Il sofà delle muse

Referendum fecondazione assistita, parliamone

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verbenasapiens
view post Posted on 4/6/2005, 06:55




Referendum: le astensioni che non indignano la sinistra
Mandato da Pauler Venerdì, 03 June 2005, 21:25.
Marco Pannella - Nel 1985 è stato il primo ad invitare all'astensionismo. Ebbene sì, il paladino dello strumento referendario nel 1985, quando Pci e Cgil raccolsero le firme contro il decreto del governo Craxi che tagliava la scala mobile, scrisse un articolo sul Giornale e propose, contro un «referendum ricattatorio, donrodrighesco e sfascista, di invitare l'elettorato a disertare le urne. Basta non votare: il referendum cadrà automaticamente». Ma i partiti di governo non se la sentirono di rischiare, preferendo fare la campagna elettorale per il no e vinsero con il 54%.

Sei anni dopo fu Bettino Craxi (chissà se il figlio Bobo lo ricorda) a ricordarsi della geniale trovata pannelliana, pronunciando l'ormai famoso invito ad «andare al mare» per boicottare il referendum sulla preferenza unica.
Nel 1997, dinanzi a sette quesiti referendari proposti dai radicali, a lanciare la mobilitazione per l'astensione fu nientemeno che l'Unità, quotidiano del Pds diretto da Caldarola, oggi deputato diessino, con un editoriale intitolato: «Non andate a votare i referendum».La scelta generò l'imbarazzo del partito che rimase in silenzio anche di fronte alle critiche veementi della Bonino che paragonò i post-comunisti al Bettino Craxi in versione balneare, anche se Veltroni annunciò, a titolo personale, che avrebbe votato, mentre Massimo D'Alema al Maurizio Costanzo Show affermò: «Ho l'abitudine di andare a votare e non voglio perderla, ma non condivido l'indignazione contro chi non vuole andare a votare. C'è libertà di scelta». Oggi Massimo D'Alema definisce l'astensione un trucco elettorale ed una posizione sconcertante. Chissà se se ne ricorda ancora e chissà se avrebbe definito così anche la posizione di Giuseppe Giulietti che dichiarò: «Sono legittime le posizioni di chi si batte per un'astensione dal voto», mentre Caldarola rispose alle accuse di Pannella affermando che «il voto è un diritto come la scelta dell'astensione».

Nel 2000 furono proposti altri sette quesiti referendari che videro in Silvio Berlusconi il più grosso ostacolo al raggiungimento del quorum. Per l'attuale presidente del consiglio il messaggio fu chiaro: «Restare a casa per mandarli a casa». Ovviamente l'invito era rivolto alla sinistra e trovò stranamente alcuni inediti "compagni" di viaggio come i Verdi e lo Sdi di Boselli. Il segretario socialista che oggi accusa Rutelli di fare una campagna per l'astensione, nel 2000 invitava D'Alema «di non impegnarsi per il referendum», mentre Carlo Ripa di Meana, all'epoca portavoce dei Verdi, propose per la domenica del voto «una liberatoria scampagnata ecologista in bicicletta a ripulire prati e boschi».

Ed arriviamo al 2003, l'anno in cui Rifondazione Comunista propose il referendum per estendere l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori anche alle piccole imprese. I Ds, che demagogicamente sfilarono in piazza pochi mesi prima contro la prospettiva dell'inaudita violazione del sacrosanto diritto riconosciuto dall'articolo 18 ai lavoratori delle imprese con più di 15 dipendenti, si ritrovarono nell'imbarazzante situazione di dover auspicare la mancata affermazione della proposta di rifondazione per le nefaste conseguenze che si sarebbero abbattute sull'intera economia del Paese. Così il segretario dei ds, Piero Fassino, coniò la formula dell'astensione attiva che oggi considera un trucco ed una mistificazione. Non allora, quando spiegava: «il modo migliore di affrontare il referendum è ridurre il danno che può comportare, e la strategia per farlo passare attraverso la richiesta ai cittadini di non partecipare al voto». Quando il quorum mancò, un Fassino gioioso ricordò: «Lo auspicavamo, la nostra indicazione ha trovato ampio riscontro nel Paese».
Ecco, questo è un buon promemoria da tenere in debita considerazione in questi giorni.

Fonte Il Giornale

da legnostorto
e chi le dice queste cose alla saccenti tuttologhe che non sanno un tubo su nulla ma che vogliono apparire sempre e comunque?Del resto la loro consistenza morale e intellettuale e Kul_turale è riconoscibilissima anche da parte di chi le compiace..che figura..ma non è meglio che facciano solo le ochette nello stagno e al piu' dicano qua qua qua?
 
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Pontormo
view post Posted on 4/6/2005, 07:00




L'ironia di Cossiga:«Francesco, benvenuto tra gli infanti»(corrieredellasera)
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«Un cordiale benvenuto all’amico Francesco Rutelli tra le file dei cattolici infanti, che ben si distinguono senza fare graduatorie di valori dai cattolici adulti, da Rosy Bindi a Romano Prodi, che ha preso tanto gusto al ruolo da inviare ormai lettere-encicliche. Non vi è limite alla (credo in questo caso) infantile presunzione». Così ieri si è espresso l’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga sulle dichiarazioni del presidente della Margherita. Ma poi ha attaccato Enrico Boselli: «E così, l’ex-craxiano, neo-dipietrista, social-prodiano onorevole Boselli ha perso un’altra occasione per tacere, scagliandosi contro Rutelli accusato a sua volta di oscurantismo, disprezzo dei diritti delle donne e per la sua acquiescenza clericale alle indicazioni dei vescovi e del Papa, mentre nello stesso mondo cattolico vi sono posizioni differenziate». «Ma che cosa ha mai capito d’etica - aggiunge Cossiga - l’onorevole Boselli, almeno di quella dell’amicizia? Forse difende la posizione dei cattolici adulti alla Prodi e alla Bindi, che dovrebbe tacere perché nulla sa di fecondazione?».
da legnostorto
 
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Ishtar
view post Posted on 4/6/2005, 08:42




