Il sofà delle muse

La donna e l'Islam, una catena interminabile di offese

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Maximus05
view post Posted on 24/5/2005, 07:15




Salvate Majda, sarà decapitata davanti alla moschea»

La donna marocchina, moglie di un principe saudita, condannata a morte a Riad
di MAGDI ALLAM

-Non resta molto tempo per salvare la vita di una giovane madre marocchina condannata arbitrariamente a morte in Arabia Saudita. Forse già questo venerdì, 27 maggio, Majda Mustapha Mahir sarà brutalmente decapitata in una piazza pubblica antistante una moschea di Riad. Con l'accusa di aver ucciso sette anni fa il marito, il principe saudita Farid ibn Abdullah ibn Mishari al Saud, in circostanze dubbie e controverse. Al cospetto di un pubblico che, all'uscita dalla preghiera collettiva di mezzogiorno, assiste in massa a questo rito barbarico vigente in un pugno di teocrazie islamiche ma rifiutato dalla gran parte dei Paesi musulmani. Quarant'anni, due bambini, Majda arrivò a Riad nel 1997 in compagnia del marito-principe dopo aver soggiornato in Belgio per ben 18 anni. Il suo calvario iniziò poco dopo, quando il marito fu trovato morto dentro la loro abitazione.

Lei professò la propria innocenza e affermò che si era trattato di una morte accidentale. In un primo tempo la sua versione dei fatti fu accettata dalla polizia saudita, che ne riscontrò la fondatezza. Ma in seguito alle pressioni della famiglia del principe, in particolare di una seconda moglie saudita e di suo figlio, Majda fu arrestata e trasferita nella prigione di Milaz.
Non c'è mai stato un processo pubblico. Nessun avvocato ha potuto difenderla. Ai parenti non è stato consentito di visitarla. Né alle autorità consolari marocchine è stato permesso di contattarla. Da sette anni Majda vive confinata in carcere in totale solitudine. Probabilmente in condizioni fisiche e psichiche terrificanti. A un certo punto si è saputo che un tribunale islamico a porte chiuse l'ha condannata a morte. Senza alcuna possibilità di appello. E che sarebbe imminente l'esecuzione della condanna tramite decapitazione. In questo caso pubblicamente, davanti alla casa di Dio, perché i fedeli musulmani conoscano e temano le sentenze di corti islamiche che rispondono solo all'arbitrio dei guardiani della fede wahhabita. Nonché a logiche tribali e razziste secondo cui gli autoctoni sauditi hanno di fatto l'ultima parola nelle controversie con gli stranieri. In teoria la famiglia del principe potrebbe concedere il perdono qualora la famiglia di Majda versasse la diya , una somma di denaro percepita come il «riscatto del sangue». Ma è improbabile che lo conceda anche perché non ha di certo problemi di soldi.

Amnesty International ha rivolto, per il tramite dell'ambasciata saudita a Bruxelles, un appello a re Fahd affinché intervenga per consentire un giusto processo e comunque commutare la pena di morte ( www.amnestyinternational.be/doc/article5361.html ). Il caso sta suscitando rabbia e protesta in seno all'opinione pubblica marocchina.
Il sito www.souss.com ha lanciato un dibattito sul caso di Majda all'insegna del tema «la schiavitù arabo-islamica non è morta». Un forumista scrive: «Cosa è andata a fare questa marocchina in Arabia Saudita? Perché cercano il disonore andando a lavorare senza diritti in questo Paese di ...». Un altro conclude: «Meglio essere poveri ma liberi che ricchi e schiavi».
Giovedì 26 maggio l'Associazione delle donne marocchine in Italia ha promosso una manifestazione davanti all'ambasciata dell'Arabia Saudita a Roma. Sono invitate a aderire tutte le associazioni che si battono per i diritti dell'uomo. La presidente Souad Sbai consegnerà all'ambasciatore, principe Mohammed bin Nawwaf bin Abdulaziz al Saud, una lettera rivolta al re Fahd in cui si legge: «Nel nome della civiltà umana e del valore della sacralità della vita caro all'islam, chiediamo di accordare un giusto processo alla nostra connazionale affinché sia in grado di difendere pubblicamente la propria causa. Nel nome della clemenza e della tolleranza dell'islam chiediamo gentilmente a Sua Maestà di compiere un gesto di grazia».

