dopo": vicende rimaste segrete per anni, su cui non esistono ammissioni ufficiali, ma solo ricostruzioni giornalistiche e documentaristiche (tra cui il libro Vendetta di George Jonas, da cui la pellicola è tratta).

Dopo il massacro di Monaco, infatti, il premier israeliano Golda Meir decide di adottare una strategia estrema: uccidere a uno a uno undici alti dirigenti palestinesi sospettati di essere coinvolti, in un modo o nell'altro, nell'assalto al Villaggio olimpico. Per far capire che chiunque colpisca il suo paese verrà scovato e ammazzato, ovunque si trovi. Per questo un misterioso dirigente dei servizi segreti (Geoffrey Rush, bravo come sempre) organizza una squadra "fantasma" ("voi non lavorate per me", continua a ripetere), incaricata di eseguire la catena di delitti.

Capo della banda è il protagonista del film, Avner (l'Erica Bana di Hulk, in una veste in cui davvero non lo si immaginava), ufficiale del Mossad con moglie incinta di sette mesi. E che, sotto l'effetto della rabbia per i fatti di Monaco, accetta di lasciare la famiglia, di scomparire e diventare un vendicatore. Accanto a lui, l'ebreo sudafricano Steve (l'inglese Daniel Craig, fresco di investitura a nuovo James Bond), il più convinto della necessità degli omicidi; il più dolce Robert (Mathieu Kassowitz, già regista dell'Odio), belga, fabbricante di giocattoli ed esperto di esplosivi; il tedesco Hans (Hanns Zischler), specializzato in documenti falsi; il saggio e amaro Carl (Ciaran Hinds), che ha il compito di cancellare le tracce degli assassinii.

Cinque persone diversissime, che cominciano con metodicità a portare avanti il loro compito. E che mano mano, tra successi e qualche fallimento, vedono sgretolare le proprie certezze: è giusto uccidere undici persone per vendicare le undici vittime innocenti di Monaco? La guerra al terrorismo va condotta così, con la sola legge della punizione esemplare dei colpevoli, senza tribunali né sentenze? E soprattutto: chi entra, magari per un giusto desiderio di fare qualcosa, in questo girone infernale dell'"ammazzare tutti", può mai uscirne indenne?

Interrogativi che si incarnano nel personaggio di Avner: nella sua calma iniziale, nelle sue angosce crescenti. E senza una soluzione definitiva, senza rassicurazione finale: l'unica cosa che può salvare il nostro eroe è l'amore per sua moglie e sua figlia, suggerisce Spielberg. Ma una riconciliazione col suo Paese, con le cose che ha fatto, sembra impossibile. Ecco perché non sorprende che il film, presentato in anteprima anche ad alcuni autorevoli esponenti della comunità ebraica romana, abbia suscitato reazioni diverse: alcuni hanno lodato la sua complessità, la sua ricerca di soluzioni non facili; altri l'hanno accusato di inesattezze e inaccuratezze storiche.

Quel che è certo è che, sullo schermo, il regista porta dilemmi morali destinati a rimanere senza risposta. E che sembrano particolarmente attuali proprio in questi giorni, mentre tutta Israele guarda col fiato sospeso l'ultima battaglia - quella per la vita - del suo leader Ariel Sharon.

Altro elemento chiave del film: tutti i personaggi sono mostrati con grande pietas, palestinesi compresi. Non a caso una delle scene più toccanti è quella in cui Avner, fingendosi un terrorista tedesco, si confronta con il giovane capo di un commando dell'Olp Ciascuno esibisce le sue ragioni, tutte a loro modo giuste; ciascuno non riesce a vedere quelle dell'altro. Anche se il loro destino, allo spettatore, appare tragicamente identico: quello di essere, come dice di se stesso il palestinese, dei "senza patria".

Munich, però, non è solo la rappresentazione astratta di una grande questione etico-politica, ma anche un film dal ritmo mozzafiato. Un thriller pieno di suspence ambientato in 14 paesi diversi, che ha richiesto la creazione di 120 set, e in cui Spielberg ha diretto ben duecento attori, in ruoli grandi o piccoli (tra loro anche la nostra Valeria Bruni Tedeschi). Il tutto con uno stile che è un omaggio ai classici del genere degli anni Settanta, come Il braccio violento delle legge e I tre giorni del Condor.