La corda sottile di Rutelli l’equilibrista(ilriformista)
Mandato da Il Legno Storto Sabato, 04 June 2005, 07:12.
La sua astensione al referendum sulla procreazione assistita, Francesco Rutelli l’aveva già anticipata. Del resto, il presidente della Margherita aveva votato sì alla legge 40. Ma ieri l’ha annunciata con una solennità, di toni e di contenuti, il cui obiettivo è farne un caso politico di primo piano. Del resto, lo ha ammesso: «Non è un rifiuto astratto, ma politico. E’ il modo politico più efficace per rigettare questa contesa anche perché chi vota no finisce per aiutare la battaglia del sì». Rutelli ha tutto il diritto di astenersi e nessuno tra i referendari glielo ha negato. Né ieri né mai. Tuttavia se la prende con «la forzatura e l’errore che i partiti della federazione hanno compiuto nel promuovere il referendum, per la mancata informazione degli altri partner e per il contenuto». Perché «il referendum contrasta con il programma dell’Ulivo 2001-2006». In altri termini, sono i referendari (cioè sostanzialmente i diessini) ad aver rotto il fronte. La sua scelta, dunque, è una risposta politica a un atto politico. E un richiamo di schieramento. Compiendo, in qualche modo una operazione parallela a quella che egli rimprovera ai ds. Si doveva prendere sulla legge 40, una posizione comune di tutto il centrosinistra?

Ma questa posizione non c’era, come si è visto dal voto in Parlamento. Così come è legittima la sua posizione, altrettanto legittimo è il ricorso al voto popolare. Egli sceglie l’astensione per una considerazione tattica: «il no imbalsama la legge attuale - spiega - il sì produce una legislazione inaccettabile». Dunque, conviene far fallire il referendum per poi aprire la strada a una modifica delle legge. Un argomento che non convince perché la legislazione che scaturirebbe da un sì è molto più blanda e cauta di altre. Il timore dell’onnipotenza dell’uomo, la sindrome di Frankenstein e altre suggestioni tardo-romantiche, o addirittura gli incubi dell’eugenetica nazista evocati da Oriana Fallaci, francamente non c’entrano nulla né con gli obiettivi né con i contenuti specifici proposti dai fautori del sì.

Ancor più contraddittorio appare l’appello a una sorta di disciplina di partito ex post (quando il partito non c’è e Rutelli non lo vuole nemmeno). Trasformare un dissenso di contenuto in una rottura politica, si espone a nuove polemiche e a operazioni strumentali. L’entusiasmo di Bondi e Volontè i quali prefigurano addirittura «prospettive politiche nuove e inusitate», ci appare, a essere buoni, un wishful thinking di un centrodestra anch’esso diviso sulla scelta referendaria. Tanto che Fabrizio Cicchitto (che andrà a votare per il sì) ha invitato a non tirare conclusioni avventate. Rutelli, a sua volta, ha trovato subito l’opposizione interna di due suoi amici come Paolo Gentiloni ed Ermete Realacci. Si sa che l’ex sindaco di Roma, vuol trasformare la Margherita in un partito con una sua identità, e con una forza tale da sfidare i Ds. Una gara per il primato all’interno del centrosinistra. Per il momento. A destra si parla apertamente di nuova leadership e quella di Berlusconi non è più scontata. Lo stesso avviene con Prodi nell’Ulivo. Rutelli si è distinto su questioni politiche di fondo: dall’Iraq al welfare state. Ora ha cominciato a muoversi su un crinale ancor più sottile, una corda tirata nel vuoto, sulla quale solo un equilibrista provetto può camminare senza cadere.

da legnostorto
 
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verbenasapiens
view post Posted on 4/6/2005, 13:25






