Cosa vedere questa settimana
Al cinema con il Mereghetti
Con «La guerra dei Mondi», protagonista Tom Cruise, Spielberg racconta la lotta contro un nemico nascosto nelle viscere della Terra.
«La sposa siriana»: donne in guerra con politica e famiglia
La guerra dei Mondi
La guerra dei Mondi
di Steven Spielberg; con Tom Cruise, Tim Robbins, Dakota Fanning, Miranda Otto, Justin Chatwin (Usa 2005)
Ci sono cose che i bambini è meglio che non vedano. Ma questo non vuol dire che i grandi non debbano fare. Questa, più o meno, è l’ambigua filosofia di fondo dell’ultimo film di Steven Spielberg, nuova versione del romanzo omonimo di H. G. Wells, già reso famoso da una celeberrima trasmissione radiofonica di Orson Welles nel 1938 e portato sullo schermo da Byron Haskin nel 1953. Anzi, proprio il coraggio di guardare in faccia il pericolo (e saper agire di conseguenza) è la discriminante che segna il discrimine tra chi è davvero adulto e chi non lo è ancora.
Lo dimostra, nella prima parte del film, il protagonista Ray Ferrin interpretato da Tom Cruise: padre «assente» e cittadino impotente fino a quando il terrore sembra avere il sopravvento; genitore protettivo e «soldato» temibile (disposto a immolarsi come un kamikaze quando è catturato da uno dei tripodi, se non fosse «salvato» dagli altri prigionieri: una metafora per l’oggi?) quando abbandona la paura per cercare strategie di sopravvivenza. E lo conferma, nella seconda parte, il comportamento del figlio Robbie (Chatwin) che diventerà finalmente adulto, imparando a rispettare suo padre (e salvandosi), solo dopo aver scelto di «guardare in faccia» il nemico e di non fuggire come tutti.
Mentre la piccola e piagnucolosa Rachel (Fanning), a cui il padre spesso «proibisce» di guardare gli orrori che la circondano, non potrà che chiudere il film nell’abbraccio protettivo della madre (Miranda Otto). Con una piccola, non insignificante postilla: tra le cose che gli adulti «devono» fare, c’è anche l’omicidio del più debole, che rischia di mettere a repentaglio la vita degli altri. Anche se il tutto avviene «pietosamente» nascosto dietro a una porta chiusa… (Curioso che in un Paese e una Cultura che sembrano avere sempre più paura del darwinismo come griglia scientifica per spiegare laicamente la realtà, si finisca sempre per esaltare un darwinismo «inconscio» e beluino che giustifica la supremazia del più forte e del più deciso sul più debole e pauroso).
E’ cambiato molto lo Spielberg che negli anni Settanta sognava incontri ravvicinati con alieni pacifici. Oggi anche lui sembra contagiato dall’angoscia di tutta una nazione (e di molto del mondo occidentale) che vede messa in discussione la propria supremazia. E da un nemico che si «nasconde» nelle viscere della nostra stessa terra, da un nemico che vive con noi da chissà quanto tempo (altra metafora per l’oggi?). Ma invece di riflettere criticamente sul degrado di una civiltà che sembra incapace di prendere in considerazione la fine delle proprie illusioni di onnipotenza, come ha sempre fatto la fantascienza più adulta e matura, Spielberg dà solo libero sfogo al panico inconscio che il nemico innesca, pantografando la paura del singolo con una colonna sonora invasiva e angosciante (mai John Williams è stato tanto simile all’hitchcockiano Bernard Herrmann), che finisce per ipnotizzare l’attenzione dello spettatore e trascinarlo in una specie di gorgo infinito di paura e irrazionalità.
E anche le celeberrime carrellate laterali con cui Spielberg apriva lo sguardo dello spettatore sulla realtà diventano «rattrappite» dimostrazioni di abilità, entrando e uscendo dall’abitacolo di un’automobile, ma finendo inevitabilmente per «girare in tondo». Come il film, d’altronde, che aggiunge poco o niente al percorso del regista e anzi segna una specie di resa del visivo di fronte al sonoro, in un’opera che dopo un inizio carico di tensione diventa solo cupa e ridondante.
La sposa siriana
di Eran Riklis;con Hiam Abbass, Makram J. Khoury, Clara Khoury, Ashraf Barhoum, Derar Sliman (Israele/Francia/Germani 2004)
Quali sono le frontiere che tengono strette le persone? Nella vita di Mona (Khoury), giovane drusa siriana a cui è capitato di nascere sulle alture del Golan, le sbarre da sollevare e attraversare sembrano non finire mai: ci sono quelle reali e concretissime dell’occupante israeliano, che obbliga una siriana che abita sul Golan intenzionata a sposare un siriano che abita in Siria (come è appunto il caso di Mona) a diventare di fatto un’esiliata, perché una volta uscita dal Golan occupato non potrà più farvi ritorno.
Ma ci sono anche le barriere psicologiche e sociali che dividono all’interno della stessa comunità gli uomini dalle donne, i padri dai figli, i giovani dai vecchi, tutte in nome di una cultura che forse non vuole cambiare o forse vorrebbe adeguarsi troppo in fretta ai nuovi tempi. E poi ci sono le barriere che nascono dalla stupidità umana, dalla burocrazia, dalla follia irrazionale in cui gli uomini in guerra sono abilissimi a ficcarsi. Presentato l’anno scorso a Locarno e premiato dalla giuria popolare, il film del regista israeliano Eran Riklis (e della cosceneggiatrice palestinese Suha Arraf) è una commedia commovente e divertente insieme, che riesce a raccontare, a volte con toni scanzonati e irriverenti, altre volte con toni dolenti e malinconici, i mille ostacoli che devono superare ogni giorno le donne di una regione in guerra con un nemico politico e familiare insieme. Parlato in cinque lingue (arabo, inglese, ebraico, francese e russo, perché c’è anche una volontaria della Croce rossa che deve tornare in Francia e un fratello della sposa con una moglie russa) il film esce benemeritamente in originale sottotitolata. Un esempio che andrebbe seguito di più.
Paolo Mereghetti
01 luglio 2005
da corriere.it