Discorso a parte, infine, merita una delle scene clou della storia, quella dell'assalto al Villaggio Olimpico. Un evento che Spielberg mostra a pezzetti, nel corso della pellicola, in una serie di flashback. "Ho pensato che ci fosse bisogno di ricordare continuamente che cosa ha dato il via a questa situazione di sangue per sangue", ha dichiarato il regista. "Potete immaginare - ha aggiunto - quanto sia stato arduo girarla. Ho usato attori arabi per fare i palestinesi, e israeliani per gli israeliani... e loro se la sono presa molto a cuore. E' stata una catarsi emotiva: due settimane difficili per tutti". Ma, visto il risultato sul grande schermo, si può dire che ne valeva la pena.

http://www.repubblica.it/2006/a/sezioni/sp...ich/munich.html
vedremo il film appena possibile
 
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petrus33
view post Posted on 14/1/2006, 09:03




Con Munich Spielberg racconta il terrorismo
Steven Spielberg è tornato ed è in ottima forma.

Almeno stando alla sua ultima fatica, Munich, presentata in anteprima alla stampa in attesa dell'uscita ufficiale nelle sale italiane prevista per il prossimo 27 gennaio.

Perchè con Munich Spielberg torna ad affascinare utilizzando metafore, immagini e ricorrenze già viste in Schlinder's List e in Salvate il soldato Ryan; e non viste, invece, ne La guerra dei mondi, che davanti al nuovo lavoro del regista sfigura ancora di più.

Accolto benevolmente dalla critica americana e mondiale, Munich racconta la storia del mondo minando le certezze dello spettatore e ponendolo di fronte ai dilemmi fondamentali, e attuali, del XXI secolo: dove sta il giusto? Che cos'è la giustizia? E, soprattutto, il terrorismo può essere bloccato utilizzando gli stessi metodi?

Il film parte da un'interessante, e storica, premessa: l'uccisione di 11, tra atleti e dirigenti, della squadra olimpica di Israele durante le Olimpiadi di Monaco del 1972.

Ma non ne ricostruisce la storia o la genesi e si spinge oltre, raccontando ciò che non è mai stato ufficializzato, ciò di cui si sa solo attraverso la stampa e i racconti ufficiosi di chi, come George Jonas che ha scritto il libro da cui la pellicola è tratta, Vendetta, ha voluto ricostruire il dramma del dopo Monaco.

Al centro della storia c’è il giovane patriota e ufficiale dell’intelligence israeliana Avner (Eric Bana) che, ancora in lutto per il massacro di Monaco e infuriato per la sua ferocia, Avner viene avvicinato da un ufficiale del Mossad di nome Ephraim (Geoffrey Rush) che gli chiede di partecipare ad una missione senza precedenti nella storia d’Israele.

Chiede a Avner di lasciarsi alle spalle sua moglie incinta, di abbandonare la sua identità e di andare in incognito in una missione che deve stanare e uccidere gli 11 uomini accusati dai servizi segreti israeliani di aver architettato gli omicidi di Monaco.

Malgrado la sua giovane età e la sua inesperienza, Avner diventa presto il capo di una squadra di quattro reclute specializzate molto diverse tra loro: l’esuberante, tosto autista dei mezzi utilizzati per le fughe, il sudafricano Steve (Daniel Craig); l’ebreo tedesco Hans (Hanns Zischler), che ha un vero talento per la falsificazione di documenti; il creatore di giocattoli belga trasformatosi in un esperto fabbricante di esplosivi Robert (Mathieu Kassovitz); e il silenzioso e metodico Carl (Ciaran Hinds), il cui compito è quello di cancellare le tracce dopo che gli altri hanno agito.

Da Ginevra a Francoforte, Roma, Parigi, Cipro, Londra e Beirut, Avner e la sua squadra girano il mondo in totale anonimato, seguendo le tracce di ogni uomo che compare nella lista segreta di obiettivi che hanno ricevuto e portando a compimento degli assassini escogitati nelle maniere più complicate, uno per uno.

Muovendosi al di fuori di ogni legge internazionale, alla deriva senza casa né famiglia, l’unico legame che hanno con il resto dell’umanità sono loro stessi.