Legittimo non votare, non ripartire da zero

L'intervento di Pier Ferdinando Casini, presidente della Camera dei deputati

Con l'approssimarsi del 12 giugno, il dibattito sui referendum in materia di procreazione assistita sta assumendo toni sempre più accesi. Circostanza prevedibile e naturale: le questioni su cui i cittadini saranno chiamati a pronunziarsi sono di grande complessità. Nella discussione si incrociano argomenti di ordine morale, religioso, scientifico, giuridico, sociale; si confrontano apertamente sistemi di valori; ci si interroga sulla direzione lungo cui orientare il tempo futuro della comunità nazionale. Si tratta insomma di questioni di sostanza, in grado di alimentare una riflessione approfondita sul merito degli interessi coinvolti, sulla loro reciproca ponderazione e sulla loro migliore tutela.
Eppure, con un sorprendente cambio di prospettiva, negli ultimi giorni i contenuti della riflessione sono passati in seconda fila ed hanno assunto invece centralità gli strumenti attraverso cui prendere posizione rispetto ai temi sul tappeto: le scelte di votare sì, votare no o di non andare a votare, da opzioni pacificamente legittime per Costituzione e come tali liberamente praticabili, sono diventate lo snodo cruciale della consultazione referendaria.
Una veemenza singolare e francamente sopra le righe è stata spesa in particolare da coloro che hanno inteso contestare la scelta di non recarsi alle urne. Una vis polemica che, amio parere, non ha aiutato a semplificare il quadro della situazione, ma anzi ha contribuito a confonderne i contorni.
Mi limito ad un breve excursus. Abbiamo appreso, ad esempio, che la non partecipazione al voto è un comportamento costituzionalmente lecito, così come l'invito a metterlo in pratica. Una campagna referendaria incentrata sull'indicazione di non votare sarebbe però una condotta di discutibile moralità politica. Io sono convinto che la moralità della politica stia nel rispettare, sempre e comunque, le regole e nell'utilizzare esclusivamente gli strumenti che quelle regole mettono a disposizione. Se questo è vero, mi sembra arduo porre una questione di moralità politica a chi, manifestando liberamente il proprio pensiero (prerogativa tutelata dalla Costituzione), invita i cittadini a non partecipare al voto (possibilità anch'essa fatta salva dalla carta fondamentale).
Abbiamo anche letto che il non partecipare al voto, pur nella sua indiscutibile liceità costituzionale, rappresenta una forma di ostruzionismo nei confronti di chi esercita poteri di democrazia diretta riconosciuti dalla Costituzione. Quest’ultima, dunque, offrirebbe strumenti tanto a chi vuole praticare la democrazia diretta, quanto a chi intende opporvisi non votando: tuttavia, mentre i primi eserciterebbero un diritto, i secondi sarebbero tacciabili di opportunismo. Un'asimmetria piuttosto singolare, della quale - tra l'altro - sembrano accorgersi solo adesso molti di coloro che hanno ampiamente e pacificamente praticato la scelta di non votare nelle numerose, precedenti tornate referendarie.
Io credo che sia indispensabile riportare i termini della questione alla loro semplicità, con l'equilibrio e la serenità che richiede la grande prova di maturità democratica cui gli italiani saranno a breve chiamati. E i termini sono i seguenti.
Il Parlamento ha approvato una legge, svolgendo fino in fondo il compito ad esso assegnato dalla Costituzione e nel pieno rispetto delle norme che ne disciplinano il funzionamento. Le Camere si sono assunte la responsabilità di decidere su temi di straordinaria delicatezza, dopo una lunga attività istruttoria, che ha attraversato l'arco di due legislature ed ha visto il contributo fattivo di tutti i soggetti interessati. Il dibattito è stato ampio, franco, non di rado aspro. Le scelte adottate hanno diviso le forze politiche lungo linee che non hanno seguito la demarcazione fra maggioranza e opposizione, ma hanno riflettuto piuttosto le divisioni che percorrono la società civile.
A fronte di questa verità inoppugnabile, documentata dagli atti parlamentari, lascia quanto meno perplessi la posizione di chi vede in questo referendum una sorta di ultima spiaggia, rispetto ad un Parlamento che si sarebbe sottratto al suo compito di rappresentare i cittadini, vittima della tirannia dell'attuale maggioranza (anche se la trasversalità delle opinioni emerse nel dibattito è sotto gli occhi di tutti). In Parlamento si discute, si vota, si trova una sintesi: una sintesi che può non piacere, ma che è e resta la sintesi della democrazia, poiché conforme alle regole che ne governano il funzionamento e le assicurano continuità nel tempo.
Questa sintesi non ha trovato il consenso di un certo numero di cittadini, che hanno ritenuto legittimamente di promuovere un referendum abrogativo giunto al vaglio degli elettori dopo aver superato tutti i passi procedurali prescritti dall'ordinamento e nel rispetto dei diritti e delle prerogative di ciascuno. Costoro si sono assunti un compito ben preciso: dimostrare, attraverso il concorso della metà più uno dei cittadini elettori, che la maggioranza dei parlamentari che ha votato quella legge non interpretava in quel momento la volontà del Paese. Una responsabilità che, per definizione, grava esclusivamente sui promotori della consultazione referendaria.
Rispetto a questa iniziativa, altri cittadini hanno maturato la scelta di non partecipare al voto, ritenendo questa l'opzione - costituzionalmente legittima - più rispondente all'esigenza di non vanificare il risultato ottenuto in Parlamento. I sostenitori del non voto si sono mossi nella logica della chiarezza, confrontandosi apertamente con tutte le posizioni in campo e motivando ampiamente le proprie ragioni. Sono ragioni forti ed impegnative, che interrogano in profondità le coscienze di tutti e che certamente sono meno semplici da spendere, sul piano mediatico, rispetto a quelle di chi vuole abrogare le disposizioni sottoposte al referendum dicendo di voler far nascere più bambini, di volere più scienza e più felicità: un modo un po' semplicistico di affrontare le paure, i dubbi e le attese del nostro presente.
Le ragioni del non voto non coincidono con la difesa ad oltranza del testo approvato dalle Camere. E' anzi diffusa la consapevolezza della necessità di dovervi porre mano per migliorare alcune delle soluzioni adottate. Ma altrettanto diffusa è la consapevolezza che eliminare del tutto quelle soluzioni, per quanto imperfette, rappresenterebbe un'evenienza drammatica: significherebbe di fatto ripartire da zero, rinunciando a tempo indefinito ai progressi comunque conseguiti rispetto ad una situazione di completa deregolazione della materia.
Adesso ci attende il cimento del voto. Come già ho avuto occasione di dire, le mie idee in proposito sono chiare e tali sono da tempo. Nei giorni scorsi il Presidente del Senato, Marcello Pera, ha dichiarato che non andrà a votare sulla base di ragioni di grande momento. Tra di esse, limpida è stata l'indicazione del Parlamento come luogo istituzionale ineludibile per soppesare adeguatamente le questioni della tutela della vita fin dal concepimento e dei limiti della libertà della scienza, al di là della distinzione tra laici e credenti. Sono considerazioni che condivido pienamente.
Questo complesso articolato di riflessioni mi induce dunque a ribadire che la condotta di chi sceglie di non andare a votare, forte delle proprie ragioni ideali e garantito nella sua scelta dalla Costituzione e dalla legge, ha la stessa dignità di quella di chi, invece, a votare si recherà, decidendo secondo coscienza per il "sì" o per il "no" o depositando nell'urna una scheda bianca.
Su unamateria di tale rilevanza, debbono prevalere la prudenza ed il senso di responsabilità. Ritorniamo allora al merito delle questioni, continuiamo ad interrogare la nostra coscienza per orientarci in questa difficile scelta e, soprattutto, restiamo fedeli allo spirito ed alla lettera della Costituzione, che ha guidato sino ad oggi con sicurezza i nostri passi lungo la via del progresso, della democrazia e della libertà.
Pier Ferdinando Casini, presidente della Camera dei deputati
da corriere.it
 
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Rachael
view post Posted on 4/6/2005, 16:57




Rutelli: mi astengo, referendum inadeguato

Conferenza stampa per spiegare la decisione: «Una scelta a titolo personale, per esprimere radicale diniego alla propaganda semplificata dei promotori La ritengo la scelta più efficace per non far vincere il sì»

Replica a chi bolla l'astensione come un trucco: «Tocca ai promotori dimostrare che i quesiti interessano alla maggioranza degli italiani»