Sarà un'opportunità per verificare la maturità delle organizzazioni islamiche nostrane sul tema dei diritti umani, in particolare dell'Ucoii (Unione delle comunità e delle organizzazioni islamiche in Italia) che proprio recentemente ha sponsorizzato la proposta di Tariq Ramadan per una moratoria sull'applicazione delle pene corporali che sarebbero prescritte dalla sharia, la legge islamica.
Così come sarà un'occasione per mettere alla prova l'asserita disponibilità dell'Arabia Saudita a collaborare per l'affermazione di un islam italiano moderato, espressa la scorsa settimana dal segretario generale della Lega musulmana mondiale, lo sheikh Abdallah bin Abdelmohsen al Turki, nei colloqui romani con il presidente della Camera Pierferdinando Casini e il ministro dell'Interno Giuseppe Pisanu. Nell'attesa che si arrivi all'accettazione del principio della reciprocità nell'ambito della libertà religiosa, l'Italia accerti quantomeno che nella più sacra delle terre dell'islam, dove a tutt'oggi è proibito erigere una chiesa, siano rispettati i diritti fondamentali della persona nei confronti degli stessi musulmani.

da www.corriere.it

da legnostorto

Com'è che solo legnostorto si batte per i diritti della donna, quelli VERI,islamica e non?
Ah questi siti di destra fascistoide..meglio quelli millantatori e e aggressivi di sinistra..o no?
Ovvio che la mia domanda è AMPIAMENTE Pleonastica..
 
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verbenasapiens
view post Posted on 24/5/2005, 07:19




Credo sia il caso di riparlare qui delle atrocità perpetrate sulle donne islamiche e anche del caso submission di Theo van gogh
 
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Rachael
view post Posted on 24/5/2005, 09:17




Ottima idea...
 
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Rachael
view post Posted on 24/5/2005, 14:27




CITAZIONE (Maximus05 @ 24/5/2005, 08:15)
Salvate Majda, sarà decapitata davanti alla moschea»

La donna marocchina, moglie di un principe saudita, condannata a morte a Riad
di MAGDI ALLAM

-Non resta molto tempo per salvare la vita di una giovane madre marocchina condannata arbitrariamente a morte in Arabia Saudita. Forse già questo venerdì, 27 maggio, Majda Mustapha Mahir sarà brutalmente decapitata in una piazza pubblica antistante una moschea di Riad. Con l'accusa di aver ucciso sette anni fa il marito, il principe saudita Farid ibn Abdullah ibn Mishari al Saud, in circostanze dubbie e controverse. Al cospetto di un pubblico che, all'uscita dalla preghiera collettiva di mezzogiorno, assiste in massa a questo rito barbarico vigente in un pugno di teocrazie islamiche ma rifiutato dalla gran parte dei Paesi musulmani. Quarant'anni, due bambini, Majda arrivò a Riad nel 1997 in compagnia del marito-principe dopo aver soggiornato in Belgio per ben 18 anni. Il suo calvario iniziò poco dopo, quando il marito fu trovato morto dentro la loro abitazione.

Lei professò la propria innocenza e affermò che si era trattato di una morte accidentale. In un primo tempo la sua versione dei fatti fu accettata dalla polizia saudita, che ne riscontrò la fondatezza. Ma in seguito alle pressioni della famiglia del principe, in particolare di una seconda moglie saudita e di suo figlio, Majda fu arrestata e trasferita nella prigione di Milaz.
Non c'è mai stato un processo pubblico. Nessun avvocato ha potuto difenderla. Ai parenti non è stato consentito di visitarla. Né alle autorità consolari marocchine è stato permesso di contattarla. Da sette anni Majda vive confinata in carcere in totale solitudine. Probabilmente in condizioni fisiche e psichiche terrificanti. A un certo punto si è saputo che un tribunale islamico a porte chiuse l'ha condannata a morte. Senza alcuna possibilità di appello. E che sarebbe imminente l'esecuzione della condanna tramite decapitazione. In questo caso pubblicamente, davanti alla casa di Dio, perché i fedeli musulmani conoscano e temano le sentenze di corti islamiche che rispondono solo all'arbitrio dei guardiani della fede wahhabita. Nonché a logiche tribali e razziste secondo cui gli autoctoni sauditi hanno di fatto l'ultima parola nelle controversie con gli stranieri. In teoria la famiglia del principe potrebbe concedere il perdono qualora la famiglia di Majda versasse la diya , una somma di denaro percepita come il «riscatto del sangue». Ma è improbabile che lo conceda anche perché non ha di certo problemi di soldi.