Ma questo comincia a scricchiolare nel momento in cui i quattro uomini iniziano a discutere tra loro sulle inquietanti domande che continuano ad assillarli: Chi stiamo uccidendo esattamente? Si può trovare una giustificazione? Questo fermerà il terrore?

E, soprattutto, una volta entrati nella spirale dell'odio riusciremo mai ad uscirne?

Domande che si personificano nella figura del protagonista che all'inizio incarna il classico patriota pronto a tutto pur di salvare la sua Patria ma che durante la missione si rende conto che le uniche cose che contano davvero sono sua moglie e sua figlia. Arrivando così a "litigare" con Israele.

Interessante notare che tutti i personaggi sono trattati da Steven Spielberg con notevole complessità, sia che si tratti di ebrei che di palestinesi; memorabile la scena in cui Avner si confronta con un capo squadra palestinese che gli espone le sue ragioni concludendo alla fine, amaramente, che sia gli ebrei che i palestinesi vivono la stessa situazione. Di essere dei "senza patria".

Bella la ricostruzione delle vicende e degli ambienti, che richiama nemmeno tanto implicitamente i film d'azione degli anni Settanta.

La storia di Munich si dipana infatti all’interno di tre regni separati: gli eventi pubblici delle Olimpiadi di Monaco che hanno avuto luogo sotto lo sguardo penetrante dei media di tutto il mondo, il mondo segreto e pieno di ombre del Mossad e delle sue squadre non riconosciute che operano in tutto il mondo coperte da un mantello che li rende invisibili e i mondi interiori dei cinque assassini che affrontano i conflitti psicologici derivanti dalla loro missione senza precedenti.

Ed è per questo che è assolutamente degno di nota l'utilizzo del flashback per raccontare l'assalto di Monaco; una scelta che Spielberg ha motivato così: "ho pensato che ci fosse bisogno di ricordare continuamente che cosa ha dato il via a questa situazione di sangue per sangue. Potete immaginare quanto sia stato arduo girarla. Ho usato attori arabi per fare i palestinesi, e israeliani per gli israeliani... e loro se la sono presa molto a cuore. E' stata una catarsi emotiva: due settimane difficili per tutti".

Il risultato premia, la critica anche, la palla passa adesso allo spettatore.
http://www.dgmag.it/cinema/articolo1525.html
Infannti, Spielberg gira film per la GENTE non per i palloni gonfiati con la puzza al naso
 
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*Ishtar*
view post Posted on 26/1/2006, 20:53




«Il film di Spielberg ha tradito il mio libro»