Da Roma Pier Luigi Fornari

Francesco Rutelli non andrà a votare per «esprimere un radicale diniego delle semplificazioni fatte dalla propaganda dei referendari». Lo spiega in una lunga conferenza stampa, nella quale precisa di parlare come parlamentare e «laico», e non come presidente della Margherita, perché questa responsabilità lo impegna a garantire a tutti i dl la massima libertà di espressione, a differenza di quanto hanno fatto altri partiti della Fed. «Non è saggio né commisurato ai temi in questione lo strumento del referendum», argomenta. La prova? Le grossolane semplificazione del contenuto dei quesiti fatta dai referendari. Ma la sua è una decisione anche politica: «il "non voto" è la scelta più efficace a evitare la vittoria del sì: un macello, perché produrrebbe una legislazione sbagliata e ingestibile». Chi vota "no" invece finisce per aiutare la vittoria dei referendari, «quindi una scelta controproducente». E in ogni caso la vittoria del "no", per Rutelli, imbalsamerebbe la legge. «Non considero la legge 40 perfetta - precisa l'ex sindaco di Roma - il "non voto" è l'unico modo per permettere dei miglioramenti, sulla base di una attenta sperimentazione». A coloro che ora liquidano l'astensione come «un trucco», il leader della Margherita, rinfaccia di aver tutti in altre occasioni mobilitato i loro partiti per il «non voto». A riprova riferisce le giustificazioni date da Piero Fassino, senza nominarlo. «È davvero singolare questo atteggiamento - osserva -. È onore e onere dei promotori dei quesiti dimostrare che essi interessano la maggioranza più uno degli elettori». L'ex candidato premier del centrosinistra per circa un'ora e mezza porta argomenti in abbondanza per dimostrare che «la difesa della vita è un valore democratico, riformista e progressista, come scrisse Norberto Bobbio». Si scaglia contro la deriva eugenetica a cui darebbe il via la vittoria dei "sì". «Dove passa il confine che permette di evitarla? - sostiene - non abbiamo il diritto di selezionar e i nostri figli. Si comincia con pretenderli sani, ma non esiste un diritto alla salute come obbligo di essere sani. Poi si continua con lo scegliere il sesso, il colore degli occhi, l'intelligenza.... Prima compiere un passaggio che sarà poi irreversibile abbiamo quanto meno il dovere di esercitare il dovere del dubbio». «È lecito creare embrioni per distruggerli in laboratorio?», insiste Rutelli, ricordando che prima della legge in alcuni casi non venivano neppure crioconservati, ma addirittura buttati. Punta il dito su ciò che chiama eufemisticamente le forzature dei referendari, come l'esaltazione dello scimpanzé "uomo in potenza" fatta Umberto Veronesi: «È la negazione di quella centralità umana che è alla base della nostra civiltà». Al titolo propagandistico dell'Unità ("4 milioni di malati condannati dalla legge crudele"), replica che «non c'è una sola persona curata al mondo con le cellule staminali embrionali». Ben diverso il discorso sulle staminali adulte. Perciò la prima legge da approvare dopo il referendum, deve finanziare le ricerche promettenti sulle cellule staminali del cordone ombelicale, dei feti spontanei, la produzione di cellule staminali embrionali senza passare per l'embrione. Rutelli respinge il contrasto tra legge 40 che tutela «la solitudine della vita nascente in vitro», con la 194, che affronta la tragedia di un conflitto profondo che avviene nel ventre della donna. Invita ad affrontare il problema della sterilità della donna anche da un punto di vista socioculturale ponendo in atto tutte quelle misure che possano rendere possibili anticipate nel tempo le gravidanze, consentendo di evitare il bombardamento ormonale di una donna di 45 anni. Il leader dl ironizza su coloro che applaudono i messaggi del Papa, quando si tratta di amnistia o guerra, e poi gli negano il diritto di parlare quando si tratta di valori. Indica il compito «biopolitico» di indicare alla scienza le priorità. «Non è giusto che sia il mercato a obbligare la scie nza a imboccare determinate strade. Perché non si investe nella terapia delle malattie dei Paesi poveri, e di quelle rare dei Paesi dell'occidente?».

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Ishtar
view post Posted on 4/6/2005, 19:23






«Tocca ai promotori dimostrare che i quesiti interessano alla maggioranza degli italiani»

ma con argomentazioni solide non con insulti e teorie campate in aria..
Certo che chi blaterava, come sempre ultrasaccente e tanto ignorante, che invitare ad astenersi dal voto è reato, sarà servito/A..
 
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Ishtar
view post Posted on 5/6/2005, 10:52






Per non costruire embrioni con lo scopo di distruggerli


di Bruno Dalla Piccola
È certamente complicato regolamentare i rapporti tra la scienza e l’inizio della vita. La legge 40 può essere migliorata, è vero. Ma di sicuro non attraverso il referendum: la vittoria del «sì» avrebbe conseguenze disastrose sia dal punto di vista etico che da quello scientifico. Per questo credo, da medico e da cittadino, che l’astensione sia l’atteggiamento migliore. Ritengo sbagliate le richieste di abrogazione formulate dal secondo quesito referendario.
Il divieto di produrre non più di tre embrioni alla volta e di impiantarli immediatamente nell’utero materno è infatti una scelta responsabile. Il perché è molto semplice: gli embrioni non sono—come affermano anche molti miei colleghi — «grumi» o «ammassi» di cellule. Dal punto di vista genetico un embrione rappresenta l’inizio della vita individuale. E non c’è bisogno di tirare in ballo l’anima.
Limitiamoci a prendere atto di ciò che accade dal punto di vista biologico e biochimico quando avviene l’incontro tra la cellula uovo e lo spermatozoo: lì prende il via un progetto biologico unico e irripetibile. E non ci sono dubbi sul fatto che quella nuova cellula sia un progetto di vita umana. Per questo motivo è inaccettabile «costruire» degli embrioni al solo scopo di distruggerli o farli morire al di fuori dell’utero materno, dove non dovrebbero mai stare se non per il tempo necessario per essere fecondati. Tutto ciò limita l’efficacia della fecondazione assistita esponendo la donna a una terapia più dura e finisce per ostacolare la ricerca scientifica (così affermano i sostenitori del «sì»)? Niente di tutto questo. Anzi.
Vediamo perché. I dati ufficiali dicono che nei primi 4 mesi in cui la legge 40 è entrata in vigore non c’è stato nessun calo sostanziale nel successo della tecnica (si è infatti scesi solo dal 27 al 24 per cento). Inoltre, è vero che le donne possono essere sottoposte a più stimolazioni per ottenere nuovi ovuli (nel caso in cui il primo tentativo fallisca), ma è altrettanto vero che si tratta di trattamenti ormonali blandi, che non sono dannosi per la salute delle pazienti.
Veniamo alla seconda questione. Dire no al referendum non significa assumere una posizione anti-scientifica. Sul fatto che questa legge limiti la ricerca, vedo troppa retorica. Io non sono certo di avere tutta la verità in tasca, ma ho dedicato la vita alla cura di malattie rare e degenerative. E so che è illusorio — e non scientifico—far credere che l’unica via per la cura di queste patologie stia nell’utilizzo delle cellule staminali embrionali (cioè delle cellule che si ottengono distruggendo l’embrione).
In anni di ricerche le cellule staminali embrionali non hanno dato nessun risultato applicabile alla cura delle malattie umane. Al contrario, utilizzando cellule staminali adulte (senza perciò ricorrere agli embrioni), siamo già in grado di ricostruire la pelle, la cornea, il miocardio, l’osso, la cartilagine e, recentemente, di riparare i danni di malattie neurodegenerative. Questa, io credo, è la via che la ricerca deve seguire. Un altro punto sul quale si fa molta confusione è l’utilizzo a fini scientifici degli embrioni congelati (pratica ora vietata, ma che la vittoria del secondo quesito potrebbe consentire di nuovo).
I ricercatori preferiscono infatti lavorare su quelli appena prodotti, dai quali ottengono una quantità di staminali molto più alta che da quelli conservati. Congelare l’embrione è dunque moralmente ingiusto e scientificamente poco utile. Concludo con la questione dell’analisi pre-impianto. La si spaccia per la panacea contro le malattie genetiche. Dubito che lo sia. Certo, per le coppie sterili e a rischio per gravi malattie ereditarie potrebbe essere una risorsa utile per «prevenire» la loro trasmissione ai figli. Ma prescriverla anche alle coppie non-sterili non è una buona pratica clinica: ci sono altre diagnosi affidabili (quelle molecolari pre-natali) che evitano un inutile ricorso alla fecondazione artificiale.
05 giugno 2005