Amnesty International ha rivolto, per il tramite dell'ambasciata saudita a Bruxelles, un appello a re Fahd affinché intervenga per consentire un giusto processo e comunque commutare la pena di morte ( www.amnestyinternational.be/doc/article5361.html ). Il caso sta suscitando rabbia e protesta in seno all'opinione pubblica marocchina.
Il sito www.souss.com ha lanciato un dibattito sul caso di Majda all'insegna del tema «la schiavitù arabo-islamica non è morta». Un forumista scrive: «Cosa è andata a fare questa marocchina in Arabia Saudita? Perché cercano il disonore andando a lavorare senza diritti in questo Paese di ...». Un altro conclude: «Meglio essere poveri ma liberi che ricchi e schiavi».
Giovedì 26 maggio l'Associazione delle donne marocchine in Italia ha promosso una manifestazione davanti all'ambasciata dell'Arabia Saudita a Roma. Sono invitate a aderire tutte le associazioni che si battono per i diritti dell'uomo. La presidente Souad Sbai consegnerà all'ambasciatore, principe Mohammed bin Nawwaf bin Abdulaziz al Saud, una lettera rivolta al re Fahd in cui si legge: «Nel nome della civiltà umana e del valore della sacralità della vita caro all'islam, chiediamo di accordare un giusto processo alla nostra connazionale affinché sia in grado di difendere pubblicamente la propria causa. Nel nome della clemenza e della tolleranza dell'islam chiediamo gentilmente a Sua Maestà di compiere un gesto di grazia».

Sarà un'opportunità per verificare la maturità delle organizzazioni islamiche nostrane sul tema dei diritti umani, in particolare dell'Ucoii (Unione delle comunità e delle organizzazioni islamiche in Italia) che proprio recentemente ha sponsorizzato la proposta di Tariq Ramadan per una moratoria sull'applicazione delle pene corporali che sarebbero prescritte dalla sharia, la legge islamica.
Così come sarà un'occasione per mettere alla prova l'asserita disponibilità dell'Arabia Saudita a collaborare per l'affermazione di un islam italiano moderato, espressa la scorsa settimana dal segretario generale della Lega musulmana mondiale, lo sheikh Abdallah bin Abdelmohsen al Turki, nei colloqui romani con il presidente della Camera Pierferdinando Casini e il ministro dell'Interno Giuseppe Pisanu. Nell'attesa che si arrivi all'accettazione del principio della reciprocità nell'ambito della libertà religiosa, l'Italia accerti quantomeno che nella più sacra delle terre dell'islam, dove a tutt'oggi è proibito erigere una chiesa, siano rispettati i diritti fondamentali della persona nei confronti degli stessi musulmani.

da www.corriere.it

da legnostorto

Com'è che solo legnostorto si batte per i diritti della donna, quelli VERI,islamica e non?
Ah questi siti di destra fascistoide..meglio quelli millantatori e e aggressivi di sinistra..o no?
Ovvio che la mia domanda è AMPIAMENTE Pleonastica..

Che tu sappia non c'è un sito che raccoglie firme per una petizione?
Perché ho provato a guardare nei due link, ma non ho trovato nulla...
 
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Rachael
view post Posted on 24/5/2005, 18:17




Ho messo in rilievo questa disc.
 