«Non è vero che la vendetta è sempre sbagliata. Da questo punto di vista il mio libro e il film di Spielberg, che pure segue spesso alla lettera il mio racconto, hanno uno spirito opposto. Per lui non c'è differenza fra terrorismo e guerra al terrorismo, fra uccidere un innocente ed eliminare un criminale. Per me sì». Tanto basta per segnare la distanza tra la pellicola (Munich, nei cinema da domani) e il libro che l'ha ispirata. Il racconto dell'ex agente segreto ventiduenne, a capo di una squadra di quattro 007 incaricati dal governo israeliano di scovare e uccidere i terroristi di Settembre nero, responsabili della strage di 11 atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco del 5 settembre 1972, ha un titolo che si spiega da solo: Vendetta (Rizzoli). Avner (nome fittizio dell'ex agente del Mossad che oggi vive nell'anonimato in Usa) decise di raccontare la vera storia della caccia ai terroristi di Monaco '72 ad un giornalista, George Jonas. Jonas è ebreo, come Steven Spielberg. Il falco e la colomba.
Alcuni però hanno avanzato dei dubbi sulla veridicità del racconto di Avner.
«Sì è vero, molti. Sia quando il libro venne pubblicato per la prima volta nel 1984 sia adesso con l'uscita del film. La ragione è che molti dettagli sono dovuti ad una singola fonte e non possono essere verificati. Naturalmente mi sono posto subito questo problema. Ma dopo un anno di ricerche e viaggi in vari Paesi europei e in Medio Oriente, interviste a contatti in Germania, Francia, Israele e Usa, ho potuto concludere che il racconto di Avner era attendibile».
Israele ha mai preso una posizione ufficiale su questa storia? «No, Israele non ha mai confermato ufficialmente di aver organizzato una missione per uccidere i killer di Settembre nero. Ma nessun governo l'avrebbe mai fatto, se non dopo molte generazioni, forse. Ma ho trovato moltissime conferme del fatto che il racconto di Avner sia vero».
Ha visto il film di Spielberg?
«Sì l'ho visto, segue abbastanza alla lettera il mio libro. Ma lo spirito è molto differente, anzi direi che è opposto. Il mio libro sostiene che c'è una grande differenza fra terrorismo e controterrorismo, fra uccidere un innocente e uccidere un criminale. Munich suggerisce che questa differenza non esiste. Il film di Spielberg vuol far riflettere sulla “trappola morale” in cui si incorre quando si combatte il terrorismo con le armi. Secondo me invece la vera trappola è non combattere il terrore».
Nel libro lei cita la legge del taglione come un giusto principio.
«È lo stesso Avner, nella prefazione a quest'ultima edizione, a spiegare che la loro missione derivava da una legge antica, imposta in Israele da Mosè: la frase “occhio per occhio, dente per dente” compare per tre volte nella Torah. È quella che i filosofi chiamano “reazione simmetrica”: il modo corretto per punire i mali è quello di far sì che sperimentino su di sé lo stesso male fatto agli altri. Lui dice anche che sotto il governo Sharon la legge del taglione è diventata uno strumento dell'esercito israeliano».
Vuol dire che l'occhio per occhio è il principio guida della politica di Israele in Medio Oriente?
«Nel 1972 la risposta di Israele alla strage di Monaco fu la vendetta certo. Ma fu anche un'operazione di giustizia. Non aveva tanto lo scopo di annientare i responsabili dell'attentato, quanto di prevenire altri attentati. Non credo che questa reazione sia un principio solo israeliano, non più che di ogni altro Paese quando viene attaccato in quel modo».
La squadra di Avner eliminò 8 degli 11 uomini del commando palestinese. Fu un successo?
«A questa domanda è difficile rispondere. Certo, l'operazione di Avner e degli altri agenti israeliani non ha sradicato il terrorismo. Ma non era questo il banco di prova. La caccia ai criminali non elimina il crimine, ma chi se la sentirebbe di dire che è inutile? Il fatto tragico è che la carta geografica del mondo è tracciata con il sangue. Non c'è frontiera che non sia stata fissata se non per mezzo della vittoria. Ed è ipocrita da parte delle nazioni più antiche, che hanno tracciato i loro confini col sangue dei loro progenitori, voler applicare criteri di moderazione a Paesi più giovani, appellandosi alla morale o all'utilitarismo». Nella stessa situazione oggi, secondo lei, Israele reagirebbe nello stesso modo?
«Penso proprio di sì. E anzi lo fa già. Sulla Cnn non è raro vedere le rappresaglie israeliane e gli omicidi mirati di capi del terrorismo palestinese».
Lei ha conosciuto personalmente Avner. Secondo lei ha mai avuto dubbi sul senso della sua missione di morte (come sembra suggerire Spielberg)?
«No, credo di no. Almeno da ciò che ho potuto capire parlandogli. Non ha mai avuto nessun rimorso per ciò che lui e la sua squadra hanno fatto. Quando l'ho incontrato per la seconda volta, dieci anni dopo la prima intervista, ancora sosteneva le ragioni assolute della decisione che il governo israeliano prese quando gli diede la missione. Sostiene di non aver mai nutrito sentimenti personali di ostilità nei confronti degli uomini che ha ucciso, ma ancora oggi considera la loro eliminazione fisica come un fatto richiesto dalla necessità e dall'onore».
Che ruolo ebbe Sharon in questa vicenda?
«Avner racconta che il generale Sharon era presente nella riunione segreta iniziale, insieme a Golda Meir. Non credo però ebbe un ruolo primario».
E l'Unione sovietica?
«Il Kgb diede un'assistenza logistica e strumentale ai terroristi».
Che cosa l'ha colpita di più nel racconto della caccia ai terroristi?
«L'idea innovativa di Israele di modellare le sue squadre anti Terrore sulle cellule terroristiche, nel senso di dar loro un obiettivo, e poi lasciando carta bianca su tutto e piena libertà di azione in tutta Europa come se fosse una cellula autosufficiente, con contatti minimi con l'esterno, in modo da ridurre la sua rintracciabilità e aumentare al massimo l'e Quando l'ho incontrato per la seconda volta, dieci anni dopo la prima intervista, ancora sosteneva le ragioni assolute della decisione che il governo israeliano prese quando gli diede la missione. Sostiene di non aver mai nutrito sentimenti personali di ostilità nei confronti degli uomini che ha ucciso, ma ancora oggi considera la loro eliminazione fisica come un fatto richiesto dalla necessità e dall'onore».
Che ruolo ebbe Sharon in questa vicenda?
«Avner racconta che il generale Sharon era presente nella riunione segreta iniziale, insieme a Golda Meir. Non credo però ebbe un ruolo primario».
E l'Unione sovietica?
«Il Kgb diede un'assistenza logistica e strumentale ai terroristi».
Che cosa l'ha colpita di più nel racconto della caccia ai terroristi?
«L'idea innovativa di Israele di modellare le sue squadre anti Terrore sulle cellule terroristiche, nel senso di dar loro un obiettivo, e poi lasciando carta bianca su tutto e piena libertà di azione in tutta Europa come se fosse una cellula autosufficiente, con contatti minimi con l'esterno, in modo da ridurre la sua rintracciabilità e aumentare al massimo l'efficienza».
http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=60108
interessante sarebbe conoscere il pensiero di Spielberg
 