da corriere.it
 
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verbenasapiens
view post Posted on 5/6/2005, 15:29




Perche’ Rutelli si astiene
“Una scienza cosciente dei propri limiti”. Il no all’eugenetica. La solitudine della vita nascente
ilfoglio.it
Roma. Astensione. Sarà questa la scelta di Francesco Rutelli ai prossimi referendum sulla fecondazione assistita. Una decisione presa “come politico e come parlamentare e non come presidente della Margherita” e illustrata nel corso di un incontro pubblico svoltosi ieri mattina.
L’ex sindaco di Roma ha difeso la “perfetta legittimità dell’astensione”, definendola “la risposta giusta e lo strumento giusto per questi referendum”, perché “l’estrema complessità e la varietà dei temi porta i promotori a una semplificazione inadeguata”. “E’ un onere dei proponenti dimostrare di non rappresentare una minoranza del popolo”, ha detto Rutelli, anche perché “con un quarto degli elettori si può riuscire a modificare una legge”. Il leader della Margherita non ha risparmiato critiche a chi oggi si scaglia contro l’astensione, ricordando che “tutti coloro che definiscono in modo aggressivo la scelta dell’astensione, in passato, almeno una volta, si sono politicamente astenuti su altri quesiti”. Insomma, insiste il leader Dl, “è singolare che oggi chi in passato ha promosso l’astensione attiva, definisca furbesca, miserabile e ipocrita l’azione per l’astensione attiva su questi referendum”, che è perciò il “modo politico più efficace per rigettare questa contesa e questi quesiti”, quindi “chi vota no finisce involontariamente per aiutare la riuscita del sì. E’ una testimonianza che io rispetto, ma in una contesa politica devi trovare lo strumento più efficace per raggiungere i risultati”. Rutelli inoltre ritiene che l’astensione consenta di “migliorare questa legge che non è perfetta” ma che “è indispensabile verificare”. Al contrario “il no imbalsama la legge attuale e delegittima la possibilità di modificarla; il sì produce una legislazione inaccettabile; il non raggiungimento del quorum lascia la strada aperta alla sua modifica”.

Rispettare il programma dell’Ulivo
Per Rutelli è stato un errore “la forzatura che i partiti della federazione dell’Ulivo hanno compiuto nel promuovere questi referendum, per la mancata informazione degli altri partner e per il contenuto”. Ma soprattutto, “il referendum contrasta con il programma dell’Ulivo 2001-2006” che su questa materia chiedeva un effettivo controllo, prevedeva la procreazione assistita solo in casi di sterilità, invitava a tener conto dell’interesse di chi deve nascere e proponeva una stretta vigilanza sulle manipolazioni della vita.
Quanto alle conseguenze possibili indotte dal risultato della consultazione, Rutelli ha detto che “la discussione sui referendum parzialmente abrogativi della legge sulla procreazione assistita non ci deve portare, e non ci porterà, a modificare la legge sull’aborto… non si può prendere a spunto questo referendum per modificare la legge sull’aborto, anche se non si fa tutto per disincentivare l’interruzione della gravidanza”. Tuttavia “non credo che si possa essere disinteressati alla solitudine della vita nascente e che non sia giusto il presunto diritto di creare materia vivente per distruggerla nel laboratorio: è un limite che dobbiamo darci”.
La campagna referendaria, per Rutelli, ha rispolverato “false antinomie tra laici e cattolici, centrodestra e centrosinistra, oscurantisti e fautori della scienza”. Lui si asterrà in virtù di una “opinione interamente espressione di una cultura laica”, perché “la difesa della vita è un argomento democratico, progressista, riformista, come scrisse Norberto Bobbio”. Per Rutelli è “progressista anche la battaglia contro la ricerca orientata e obbligata solo dal mercato che ignora le malattie nei paesi poveri e le malattie rare nei paesi ricchi; lo è una cultura che associa al progresso scientifico una paziente definizione del limite”. “Nella prospettiva dei prossimi decenni, non superare quei limiti che porterebbero all’eugenetica e alla selezione dei nostri figli è il fondamento di una cultura che associa diritti e doveri, promuove una libertà che include il diritto di non selezionare e scegliere i propri figli”.
Dopo aver precisato che “nessuno di noi sente come nemici i fautori del sì”, il leader della Margherita ha auspicato che “possiamo trovare subito dopo il referendum la capacità di pensare e di progettare alto sui temi della bioetica che interpellano la cultura progressista, chiamata a confrontarsi con la dirompente crescita delle opportunità scientifiche e che pone il problema di trovare un equilibrio tra diritti e doveri”. Proprio per questo occorre ricordare che i referendum intervengono su “questioni molto differenti tra loro, ciascuna delle quali esige risposte molto diverse”. Temi quindi che pongono “dubbi e non raffiche di asserzioni apodittiche”. Posizioni quest’ultime che sfociano nella “terribile polemica che si fa stravolgendo il contenuto di questi referendum”, visto che ad esempio “non c’è una sola persona al mondo che sia stata curata con il prodotto della ricerca sulle cellule staminali embrionali”. “Sono favorevole – ha detto Rutelli – a una larga convergenza per un piano straordinario di ricerca pubblica sulle staminali adulte che, a differenza delle staminali embrionali, già producono risultati nella cura di gravi malattie”.
Sono molte le domande lanciate da Rutelli ai suoi interlocutori.
E’ lecito creare embrioni per distruggerli in laboratorio?
Dove passa il confine che porta alla selezione eugenetica nei prossimi decenni?
Abbiamo presenti le implicazioni sociali della fecondazione eterologa? Le implicazioni sociali dei mutamenti profondi dei rapporti parentali?
E’ giusto caricare sulla condizione femminile le conseguenze di una società che spinge le donne a lavorare senza avere figli oppure a tentare di avere figli quando il tasso di fertilità lo consente con grandi difficoltà?
Su tutto questo, ha detto, dovere di ogni politico (“scientificamente incompetente, medicalmente inesperto, filosoficamente superficiale, ma colui che ha più responsabilità di tutti”) è la coscienza della fragilità e dell’inadeguatezza degli orientamenti in campo biopolitico, “occorrerà una disponibilità autentica a dialogare, correggere, correggersi di fronte ai travolgenti mutamenti che ci attendono”.


