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L’Arabia Saudita: «Majda non sarà decapitata»)
L’ambasciata a Roma annuncia che i parenti della vittima hanno «perdonato» la donna accusata di omicidio: avrebbe dovuto essere giustiziata oggi
Le associazioni umanitarie e delle immigrate marocchine esultano per la decisione. «Adesso va annullata la sentenza»
ROMA - Quando, ieri mattina alle 11.07, è arrivato quel fax, nella sede romana dell’associazione, lei, Souad Sbai, presidente delle donne marocchine in Italia, ha esultato come una bambina. Quasi non voleva crederci. «L’esecuzione della pena è stata annullata», così recitava il testo, alla quindicesima riga. Fax spedito dalla reale ambasciata dell’Arabia Saudita a Roma: dunque, un documento ufficiale. Un annuncio che Souad Sbai adesso non esita a definire «storico»: Majda Mustapha Mahir, 40 anni, donna marocchina con due bambini, condannata a morte a Riad per l’uccisione del marito, il principe saudita Farid ibn Abdullah ibn Mishari al Saud, questa mattina non sarà decapitata dalla lama del boia. «È la prima volta - dice Souad - che succede una cosa del genere in Arabia Saudita. Ora siamo tutti contenti, ma la battaglia deve andare avanti, perché Majda si è sempre dichiarata innocente».
Ieri sera, davanti all’ambasciata saudita a Roma, le donne marocchine, i radicali e quelli dell’associazione «Nessuno tocchi Caino» hanno organizzato una fiaccolata, l’ultimo appuntamento di una mobilitazione internazionale che dura da mesi, con gli appelli già rivolti a re Fahd da Amnesty International, dal Parlamento europeo, dalla Commissione per i diritti umani del Senato, fino alla denuncia del Corriere di martedì scorso, citata nello stesso comunicato saudita. I manifestanti, ieri, hanno anche consegnato all’ambasciatore, principe Mohammed bin Nawwaf bin Abdulaziz al Saud, una lettera per il re, in cui si chiede «un giusto processo per Majda».
«Ma noi ancora non ci fidiamo - dice Sergio D’Elia, segretario dell’associazione «Nessuno tocchi Caino» -. Noi vorremmo che oggi, venerdì, giorno previsto per l’esecuzione di Majda, l’ambasciatore italiano a Riad facesse tutti i passi diplomatici necessari per accertare l’effettivo annullamento della sentenza. Perché l’Arabia Saudita è ancora tra i primi Paesi esecuzionisti al mondo, con 38 condanne capitali eseguite nel 2004 e ben 45 già effettuate in questi primi 5 mesi del 2005. Quasi sempre le vittime sono i lavoratori stranieri, gli immigrati, che spesso non sanno nemmeno di essere stati condannati a morte, perché i processi si svolgono a porte chiuse. Alcuni giustiziati hanno potuto capire ciò che gli stava accadendo solo un attimo prima dell’esecuzione». La stessa Majda, da 7 anni, vive confinata in carcere in totale solitudine, lontana dai suoi figli e dagli avvocati. L’ambasciata dell’Arabia Saudita, però, nel fax inviato ieri, confuta le tesi dell’accusa: «L’omicida ha confessato la propria colpa, ha ammesso di aver sparato». E ancora: la donna «non aveva mai contratto matrimonio con il principe, ma lavorava alle sue dipendenze». «La revoca della condanna - infine - è stata ufficialmente accettata dai figli della vittima circa 4 mesi fa davanti all’autorità giudiziaria». «E questo - conclude la nota - in conformità al diritto islamico vigente che prevede il principio del perdono. La mediazione umanitaria in Arabia Saudita rientra nella diffusa sensibilità della società civile».
Tutto finisce bene, quindi, anche se la presidente delle donne marocchine in Italia - che la settimana scorsa aveva chiesto aiuto pure al segretario generale della Lega musulmana mondiale, lo sheikh Abdallah bin Abdelmohsen al Turki - è certa del matrimonio contratto da Majda col principe Farid e teme che questa, piuttosto, sia solo una manovra del governo saudita per togliere alla donna la potestà sui figli. «E poi se la decisione di annullare la condanna a morte risale a 4 mesi fa - conclude Souad Sbai - perché non dircelo prima, anziché solo ora, tramite fax...».
Fabrizio Caccia
Ora Riad le conceda un processo equo
di MAGDI ALLAM
Majda è salva. Per la prima volta un articolo di giornale è riuscito a fermare la spada del boia che proprio oggi avrebbe decapitato una madre che si professa innocente. Per la prima volta l'Arabia Saudita si sente costretta ad annunciare ufficialmente l'annullamento di una condanna a morte, svelando gli improbabili retroscena di un processo sommario a porte chiuse, celebrato senza un codice in linea con il diritto internazionale e la difesa di un avvocato. Salvare una vita umana è sicuramente una vittoria. Per Majda, per i suoi due figli, per tutti coloro che hanno a cuore il rispetto dei diritti fondamentali della persona. Nel comunicato emesso dall'ambasciata dell'Arabia Saudita a Roma si afferma che «l'esecuzione della pena è stata annullata in conformità al diritto islamico che prevede il principio del perdono». Ebbene pur rallegrandoci per la decisione saudita, più che il principio del perdono concesso a discrezione di chi gestisce una macchina della giustizia anacronistica e impenetrabile, l'auspicio è che sia fatta giustizia. Giustamente Souad Sbai, presidente dell'Associazione delle donne marocchine in Italia che ha ieri promosso una manifestazione di fronte alla sede dell'ambasciata saudita a Roma, è determinata a proseguire la battaglia di protesta civile fino alla liberazione di Majda.
Ora sappiamo che Majda non subirà il barbaro rituale della decapitazione in una piazza pubblica antistante la moschea. Ma c'è il rischio che possa trascorrere chissà quanto tempo ancora nelle infelici galere saudite dove è rinchiusa da ben sette anni. Senza la possibilità di alcun contatto con il mondo esterno.
Nel comunicato dell'ambasciata saudita si sostiene che Majda avrebbe «confessato le proprie colpe e di aver sparato sulla vittima». Per contro le informazioni raccolte dai familiari e dalle autorità consolari marocchine a Riad indicano che Majda si è sempre dichiarata innocente. Addirittura si nega che Majda fosse la moglie della vittima, il principe saudita Farid ibn Abdullah ibn Mishari al Saud, e che invece «lavorava alle sue dipendenze». Si può ipotizzare che la famiglia del principe, per ragioni di eredità, non voglia riconoscere la validità di quel matrimonio, forse consumato con uno dei tanti stratagemmi della sharia. Ma in ballo ci sono anche due figli della coppia.
Dopo aver avuto salva la vita, Majda deve essere ora pienamente restituita alla vita. Majda deve essere messa nelle condizioni di provare la propria innocenza e quindi essere liberata. La sua libertà, frutto di una sentenza equa, coinciderà con la libertà dell'Arabia Saudita.
Fortunatamente l'Arabia Saudita è un paese in cui certi concetti di dignità della persona cominciano ad essere radicati e del resto mi pare che Bin Laden consideri proprio i paesi islamici non "ortodossi" l'obiettivo principale della sua "guerra santa" contro gli infedeli
Da notare che anche in questo caso l'intellighentia della sinistra ha fatto poco o nulla per dare risonanza alla cosa.
Sbaglio?