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sandokan23
view post Posted on 28/1/2006, 17:29




Munich: Spielberg va al contrattacco

Dopo le polemiche in tutto il mondo, il regista di Munich, in uscita il 27 gennaio in Italia, parla con Panorama della Palestina: "È tutto nelle mani dei successori di Sharon. Speriamo che seguano la sua strada"
C'è il futuro James Bond, l'attore inglese Daniel Craig, ma non è la classica spy story. C'è l'ultimo Ettore, l'attore australiano Eric Bana, ma non è il classico film d'azione. Anche se porta la firma di Steven Spielberg e segue di appena sei mesi La guerra dei mondi, kolossal della sua amata fantascienza, Munich ha scatenato un furioso dibattito politico.
Partendo dal mortale attacco palestinese contro gli atleti israeliani alle Olimpiadi del 1972, il più famoso regista del mondo (e anche il più rispettato artista ebreo) si è interrogato senza pregiudizi sulle ragioni di un conflitto che dura dal 1948.

«Fu la prima volta che sentii la parola terrorista» racconta Spielberg. «Inchiodato davanti alla televisione, quel 5 settembre di 33 anni fa pensavo che si trattasse di una falange palestinese della banda Baader-Meinhof».
Invece era Settembre nero, che con quella operazione voleva far conoscere al mondo in diretta la sua esistenza e le sue ragioni.

Era dal 1998 che Spielberg rimuginava su come adattare Vendetta, il libro di George Jonas che racconta la risposta di Israele: localizzare nel mondo ed eliminare gli autori palestinesi del massacro (missione mai ufficialmente ammessa dal governo di Gerusalemme). Dopo cinque diverse versioni della sceneggiatura, quella firmata da Erich Roth (Forrest Gump) e da Tony Kushner (Angeli in America) ha sciolto i suoi dubbi.
Munich è un film cinematograficamente teso, filosoficamente e politicamente complesso. «Non mi interessava spiegare se la logica dell'occhio per occhio fosse buona o cattiva, ma testimoniare come siamo arrivati a questo punto in una diatriba che non è risolta» sostiene Spielberg. «Parlo di guerra per evocare la pace». «Diciamo a questi macellai… voi non volete dividere questo mondo con noi, quindi non siamo tenuti a dividerlo con voi» dice nel film il primo ministro Golda Meir prima di ordinare la vendetta.