Mi piacerebbe che questa scelta fosse veramente consapevole e non di comodo
 
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Ishtar
view post Posted on 6/6/2005, 06:22





Usa, un società promette «bimbi vichinghi»

Grande successo tra le donne single di Manhattan. Il direttore: «E' come innamorarsi di qualcuno». Ma per molti è «agghiacciante»
NEW YORK - Un bimbo bello e biondo: chi non lo desidera? A New York c'è chi si è industriato per procurare un bebé dai capelli chiari a tutte le mamme che ne desiderano uno. «Congratulazioni! È un vichingo» dice lo slogan della Scandinavian Cryobank, una banca del seme di Manhattan che propone sperma di donatori danesi. Alti, biondi, belli e sani.

Sul sito della Scandinavian Cryobank è possibile consultare (a pagamento) l'elenco dei donatori, catalogati in base alle caratteristiche fisiche
INFERTILITA' - Una trovata pubblicitaria che rilancia il dibattito sulla procreazione assistita e sull'eugenetica, molto vivo non solo in Italia ma anche negli Stati Uniti, paese dove circa 5 milioni di persone hanno problemi di fertilità. Metà di loro si sottopone a trattamenti medici per la fertilità. Le banche del seme devono seguire rigide istruzioni per poter operare, ma la Scandinavian Cryobank dichiara di pienamente in regola con gli standard americani. E proprio per questo offre soltanto 50 dei suoi oltre 200 donatori abituali, selezionandoli in base a caratteristiche genetiche e di salute che rispondono meglio ai parametri statunitensi.
DUBBI - Il risultato è un crescente successo tra le donne, spesso single. «Non credo ci sia un problema etico in quello che facciamo», ha detto Claus Rodgaard, il responsabile della sociatà danese a New York, in un'intervista a Newsday. «Non è poi molto diverso - ha spiegato - dall'innamorarsi. Ci sono migliaia di donatori nel mondo e scegliere quello giusto è un pò simile alla selezione naturale. La gente fa shopping in giro ed esamina liste di donatori, per cercare qualcuno che gli piaccia. È davvero come nella vita reale, riflette ciò che siamo come umani». Ma molti si interrogano sul trend dei bambini vichinghi. «Un conto è scegliere sperma danese perchè quelle sono le tue origini familiari - afferma per esempio Daniel Kenigsberg, direttore di una società di inseminazione artificiale - ma se le caratteristiche della famiglia sono diverse, c'è qualcosa di agghiacciante in questo tentativo di avere figli diversi».
05 giugno 2005
corriere.it
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che bello cosi' Hitler si dimostrarà uno che aveva visto giusto e a conti fatti un genio benefattore.
Vediamo chi è tanto intelligente fa capire l implicazioni, anche genetiche e di selezione naturale della specie di tutto questo....Ah ma quanto è folle e ottusa Oriana Fallaci..
 
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verbenasapiens
view post Posted on 6/6/2005, 20:21




Allarme del Papa sulla fecondazione

«La vita è intangibile dal concepimento alla morte naturale».

E sulle coppie di fatto, etero o gay: «Unioni che scacciano Dio» - È contrario «all'amore umano, alla vocazione profonda dell'uomo e della donna» pensare di non avere figli «e ancora più sopprimere o manomettere la vita che nasce». È quanto ha detto Benedetto XVI aprendo i lavori del congresso ecclesiale diocesano di Roma, questa sera in San Giovanni in Laterano. «Anche nella generazione dei figli il matrimonio riflette il suo modello divino - ha detto il papa - l'amore di Dio per l'uomo». Ratzinger ha detto che «nell'uomo e nella donna la paternità e la maternità, come il corpo e come l'amore, non si lasciano circoscrivere nel biologico: la vita viene data interamente solo quando con la nascita vengono dati anche l'amore e il senso che rendono possibile dire sì a questa vita». «Proprio da qui - ha aggiunto - diventa del tutto chiaro quanto sia contrario all'amore umano, alla vocazione profonda dell'uomo e della donna, chiudere sistematicamente la propria unione al dono della vita, e ancora più sopprimere o manomettere la vita che nasce».

COPPIE DI FATTO - Le coppie di fatto, etero o gay, rappresentano forme «odierne di dissoluzione del matrimonio». Papa Ratzinger tuona contro le «unioni libere» tra uomo e donna così come gli «pseudo matrimoni» tra omosessuali, «espressione di libertà anarchica che si fa passare a torto per vera liberalizzazione dell’uomo». Ma che invece non sono altro che forme «che scacciano Dio dall’uomo», sviliscono l’amore umano, sopprimono l’autentica capacità di amare nel nostro tempo.