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Rachael
view post Posted on 24/5/2005, 18:42




Amina Al-Tuhaif un'altra storia di orrore

Amina nasce in Yemen nel 1984, a 11 anni (1995) viene data in sposa, a 12 avuto il suo menarca rimane incinta.Nel gennaio del 1998 il marito viene ucciso, lei aspetta il suo secondogenito: età 14 anni.
Nel 1999 sotto tortura le viene estorta una confessione, viene giudicata colpevole della morte del marito e condannata a morte, età 16 anni.
Passa alcuni anni facendo appelli, mentre le ragazze della sua età in occidente passano il tempo scegliendo che abito indossare, lei contempla la sua morte.
Nel 2002 viene violentata in carcere e rimane incinta del terzo figlio, età 18 anni.
Nel 2003 nasce il suo bambino, gli sarà permesso di tenerlo fino a due anni, cioè fino allo svezzamento.
Dopo non si sa che fine farà il piccolo perchè in Yemen e nel resto del mondo mussulmano, NESSUNO vuole il figlio di una donna condannata e di un violentatore. Amina ha ottenuto di tenerlo con sè in prigione fino all'esecuzione della sentenza, poi...
Nel frattempo non gli é permesso di vedere i suoi due figli maggiori e la bambina è morta in un incidente d'auto.
Maggio 2005 é tempo di morire. Verrà il suo avvocato a prendere il bambino, perchè nessuno lo vuole, Amina viaggerà con le guardie fino al suo villaggio dove sarà eseguita la sentenza.
Si concluderà così la sua breve e disperata vita.

Ho riportato da un sito, tradotto con Google questa storia, mentre leggevo e scrivevo mi veniva da piangere.
Bisogna battersi per queste ragazze in ogni modo possibile, far conoscere le loro storie a TUTTI, gridare noi la loro sofferenza.

Sul Foglio ho letto: Revocata la condanna a morte per Amina al Tuhaif, la donna yemenita madre di un bimbo di due anni nato dopo uno stupro in carcere. Amina avrà un nuovo processo.

Aiutiamola parlando di lei.

link

link originale

Edited by Rachael - 24/5/2005, 19:44
 
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verbenasapiens
view post Posted on 24/5/2005, 19:00




no che io sappia no..ho riportato integralmente l'articolo, speriamo che qualcuno si mobiliti..
 
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Rachael
view post Posted on 26/5/2005, 14:37




QUI il link di Amnesty per mandare un appello per salvare Majda

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verbenasapiens
view post Posted on 27/5/2005, 06:46




sono contenta di riportare questo articolo

L’Arabia Saudita: «Majda non sarà decapitata»)

L’ambasciata a Roma annuncia che i parenti della vittima hanno «perdonato» la donna accusata di omicidio: avrebbe dovuto essere giustiziata oggi

Le associazioni umanitarie e delle immigrate marocchine esultano per la decisione. «Adesso va annullata la sentenza»

ROMA - Quando, ieri mattina alle 11.07, è arrivato quel fax, nella sede romana dell’associazione, lei, Souad Sbai, presidente delle donne marocchine in Italia, ha esultato come una bambina. Quasi non voleva crederci. «L’esecuzione della pena è stata annullata», così recitava il testo, alla quindicesima riga. Fax spedito dalla reale ambasciata dell’Arabia Saudita a Roma: dunque, un documento ufficiale. Un annuncio che Souad Sbai adesso non esita a definire «storico»: Majda Mustapha Mahir, 40 anni, donna marocchina con due bambini, condannata a morte a Riad per l’uccisione del marito, il principe saudita Farid ibn Abdullah ibn Mishari al Saud, questa mattina non sarà decapitata dalla lama del boia. «È la prima volta - dice Souad - che succede una cosa del genere in Arabia Saudita. Ora siamo tutti contenti, ma la battaglia deve andare avanti, perché Majda si è sempre dichiarata innocente».
Ieri sera, davanti all’ambasciata saudita a Roma, le donne marocchine, i radicali e quelli dell’associazione «Nessuno tocchi Caino» hanno organizzato una fiaccolata, l’ultimo appuntamento di una mobilitazione internazionale che dura da mesi, con gli appelli già rivolti a re Fahd da Amnesty International, dal Parlamento europeo, dalla Commissione per i diritti umani del Senato, fino alla denuncia del Corriere di martedì scorso, citata nello stesso comunicato saudita. I manifestanti, ieri, hanno anche consegnato all’ambasciatore, principe Mohammed bin Nawwaf bin Abdulaziz al Saud, una lettera per il re, in cui si chiede «un giusto processo per Majda».

