Il sofà delle muse

L'Angolo dei coglioni

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Maximus05
view post Posted on 13/8/2006, 19:10




Islam: il disastro sinistra-giudici- il mondo non si fida più di noi

Caro direttore, a cinque anni dall'11 settembre ti faccio una domanda. Secondo te quanti dei quaranta presunti terroriristi arrestati ieri dalle nostre parti saranno liberi tra pochi giorni? Perché noi italiani e noi europei ormai siamo mitridatizzati. La strage di massa ordita da jihadisti musulmani di cittadinanza britannica e ascendenza pachistana era già in seconda battuta, ai tg Rai di ieri sera. L'attenzione prioritaria andava alla vicenda israelo-libanese, con grande enfasi sul fatto che Israele rifiuta il cessate il fuoco e anzi il premier Yehud Olmert dà il via libera a una più massiccia operazione nel Libano Meridionale. Naturalmente, nessuno spiega che il motivo per il quale per fortuna Israele sinora non ha scatenato le proprie truppe corazzate, la ragione per la quale ancora ieri sera Olmert esitava a dare l'ordine, è che l'Europa al seguito della Francia condivide la posizione della Russia, e cioè non intende affermare esplicitamente che perché vi sia un cessate il fuoco occorre che gli Hezbollah vengano posti nella condizione di non poter più nuocere. E i media attaccano gli Usa.
È lo stesso meccanismo, che è subito scattato per rimuovere la portata della tragica minaccia sventata in Gran Bretagna. Migliaia e migliaia di inermi passeggeri sarebbero stati ridotti in polvere su cinque o sei diverse città degli Stati Uniti. Ma le reazioni prevalenti dei media e delle cancellerie europee sono state improntate a un silenzio che si deve a una convinzione cinica: "la cosa non ci riguarda". Anzi, è colpa della folle politica americana in Iraq, come ha subito detto il leader della Margherita Francesco Rutelli. Il terrorismo jihadista ha dichiarato da 15 anni guerra all'America, a Israele e all'Occidente "crociato e cristiano". Ma a cinque anni dall'11 settembre Al Qaeda e il vasto arcipelago di sigle che ne sono espressione hanno guadagnato molte posizioni. La più essenziale, è che noi europei e italiani ci siamo sottratti. Abbiamo lasciato Bush e Blair sempre più soli, scambiando per vera colpa gli errori compiuti per anni in Iraq dopo aver meritoriamente cacciato Saddam. Al contrario, America e Gran Bretagna reggono, almeno finché gli elettori non decreteranno anch'essi la vittoria dell'appeasement verso Al Qaeda. Ma finché reggonoci insegnano tre grandi lezioni, sulle quali è il caso di riflettere. E, dopo, è anche il caso di radicare un'agenda civile di resistenza, visto che di guerra si tratta. Una resistenza nella guerra dell'informazione e della propaganda, che è la prima sottile strategia di vittoria del jihadismo. Una resistenza nella guerra vera combattuta in ogni Paese, dalle forze di sicurezza, di intelligence, dalla polizia e dalle forze armate, quando occorre. La forza delle proprie ragioni. La prima lezione è la forza delle proprie ragioni. Lo smascheramento di chi pensava di abbattere nuovo terrore dal cielo insegna infatti che la sorveglianza - quando è assidua e professionale - è capace di raccogliere successi. Gli Stati Uniti in questi anni, ma anche la Gran Bretagna sotto il laburista Blair, hanno deliberato una nutrita serie di modifiche alle leggi ordinarie di pace, per consentire alle forze di intelligence e sicurezza di poter contare su sistemi e procedureche in tempi normali erano loro inibite. Anche in America, c'è un dibattito fortissimo su come e se le direttive presidenziali sulle nuove possibilità investigative aperte ai servizi, e sulle modalità di detenzione dei "nemici combattenti", rispettino o meno la Costituzione. Anche in Gran Bretagna, le nuove leggi varate da Blair hanno incontrato ostilità e subito emendamenti di fondo, alla camera dei Lords. Ma entrambi quei Paesi hanno fatto una scelta chiara. Quella di non mettere la testa sotto la sabbia, e di varare norme speciali per rispondere a una minaccia letale. Noi non lo abbiamo fatto. Nessun Paese dell'Europa continentale ha varato norme eccezionali paragonabili. In Italia, ci siamo limitati a modificare il codice penale due mesi dopo l'11 settembre, introducendo una fattispecie di terrorismo transnazionale che non ha impedito decisioni scandalose come quelle del gip milanese, Clementina Forleo.
La seconda lezione è che per sconfiggere il terrorismo bisogna piantarla di incolpare noi stessi, la nostra civiltà, la nostra storia e quella dei nostri padri e nonni.