LIBERTINISMO - «Una tale pseudo libertà - ha detto il Papa parlando da San Giovanni - si fonda su una banalizzazione del corpo che inevitabilmente include la banalizzazione dell’uomo». Il presupposto di questo orientamento, spiega Ratzinger, è che l’uomo «pensa che l’uomo possa fare cio che vuole del suo corpo». Il libertinismo, aggiunge, che si fa passare per «scoperta del corpo e del suo valore, è in realtà un dualismo che rende spregevole il corpo, collocandolo per così dire fuori dall’autentico essere e dignità della persona».
GRAZIE ALLE FAMIGLIE - Benedetto XVI ha poi rivolto il suo «grazie cordiale» alle famiglie cristiane per il loro «impegno» che mettono nel «cercare di superare il relativismo» con la testimonianza «specialmente per riaffermare l'intangibilità della vita umana dal concepimento fino al suo termine naturale». Il Papa ha così ribadito «il valore unico e insostituibile della famiglia fondata sul matrimonio» e la necessità di provvedimenti legislativi e amministrativi che sostengano le famiglie nel compito di generare ed educare i figli, compito essenziale per il nostro comune futuro».
06 giugno 2005
da corriere.it
Grande Papa, poi ognuno è libero di fare quello che vuole ma se non ci sono valori è perchè non c'è Dio .Troppo facile dire di essere atei ma solo perr fare il proprio comodo perche questo vogliono le tante culo a capanna e i tanti tromboni sfiatati...ma non capiscono che, senza valori veri, non valgono nulla e del resto si vede eccome
 
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Rachael
view post Posted on 6/6/2005, 20:55




Putroppo i risultati sono sotto gli occhi di tutti, ogni giorno...cosa ha portato la mancanza di valori.
Anch'io ammiro profondamente Benedetto XVI.
 
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verbenasapiens
view post Posted on 7/6/2005, 13:07




Spunti di riflessione (06 giugno 2005)
Quattordici buoni motivi per non andare a votare

Caro Avvenire, mi rivolgo a te per una risposta convincente in merito alla mia sofferta incertezza circa l’indirizzo proposto da politici e religiosi, sul comportamento elettorale nei prossimi referendum. Mi chiedo: se il mondo cattolico fosse veramente tale, perché non accedere alle urne con un convinto no? Perché tentare di scavalcare il "pericolo" cavalcando l’ambiguità dell’astensione? Cristo ci ha amati come Uomo e come Dio dandoci i parametri della sapienza che è fedeltà a Dio e coerenza all’uomo: «Il vostro sì sia sì, il vostro no sia no, il resto viene dal maligno». Se anche oggi i cristiani non sono in grado di percepire il tempo in cui sono visitati, piangeremo comunque sulla rovina della nostra città.
Olga Sapienza




Io non vado a votare perché...
1. Il mio obiettivo è fare in modo che la legge 40 non venga cambiata e che dunque le proposte referendarie non vengano accolte. Fra le due opzioni a mia disposizione (votare no o non votare) scelgo la seconda perché mi offre maggiori opportunità di successo. La battaglia culturale è centrale in questa vicenda referendaria, e noi l’abbiamo affrontata a viso aperto. Ma primaria è la sorte degli embrioni umani oggetto di questa legge. E, allora, scelgo la via lecita che consente maggiori possibilità di successo: quella di non votare.

2. Io ho deciso di non andare a votare perché la Costituzione me lo consente. L’articolo 75 prevede infatti che i referendum siano validi solamente quando si reca a votare la metà più uno degli aventi diritto. Dunque la Costituzione permette di scegliere se esprimere un parere sui quesiti o se agire in modo che il referendum sia dichiarato nullo. Mi pare semplice da capire.

3. Scelgo il non voto perché a chiamarmi alle urne non è lo Stato, ma solo un gruppo di cittadini, quelli che hanno firmato la proposta abrogativa. Il voto è un diritto-dovere solo quando è lo Stato a chiamare al voto per scegliere i rappresentati del popolo sovrano. E ciò avviene solo con le elezioni politiche e amministrative. A convocare i referendum, stavolta, sono stati circa 750mila italiani, sui 50 milioni circa di cittadini italiani in età di voto. Rispetto l’opinione di questi cittadini, ma il fatto che siano loro a chiedere il referendum non mi obbliga a rispondere.

4. Abrogare una legge non è una cosa di poco conto. Quel testo è stato infatti approvato dalla maggioranza del Parlamento, eletto in occasione di quelle elezioni per le quali il voto è un diritto-dovere. È dunque ovvio che la pronuncia del Parlamento (cioè, indirettamente, del popolo) possa essere smentita solo dalla maggioranza dei cittadini. Sono dunque i referendari a doverci dimostrare che la maggioranza degli italiani la pensa come loro, li appoggia e li sostiene. L’onere della prova spetta tutto a loro.

5. Mi accusano di voler usare l’astensionismo fisiologico degli indifferenti? Riporto un’ipotesi possibile di voto che è stata fatta nei giorni scorsi su questo giornale. Mettiamo che partecipi il 55% degli aventi diritto al voto. E l’80% si pronunci per il sì. In tutto fa il 44%. Risultato: una minoranza di cittadini abroga una legge approvata da una maggioranza parlamentare. Anche la posizione del sì gode dunque in partenza di facilitazioni dalla legge referendaria. Se proprio la vogliamo mettere sul piano delle facilitazioni, diciamo allora che siamo pari.

6. Non vado a votare perché non è ammissibile tranciare di netto con il referendum, con un sì o con un no, materie così delicate. La fecondazione artificiale e i suoi dilemmi bioetici meritano un confronto serio e complesso, non una rozza semplificazione quale quella dei referendum.

7. Il non voto è un segno di rifiuto dell’utilizzo spregiudicato dello strumento referendario. Senza nemmeno attendere l’approvazione della legge 40 già si studiavano, infatti, i quesiti referendari per distruggerla. Non si è nemmeno aspettato di vedere come funzionava. La si voleva abbattere a priori. E io a priori mi rifiuto di avallare questa operazione. Non vado a votare.

8. Il non voto è anche e soprattutto un no, grande come una casa, all’utilizzo del referendum per decidere di vita o di morte, in questo della vita o della morte di esseri umani all’inizio della loro esistenza. Ma fino a che punto può arrivare una democrazia? Davvero tutto può essere messo ai voti, può essere dichiarato dipendente dalla volontà della maggioranza? Io penso che vi siano dei diritti che precedono ogni maggioranza, che non dipendono e non possono dipendere dalla volontà popolare.

9. C’è chi ha detto che non votare è una fuga, è disimpegno, è disinteresse. Ma quando mai! Nessuno si è impegnato tanto quanto il fronte del non voto, in questi mesi, a spiegare alla gente i contenuti della legge 40, organizzando migliaia di incontri in giro per l’Italia (con la collaborazione di migliaia e migliaia di persone). Da quando in qua l’impegno è misurato dal recarsi alle urne oppure no? A me non pare un segno di impegno - semmai di disimpegno - il pensare che quattro segni su quattro fogli possano essere sufficienti a dire: «Io la mia parte l’ho fatta».