«Ma noi ancora non ci fidiamo - dice Sergio D’Elia, segretario dell’associazione «Nessuno tocchi Caino» -. Noi vorremmo che oggi, venerdì, giorno previsto per l’esecuzione di Majda, l’ambasciatore italiano a Riad facesse tutti i passi diplomatici necessari per accertare l’effettivo annullamento della sentenza. Perché l’Arabia Saudita è ancora tra i primi Paesi esecuzionisti al mondo, con 38 condanne capitali eseguite nel 2004 e ben 45 già effettuate in questi primi 5 mesi del 2005. Quasi sempre le vittime sono i lavoratori stranieri, gli immigrati, che spesso non sanno nemmeno di essere stati condannati a morte, perché i processi si svolgono a porte chiuse. Alcuni giustiziati hanno potuto capire ciò che gli stava accadendo solo un attimo prima dell’esecuzione». La stessa Majda, da 7 anni, vive confinata in carcere in totale solitudine, lontana dai suoi figli e dagli avvocati. L’ambasciata dell’Arabia Saudita, però, nel fax inviato ieri, confuta le tesi dell’accusa: «L’omicida ha confessato la propria colpa, ha ammesso di aver sparato». E ancora: la donna «non aveva mai contratto matrimonio con il principe, ma lavorava alle sue dipendenze». «La revoca della condanna - infine - è stata ufficialmente accettata dai figli della vittima circa 4 mesi fa davanti all’autorità giudiziaria». «E questo - conclude la nota - in conformità al diritto islamico vigente che prevede il principio del perdono. La mediazione umanitaria in Arabia Saudita rientra nella diffusa sensibilità della società civile».

Tutto finisce bene, quindi, anche se la presidente delle donne marocchine in Italia - che la settimana scorsa aveva chiesto aiuto pure al segretario generale della Lega musulmana mondiale, lo sheikh Abdallah bin Abdelmohsen al Turki - è certa del matrimonio contratto da Majda col principe Farid e teme che questa, piuttosto, sia solo una manovra del governo saudita per togliere alla donna la potestà sui figli. «E poi se la decisione di annullare la condanna a morte risale a 4 mesi fa - conclude Souad Sbai - perché non dircelo prima, anziché solo ora, tramite fax...».

Fabrizio Caccia

Ora Riad le conceda un processo equo

di MAGDI ALLAM

Majda è salva. Per la prima volta un articolo di giornale è riuscito a fermare la spada del boia che proprio oggi avrebbe decapitato una madre che si professa innocente. Per la prima volta l'Arabia Saudita si sente costretta ad annunciare ufficialmente l'annullamento di una condanna a morte, svelando gli improbabili retroscena di un processo sommario a porte chiuse, celebrato senza un codice in linea con il diritto internazionale e la difesa di un avvocato. Salvare una vita umana è sicuramente una vittoria. Per Majda, per i suoi due figli, per tutti coloro che hanno a cuore il rispetto dei diritti fondamentali della persona. Nel comunicato emesso dall'ambasciata dell'Arabia Saudita a Roma si afferma che «l'esecuzione della pena è stata annullata in conformità al diritto islamico che prevede il principio del perdono». Ebbene pur rallegrandoci per la decisione saudita, più che il principio del perdono concesso a discrezione di chi gestisce una macchina della giustizia anacronistica e impenetrabile, l'auspicio è che sia fatta giustizia. Giustamente Souad Sbai, presidente dell'Associazione delle donne marocchine in Italia che ha ieri promosso una manifestazione di fronte alla sede dell'ambasciata saudita a Roma, è determinata a proseguire la battaglia di protesta civile fino alla liberazione di Majda.
Ora sappiamo che Majda non subirà il barbaro rituale della decapitazione in una piazza pubblica antistante la moschea. Ma c'è il rischio che possa trascorrere chissà quanto tempo ancora nelle infelici galere saudite dove è rinchiusa da ben sette anni. Senza la possibilità di alcun contatto con il mondo esterno.
Nel comunicato dell'ambasciata saudita si sostiene che Majda avrebbe «confessato le proprie colpe e di aver sparato sulla vittima». Per contro le informazioni raccolte dai familiari e dalle autorità consolari marocchine a Riad indicano che Majda si è sempre dichiarata innocente. Addirittura si nega che Majda fosse la moglie della vittima, il principe saudita Farid ibn Abdullah ibn Mishari al Saud, e che invece «lavorava alle sue dipendenze». Si può ipotizzare che la famiglia del principe, per ragioni di eredità, non voglia riconoscere la validità di quel matrimonio, forse consumato con uno dei tanti stratagemmi della sharia. Ma in ballo ci sono anche due figli della coppia.
Dopo aver avuto salva la vita, Majda deve essere ora pienamente restituita alla vita. Majda deve essere messa nelle condizioni di provare la propria innocenza e quindi essere liberata. La sua libertà, frutto di una sentenza equa, coinciderà con la libertà dell'Arabia Saudita.