«Avete idea di quante leggi abbiamo violato? Comprese quelle dello stato di Israele che non prevede la pena di morte» dirà più tardi Carl, uno dei cinque sicari di stato. Quanto ai palestinesi, la loro posizione è riassunta nelle frasi: «Siamo il più grande popolo di profughi del mondo. Hanno preso le nostre case, viviamo in accampamenti. Senza futuro, senza cibo, senza niente di dignitoso»; «Tu non sai cosa vuol dire non avere una patria. Noi vogliamo essere nazione. La patria è tutto».
Munich ha suscitato un dibattito furente (esponenti delle comunità ebraiche hanno considerato il regista al minimo un «velleitario» e al massimo un «traditore»), destinato a rinnovarsi con l'uscita in Italia il 27 gennaio. Spielberg, che finora ha parlato solo attraverso il film (nessuna conferenza stampa di lancio e una sola intervista a Time), ha accettato di parlare con Panorama.

Si aspettava questo putiferio?
Me lo auguravo. L'unica vera critica per me sarebbe stato il silenzio.

Da molti anni lei annunciava e poi rimandava questo film. Come mai?
Ero spaventato dall'isteria che spesso accompagna registi e scrittori quando si occupano di Medio Oriente. Non sono ingenuo: sapevo dove andavo a cacciarmi, ma avevo qualcosa da dire, o da domandare.

«Non faccio paralleli fra palestinesi e Al Qaeda che vuole distruggere la civiltà occidentale» dice Spielberg.

Che cosa l'ha convinta che era il momento giusto per «Munich»?
I passi verso la pace fra palestinesi e israeliani vanno avanti e indietro perché c'è troppa gente che non vuole sforzarsi di capire e considera perfino la diplomazia una resa. Sono un ebreo americano e ho sempre spalleggiato Israele. Stavo per girare Munich nel 2001, ma subito dopo l'11 settembre non era il caso. Nel 1972 Golda Meir, dopo molte riflessioni e grande pena, non si limitò certo a gonfiare i muscoli. Sono convinto che Israele dovesse rispondere con la forza: circondato com'è da nemici non poteva mostrarsi debole. Ma volevo sottolineare che, quando rispondi alla violenza con la violenza, ci sono risultati che non avevi previsto: dalla possibilità che il terrorista eliminato venga rimpiazzato da uno ancora più feroce al fatto che da aggredito ti trasformi in aggressore.

È per questo che ci sono state tante critiche dalla comunità ebraica che dai tempi di «Schindler's list» l'aveva sempre applaudita?
Mi hanno accusato di avere trattato da esseri umani i palestinesi, di aver dato loro una voce, lo hanno definito il «peccato di equivalenza». Chi giudica Munich «moralmente equivoco» ha visto il film in maniera preconcetta. Ma chi lascia a casa le sue certezze non può che interrogarsi come faccio io attraverso il mio protagonista.

Qualcuno è arrivato a dire che sembra un film diretto da un regista non ebreo.
Io penso che solo un regista ebreo poteva raccontare questa storia, e io sono un regista ebreo.

Qual è la maggiore differenza fra «Schindler's list» e «Munich», anche considerando il suo personale impegno?
Ci sono solo differenze. Il primo era un ricordo di un pezzo di storia passata che parlava di tolleranza, Munich è la cronaca di una storia ancora viva oggi e che continua. Schindler's list non voleva essere un film politico, Munich sì.

La scena che definirebbe più importante?
Il film è composto da differenti punti di vista e chi lo vede può tirare le proprie conclusioni. C'è stata una scena più difficile da girare, e non parlo di tecnica, ma di emozioni: quando gli atleti israeliani vengono presi in ostaggio dai palestinesi è stato struggente per tutti. Ho scelto attori israeliani e attori arabi ed è stato catartico. Sul set sono diventati veramente amici. La sera pensavo: guardali, funziona, questa gente può stare insieme.

È vero che ha mostrato la sceneggiatura ai suoi amici più cari?
Al mio rabbino, ai miei genitori, a Bill Clinton. Proprio perché amo Israele penso che, in quanto artista, il peccato più grave che potevo commettere era quello del silenzio. Paura e autocensura sono errori: un artista deve confidare nella decenza e nell'intelligenza del pubblico.

Qualcuna delle critiche l'ha offesa?
No. Chi ha scritto stupidaggini mi ha rattristato perché è rimasto fermo nella sua trincea, senza nemmeno ammettere il beneficio del dubbio.