10. Non votando io mi schiero apertamente, altro che nascondimento. Rendo la mia scelta visibile a tutti. Non mi trincero nemmeno dietro la segretezza del voto, e non ho paura di dimostrare con i fatti come la penso.

11. Io a votare non ci vado. Ma guai a chi dice che mi astengo. L’astensione è un’altra cosa. Vuol dire essere presenti, ma non sapere che fare, o pensare che né il no né il sì indichino chiaramente il proprio pensiero. Ma io, ripeto, un’idea ce l’ho e chiara. Compio una scelta oculata, in quanto a strategia e contenuto, pienamente legittimata dalla Costituzione.

12. Qualcuno pensa che occorre comunque testimoniare il proprio no ai quesiti referendari, e che occorre farlo attivamente, andando al voto? Ma così si fa solamente il gioco del fronte del sì! Suvvia, la realtà non si osserva con i paraocchi: chiunque voglia vedere e capire sa che l’andare alle urne è un regalo a chi vuole fare a pezzi la legge 40 e attentare alla dignità della vita umana. Può non piacere, ma è un dato di fatto.

13. Il non voto è anche un no all’utilizzo di una montagna di denaro pubblico - 700 miliardi delle vecchie lire - per il tentativo ideologico di abrogare una legge di buon senso. Ed è un no al rimborso elettorale che i promotori otterrebbero in caso di quorum superato. Se il quorum dovesse essere raggiunto, infatti, indipendentemente dal risultato fra sì e no, al comitato promotore andrebbe un rimborso di un milione di euro.

14. Dicono che non vado a votare perché così mi hanno ordinato i vescovi. Secondo lorsignori, saremmo tutti una massa di imbecilli incapaci di ragionare con la nostra testa e in spasmodica attesa di sapere dal cardinale vicario di Roma come votare, magari anche con chi parlare, dove andare, cosa mangiare, e così via. La realtà è molto più semplice: è che i referendari hanno una paura matta di perdere, e cercano di dare a intendere ai più "semplici" che non votare significa sottomettersi alle direttive (oscurantiste e medievali, s’intende) del "Vaticano" e di chi lo rappresenta. Sbagliano: non votare significa solo metterli nei guai. E la cosa, davvero, non mi dispiace affatto.

Questi sono i tanti motivi per i quali non andrò a votare. Alla fine faremo i conti. Alla fine vedremo quale sarà il risultato di questo appassionante confronto.
Stefano Caredda

da avvenire.it
 
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Rachael
view post Posted on 7/6/2005, 20:31




Ah si ho provato anche a giocarci....
 
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verbenasapiens
view post Posted on 9/6/2005, 06:15




Per difendere la vita umana
anche se è ancora in provetta

I promotori del « sì » considerano la maternità e la paternità esclusivamente una risposta ai bisogni degli adulti

Ritengo che il riconoscimento dei diritti del concepito nell'art. 1 della Legge 40 sia tra gli aspetti più importanti della legge stessa; esso indica in qualche modo il tipo di società che come cittadini vogliamo darci. Nel qualificare il tipo di società — anzi, di civiltà! — in cui vogliamo vivere il crinale corre tra l'assumere la vita come criterio invalicabile davanti a cui ogni scelta umana ha il dovere di fermarsi o quello di rendere la vita manipolabile, possibile oggetto nelle mani di chi può.
Proprio nell'art. 1 sta il modello di convivenza che vogliamo darci per il futuro: una società in cui siano assicurati i diritti di tutti, a cominciare dai più deboli; una civiltà in cui la vita del concepito è rispettata come vita umana, anche se è ancora in provetta; un soggetto portatore di diritti che la legge ha l'obbligo di tutelare.

Il quesito 3 lo vuole abrogare rendendo così possibile la sperimentazione sugli embrioni, la loro crioconservazione e soppressione. In questo modo apre la strada a una società in cui sia possibile mettere le mani sulla vita; in cui coloro che sono più forti possono decidere di usare la vita di chi non può far valere le proprie ragioni o i propri diritti; in cui ci sia qualcuno che decide quando una vita può essere ritenuta tale. Se oggi si possono mettere le mani sulla vita del concepito, perché domani non metterla su quella dell'handicappato grave che non ha coscienza di sé, o perché non metterla su quella del malato? La legge 40, con l'affermazione dei diritti del concepito, prende posizione sulla questione preliminare della bioetica, affermando che la vita che inizia dalla fecondazione è quella di un soggetto e di un essere umano. È vero che per molti il concepito è solo un grumo di cellule; ma finché per qualcuno ci sarà anche solo il dubbio che lì pulsa una vita umana, davanti a quel dubbio tutti abbiamo il dovere di fermarci.

È così che questo tema referendario si interseca con quello della qualità della democrazia del nostro Paese. Vogliamo una democrazia che tuteli i diritti di tutti, che sappia non schierarsi dalla parte di chi è più forte — di mezzi, di denaro, di opportunità... La democrazia è giustizia, equità, certezza del diritto; è garanzia solidale e non può usare il diritto in prospettiva individualistica.

Mi pare che questi referendum esprimano l'idea di una maternità e di una paternità come risposta a bisogni della coppia o degli adulti. Ma una società costruita sulla soddisfazione individualistica di domande soggettive; una società che non abbia punti di riferimento forti — e la vita mi sembra il primo, fondamentale, generativo di tutti gli altri — si incammini verso una civiltà decadente, incapace di grandi orizzonti; una civiltà che nel ripiegamento su bisogni soggettivi dice la sua sterilità e la sua incapacità di generare speranze per nessuno, tanto meno per le giovani generazioni.
Mi fa paura una civiltà in cui per rispondere ai bisogni di qualcuno — anche a bisogni buoni e legittimi, come quello della maternità — si possa pensare di violare e usare la vita.
Sono cattolica; per me il valore della vita è sacro ed è dono davanti a cui non finisco di stupirmi. Ma penso che anche senza la fede che professo avrei questo senso della vita come valore e come limite invalicabile. Difendo il valore della vita semplicemente come donna, perché penso che sia il patrimonio più laico che esista, quello che accomuna tutti come donne e come uomini. La difesa della vita è per i credenti di tutte le religioni e per i laici la sfida che potrebbe vederli insieme: e questo sarebbe veramente un motivo per guardare con fiducia alla società di domani.
Paola Bignardi
da corriere.it
 
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95 replies since 15/5/2005, 12:42   522 views
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