Fortunatamente l'Arabia Saudita è un paese in cui certi concetti di dignità della persona cominciano ad essere radicati e del resto mi pare che Bin Laden consideri proprio i paesi islamici non "ortodossi" l'obiettivo principale della sua "guerra santa" contro gli infedeli
Da notare che anche in questo caso l'intellighentia della sinistra ha fatto poco o nulla per dare risonanza alla cosa.
Sbaglio?
 
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Rachael
view post Posted on 27/5/2005, 09:17




Innanzitutto sono felice di apprendere che la condanna di Majda é stata sospesa, speriamo solo che adesso abbia un proceso equo.

Quanto a certa gente non dà risalto a certe cose perchè rivelano la realtà dell'Islam, anche quello alieno al terrorismo, ma che ha tutt'ora leggi crudeli e inumane.
 
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Rachael
view post Posted on 27/5/2005, 19:39




corriere

La donna freddata con un colpo di pistola alla testa
Uccisa la star dell’Mtv afghana Shaima Razayee, 24 anni, conduceva un programma per ragazzi. Era stata minacciata dagli integralisti

Qualcuno le ha sparato alla testa. Un colpo di pistola che le ha perforato da parte a parte il cranio e l’ha uccisa. Shaima Razayee, 24 anni, è arrivata così, già senza vita, ieri pomeriggio alle due all’ospedale di Emergency a Kabul. E gli infermieri e il personale locale della clinica l’hanno subito riconosciuta: nella capitale afghana era una dei volti più noti della tv.

A dare la notizia, per primo al giornale online Peacereporter, è stato il chirurgo di Emergency, l’italiano Marco Garatti, che era al lavoro quando è stato portato il corpo di Shaima. «Non c’era più nulla da fare - dice al telefono da Kabul -. A condurla da noi sono stati il padre, il fratello e due ragazze. In testa i segni di un colpo d’arma da fuoco: un foro di ingresso e un altro d’uscita». Si può fare l’ipotesi, spiega il medico, che le abbiano sparato con una pistola a distanza ravvicinata. Le caratteristiche di un’esecuzione.

L’inchiesta afghana è appena avviata. «L’hanno uccisa nella sua casa, nel quartiere di Char Qala», si limita ad aggiungere il capo della polizia locale Mohammad Akram Khakrizwal.

Intanto, però, una prima pista c’è e porta verso gli ambienti dell’integralismo religioso.
Quegli stessi che l’avevano minacciata nei mesi scorsi, che criticavano il suo abbigliamento occidentale, il velo appena appoggiato sulla testa, e che probabilmente avevano costretto l’emittente per cui lavorava, Tolo Tv , a licenziarla a marzo. I responsabili della rete alla France Presse avevano allora dato un’altra spiegazione: «La sua personalità non corrisponde ai nostri criteri».