Quanto c'è di finzione in «Munich»?
Credo che la maggior parte dei fatti sia vera. Il libro di Jonas è stato attaccato, ma mai smentito con prove. Uno dei consulenti del film è stato proprio il vero protagonista della storia. Sia ben chiaro che non avrei mai fatto un film di finzione.

Uno dei pochi effetti speciali del film è l'immagine delle Twin Towers nel finale. Che significato ha?
Solo che allora facevano parte del panorama di New York. Non ho voluto fare un parallela fra i palestinesi che lottano per la loro terra e Al Qaeda che vuole distruggere la civiltà occidentale. Noi americani abbiamo sbagliato invadendo l'Iraq, che non aveva niente a che vedere con le Torri gemelle.

Come vede il futuro?
Tutto dipende dai successori di Ariel Sharon, che ha fatto cose grandiose. Se seguiranno il suo esempio, riuscirò a vivere la pace. E anche i miei figli, perché sarà duratura.

STORIA TRAGICA

La notte del 5 settembre 1972 e le 23 ore seguenti la presa in ostaggio di 11 atleti israeliani nel villaggio olimpico di Monaco: comincia così Munich, ricreando quel che il mondo visse in diretta tv.
Poi va dietro le quinte, accompagnando i 5 sicari scelti dal Mossad per eliminare i mandanti palestinesi. Missione eseguita, anche se a cose fatte si saprà che non tutte le persone uccise erano coinvolte nell'attacco a Monaco.


Una spy story in piena regola quella girata da Spielberg, sia pure ispirata a fatti realmente accaduti

Munich (Usa 2005)
Distribuzione: Uip
Regia: Steven Spielberg
Cast: Eric Bana, Daniel Craig, Ciarán Hinds, Mathieu Kassovitz, Hanns Zischler, Ayelet Zurer, Geoffrey Rush, Yvan Attal, Michael Lonsdale, Mathieu Amalric, Lynn Cohen
Sceneggiatura: Tony Kushner ed Eric Roth (dal libro di George Jonas, Vengeance: The True Story of an Israeli Counter-Terrorist Team)
Fotografia: Janusz Kaminski
Montaggio: Michael Kahn
Musiche originali: John Williams
Genere: spy story
Durata: 150 min.
Uscita nelle sale: 27 gennaio 2006
Sito: http://www.uip.it/munich/main.html
http://www.panorama.it/spettacoli/star/art...1-A020001034476
bella intervista, persone intelligente e acuta Spielberg, non si diventa per caso un mito smile.gif
 
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verbenasapiens
view post Posted on 8/2/2006, 21:12




Il FOGLIO di mercoledì 8 febbraio 2006 pubblica a pagina 2 un intervento di Angelo Pezzan sul film di Steven Spielberg Munich. Ecco il testo:

Prima che “Munich” arrivasse nei cinema italiani ho letto avidamente tutti gli articoli che sono usciti negli Stati Uniti dopo le prime proiezioni private. Ero curioso di capire perché Steven Spielberg avesse definito il suo film “una preghiera per la pace”. Quando è uscito in Italia sono andato a vederlo, non una ma due volte, non perché non ne avessi tratto subito una impressione precisa, ma perché volevo essere sicuro di non essermi sbagliato nel darne un giudizio positivo. Ho letto il lungo, documentatissimo articolo-recensione di Anselma Dell’Olio e, correndo il richio di essere catalogato fra gli “intellettuali pro-sionisti che cercano la ribalta nel tumulto intorno al film e denunciano le critiche a Munich come un vano atteggiarsi contro quello che dopo tutto è solo un film, un intrattenimento, per di più girato da quel sant’uomo pluridecorato che ci ha regalato E.T. e Schindler’s List”, se permettete vorrei dire la mia. Cosa non facile, perché l’articolo di Anselma Dell’Olio, del quale non condivido la tesi, contiene molte osservazioni che pure condivido. Dando per scontato che i lettori del Foglio conoscano l’argomento, comincio dalla tesi. Non credo che “Munich” equipari il terrorismo palestinese alla reazione israeliana. E non tanto perché Spielberg ha dichiarato allo Spiegel di “essere pronto a dare la propria vita per Stati Uniti e Israele se fosse necessario”, ma perché tutto il film è incentrato sul racconto veritiero dei fatti, la strage degli atleti israeliani a Monaco e l’ordine dato da Golda Meir di eliminarne i responsabili. E’ difficile negare che sul piano tecnico ci siano stati degli assassini da una parte come dall’altra. Spielberg però fa capire allo spettatore chiaramente la differenza. La violenza, la criminalità palestinese viene messa in atto per raggiungere una finalità – l’indipendenza del popolo palestinese – escludendo ogni altro mezzo possibile, una indipendenza che i palestinesi hanno sempre rifiutato nei fatti, preferendo a un loro stato la cancellazione totale di quello israeliano. L’eliminazione dei terroristi da parte di Israele, che non si è limitata ai terroristi di Monaco ma che è proseguita sino a oggi, è la risposta a una criminalità politica organizzata che esclude il raggiungimento del proprio obiettivo per vie pacifiche. Se Spielberg avesse rappresentato gli agenti del Mossad come dei Rambo, combattenti per la giustizia contro il male, ci avrebbe dato un film sicuramente entusiasmante, di quelli che si vedono con le mani pronte all’applauso, ma sarebbe stato un altro film, per chi è già convinto delle ragioni di Israele, che conosce la storia mediorientale e ha capito da che parte stare. I cinque agenti del Mossad, con i loro dubbi, le loro ansie, le loro domande, sono una risposta a quel campione rappresentativo di tutta l’opinione pubblica disinformata dalla propaganda filo-araba e filo-palestinese che i media occidentali hanno contribuito con tanta caparbietà a diffondere in questi decenni. E’ a quel pubblico che Steven Spielberg e il suo sceneggiatore Tony Kushner hanno pensato quando giravano “Munich”. Uno spettatore al quale bisognava proporre una storia vera, ma dalla quale fossero esclusi gli stereotipi, i buoni e i cattivi. Ma mentre le ragioni di Israele, il suo diritto non divino, non religioso, ma storico) alla propria terra sono spiegati dai diversi protagonisti e possono essere accettati con convinzione dagli spettatori, Settembre nero e la violenza palestinese sono rivendicate dall’altra parte senza convinzione, anzi la tesi che meglio viene esposta, quella che i palestinesi possono aspettare anche cent’anni tanto alla fine saranno i numeri a vincere, è di fatto la spiegazione della politica di Ariel Sharon, del perché l’uscita da Gaza e dagli insediamenti isolati in Cisgiordania e della necessità per la sicurezza dello Stato ebraico della costituzione di uno palestinese. Il che è esattamente quello che i palestinesi sostengono di volere mentre nella realtà accade il contrario. Gli agenti del Mossad uccidono, ma noi che li guardiamo sullo schermo sappiamo che lo fanno per legittima difesa, perché, come dice Golda Meir “ogni civiltà deve scendere a compromessi con i propri valori quando è in gioco la sopravvivenza dello stato”. Avner e i suoi uomini uccidono per non essere uccisi. Che è poi la storia del dopo 11 settembre. Israele vive un 11 settembre da sessant’anni, nella quasi totale indifferenza dell’Europa. “Munich” ci ha mostrato il volto dei criminali di Settembre nero, un volto che i nostri media per scelta precisa evitano di farci conoscere, anche quando innocenti cittadini israeliani vengono fatti esplodere e saltare in aria dai cosidetti “militanti” di una delle tante jihad islamiche. Steven Spielberg e Tony Kushner saranno anche delle teste d’uovo di sinistra, ma le decorazioni se le sono meritate sul campo. Certo, come dicevo all’inizio, Anselma Dell’Olio può anche avere ragione nel sostenere che il film è antisemita e antisraeliano, nel film c’è una certa ambiguità che può favorire questa lettura. Ma questa ambiguità ne rappresenta anche la forza. I dubbi di Avner e dei suoi compagni sono la migliore introduzione alle ragioni di Golda, alle certezze di Ephraim e del suo Mossad. Poco importa che Avner alla fine scelga l’esilio, la fuga a Brooklyn. Qualcun altro lo sostituirà, perché sono le ragioni di Golda ed Ephraim a mantenere forte e libero Israele. Rambo l’avrebbe fatto capire ai già convinti. Spielberg ha cercato di comunicarlo agli altri.

http://www.informazionecorretta.com/main.p...ez=120&id=15399
 
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