Eppure Shaima al pubblico piaceva. «Quando cammino per la strada - aveva raccontato lei stessa a Radio Free Europe/Radio Liberty - alcune persone mi insultano. Molti altri mi fanno i complimenti. So che la gente ha opinioni e sentimenti contrastanti nei miei confronti a causa del lavoro che faccio. Ma non mi turba, perché la mia famiglia e anche un sacco di giovani di questo Paese mi incoraggiano».
E la seguivano fedelmente ogni sera alle sette e mezzo, unica donna alla conduzione di Hop , la risposta afghana all’occidentale Mtv : musica locale, iraniana, turca, indiana, ma anche video di Jennifer Lopez e Ricky Martin.

Hop a Kabul (ma ora è possibile captarla anche in periferia) è diventata una trasmissione culto. In onda da novembre su una delle emittenti più seguite del Paese, la Tolo Tv (significa «alba»), che l’imprenditore Saad Mohseni, rientrato nel 2002 in Afghanistan dopo vent’anni in Australia, ha messo su anche con i soldi dell’Agenzia Usa per lo sviluppo internazionale.

Con grande scandalo dei conservatori.Questa tv «corromperà la nostra società - sostiene il presidente della Corte Suprema Fazl Hadi Shinwari - e soprattutto allontanerà la gente dall’Islam, distruggendo il Paese».
Mohseni non ci crede e intende continuare sulla sua strada. Così al Chicago Tribune : «E’ importante per noi dare ai giovani un senso di speranza».

Combattiva anche Emma Bonino, europarlamentare radicale italiana che proprio per essersi schierata a fianco delle donne a Kabul (era il ’97) finì sequestrata dai talebani ed espulsa dal Paese. «Sono addolorata ma non disperata né sorpresa - dice -: insisto da tempo che la strada che deve percorrere l’Afghanistan è lunga. E che l’aiuto internazionale dev’essere ancor più massiccio».
Alessandra Coppola
Cecilia Zecchinelli

Edited by Rachael - 27/5/2005, 20:42
 
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Ishtar
view post Posted on 27/5/2005, 20:41




non ho parole ormai..non si puo' andare avanti cosi'..nell'indifferenza di molti.
 
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Rachael
view post Posted on 28/5/2005, 09:48




Di molti, ma grazie al cielo non di tutti...ma cosa vuoi i nostri "pacifisti" forse non ritengono importante la lotta per i diritti umani delle donne islamiche e poi sono troppo impegnati a lottare contro gli imperialisti amerikani poverini, mica si possono accollare tutte le ingiustizie del pianeta
 
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Rachael
view post Posted on 30/5/2005, 17:42




In Bruciata viva. Vittima della legge degli uomini» (Piemme) la terribile e coraggiosa testimonianza di Suad. La colpa di essere donna. Odissea d'una giovane cisgiordana sfigurata dal cognato «disonorato»

Leggete la storia di Suad.
Il minimo che possiamo fare è essere informate su ciò che succede nel mondo”. Bruciata viva impone una lettura impegnativa, non sul piano intellettuale, ma su quello emotivo.
Suad nasce in Cisgiordania da una famiglia di contadini, dove essere donna è una maledizione…Suad non conosce niente del mondo, non può andare a scuola, deve solo lavorare duramente tutto il giorno, basta un minimo errore, una piccola distrazione, come versare pochi granelli di zucchero o non preparare il the sufficientemente caldo, per essere duramente picchiata dal padre, cosa che accade quotidianamente a lei e alle sue sorelle. In famiglia c’è un unico fratello maschio, che cresce adorato da tutto la famiglia come un Dio, per le donne invece non c’è futuro. Divenuta grande in questo mondo dove non le è permesso guardare in faccia un uomo, perché sarebbe subito additata come una charmuta, una prostituta, si innamora di un ragazzo che potrebbe sposarla e portarla via dal violento padre, che tanto odia. Suad rimane incinta, la promessa di matrimonio svanisce e lei si trova sola e disperata, senza sapere che cosa le sta accadendo. I genitori decidono di ucciderla perché ha disonorato l’onore dell’intera famiglia. Una mattina viene lasciata sola in casa a fare il bucato, suo cognato le si avvicina, le getta addosso della benzina e accende il fuoco. Suad corre, riesce a scavalcare il muro del giardino e cade a terra. Alcune donne giungono in suo aiuto, spengono il fuoco e la portano in ospedale. Non le reste molto da vivere, la sua pelle è bruciata, il mento si incolla al petto ed il dolore è terribile. La madre va a trovarla nel tentativo di finire il lavoro e farle bere del veleno, viene salvata da un medico,... (da www.manidistrega.com )
......
Suad avrebbe dovuto morire e insieme a lei, il figlio che portava in grembo, figlio di un amore bambino consumato sull'erba di un prato della Cisgiordania tra il pascolo delle capre e l'ansia dell'attesa.
Bruciata viva. Vittima della legge degli uomini, pubblicato da Piemme, è la storia di Suad, un nome di fantasia per tutelarne l'incolumità fisica e l'identità conquistate in Europa. La ragazza, gravemente ustionata, il mento attaccato al petto, e le braccia divenute incapaci di un abbraccio, ricomincia dall'ospedale dove l'operatrice di una organizzazione umanitaria riesce a fare l'impossibile per rubarla al pantano di violenza nella quale è vissuta.
Suad, classe 1957 o 1958, è analfabeta e questa non è la cosa peggiore. Nel villaggio dove Suad ha vissuto fino a diciassette anni, le donne hanno solo una possibilità: accettare di essere picchiate e continuare a lavorare per i loro padroni: gli uomini. Le donne non immaginano che si possa vivere diversamente. E questa è la cosa peggiore. E' un fatto culturale: la divulgazione del messaggio deve essere affidata alla cultura e alla politica, vettore della diffusione dei diritti umani prima che civili. La storia di Suad è dura e semplice, al limite dell'incredibile. La reiterata identificazione con la madre, nel senso letterale del termine, diventa nella struttura comunitaria descritta un circuito vizioso dal quale sembra impossibile costruire la fuga e progettare una rinascita sociale. La madre tradisce il marito-padrone con un altro uomo, un uomo a cavallo e sorridente. La figlia si innamora del vicino di casa, vestito bene e con un lavoro nella città che raggiunge in automobile. La vita futura nel villaggio viene concepita solo grazie ad un uomo, immaginato diverso da quelli della famiglia d'origine. E la storia continua. E' un percorso di negazione dell'identità, inserito in un contesto comunitario nel quale il mutamento sociale è fermo nella comoda e calda fognatura di chi gestisce il potere: gli uomini. Non sono uomini consapevoli del danno umano e sociale che vanno perpetrando. Sono uomini vigliacchi e chiusi, uomini ignoranti e per niente coraggiosi. Arrivata in Europa, dopo che i medici le hanno ricostruito la pelle lembo a lembo, Suad impara a leggere e a scrivere, trova un lavoro e si innamora di un uomo, con una bella automobile. Si innamora da lontano e in silenzio. Ripete lo stesso schema del suo primo amore. Si conoscono, si frequentano e dopo qualche tempo inizia la convivenza. Lei per lungo tempo gli toglie le scarpe e lo accudisce quando rientra stanco. Si alza alla mattina alle cinque per lavargli i piedi ed i capelli. Come fanno le donne del suo Paese. «La differenza è che questo uomo lo avevo scelto», scrive Suad. Molto è cambiato dalla sua adolescenza, ma l'impronta profonda è rimasta la stessa. Almeno adesso ha scelto. Ha coniugato una possibilità di ciò che ha visto nella fase di prima socializzazione, se così si può chiamare. Non sempre la «libertà da qualche cosa» innesca il meccanismo della «libertà di fare o di essere»: non è immediato e spesso se ne ha paura.
Suad ha scelto ciò che ha potuto. Ciò che la sua comunità d'origine le ha graffiato addosso è indelebile. Almeno Suad sta camminando. E' inquietante pensare e scrivere: «almeno sta camminando». Perché è il segno della consapevolezza che spesso il genere umano può solamente gestire al meglio le sconfitte. E' eticamente obbligatorio guardare avanti.
...
Francesca Dallatana


 
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verbenasapiens
view post Posted on 30/5/2005, 20:06




Orribile..ma sono in pochi quelli che si indignano per questi fatti..
Il sito rawa esiste ancora rach?
 
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37 replies since 24/5/2005, 07:15   401 views
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