Ieri, sul Times di Londra, l'ha scritto in maniera churchilliana Gerard Baker, ex uomo di Stato americano. La Fratellanza islamica alla quale si rifà Hamas, gli sciiti filoiraniani armati da Teheran come gli Hezbollah, le reti jihadiste che sono tese in ogni Paese e anche da noi in Italia, non sono affatto figlie di colpe storiche nostre, in nome delle quali tirarci fuori dalla lotta, nella speranza che essa riguardi solo i "cattivi", gli americani e gli israeliani, naturalmente. Mentre scrivo, caro direttore, ho allineati davanti alla mia scrivania i libri che contengono le prove e i documenti accumulati dai migliori analisti di Al Qaeda, e che raccolgono minacce e sentenze di morte per ognuno dei Paesi europei nessuno escluso. Sono 52 libri, li ho contati. Però a scriverne tra gli italiani sono stati solo Magdi Allam, Roberto Dambruoso, e Massimo Introvigne. Tutti gli altri sono di studiosi americani e britannici. Da noi a prevalere sono ben altre ragioni, quelle di chi pensa che la guerra al jihadismo sia un errore occidentalista, che criminalizza l'intero Islam. Quelle di chi teorizza per l'Italia un ruolo di ponte, anche verso le legittime rivendicazioni anticapitaliste dell'Islam estremista. Quelle di chi, infine, pensa che sia più saggio stare a casa e farci i fatti nostri, e negoziare sottobanco per non avere noie, come spesso ha fatto in passato l'Italia. L'illusione multiculturalista È proprio questa, la terza lezione, che viene dall'America e dalla Gran Bretagna che invece continuano a combattere. Credere di ritagliarsi uno spazio di quieto vivere è impossibile, a meno di lasciar fare in parti crescenti del mondo ai jihadisti quel che vogliono, da Baghdad a Gaza, dal Libano alla Somalia, dal Pachistan all'Indonesia. Soprattutto, a cominciare da casa nostra. E qui veniamo alle dolenti note, caro direttore. La Gran Bretagna è la prima, che dopo aver nutrito per decenni l'illusione che bastasse chiudere un occhio, su migliaia e migliaia di estremisti islamici cresciuti nelle rete di moschee "tollerate", potesse far prevalere le ragioni dell'integrazione su quelle della lotta armata e delle stragi. Blair ha dovuto cambiare registro. La crisi del Londonistan - della magica formula per la quale bastava garantire cittadinanza britannica e sperare nel benessere crescente, perché i figli e i nipoti dei musulmani non cadessero nell'affiliazione jihadista - parla direttamente a noi italiani e al governo di Roma.È falso, credere che dare la cittadinanza in soli cinque anni - come propone il governo Prodi - ci ponga al riparo della minaccia terrorista e ci assicuri un futuro pacifico di perfetta armonia. Per questo, oggi più che mai bisogna battersi perché questa legge non passi. È falso, che con servizi d'intelligence feriti a morte nella propria credibilità interna e internazionale dalle attività della Procura di Milano, si possa combattere con buone speranze la guerra al terrorismo. La botta portata al Sismi lo ha di fatto reso un servizio non più "agibile", agli occhi e alle orecchie di tutti i servizi dellacomunità occidentale. Non bisogna stupirsi, se americani e britannici ci hanno avvisati ieri a cose fatte. E occorreranno anni per porre riparo al danno perpetrato in nome della "legalità" - naturalmente! - dalla Procura di Milano. È falso, che un governo che assiste a braccia conserte al massacro del Sismi, senza dire una volte per tutte che o il servizio è in regola oppure ne caccia il direttore e gli ufficiali di punta, possa davvero garantire ai cittadini di star facendo tutto il possibile per farci dormire tranquilli. Tutti gli abbagli del giudice Spataro È falso, che la lotta al terrorismo possa essere affidata a servizi come quelli descritti sulla Stampa dal procuratore di Milano, Armando Spataro. Servizi che dovrebbero limitarsi a girare alle procure ogni possibile notizia di reato, come se si trattasse di una ordinaria stazione territoriale dei carabinieri, e che quanto a garanzie funzionali - e cioè a procedure che possano lambire violazioni di legge, per esigenze di servizio - debbano farsi autorizzare da un "comitato di esperti" esterni ai servizi stessi. È falso che la guerra alla propaganda jihadista non abbia bisogno di controinformazione e di professionisti in questo campo, come il dottor Spataro scrive nella convinzione che la più grave violazione del Sismi sia consistita nell'avere qualche isolata penna che ne ha difeso le ragioni in questi anni. Caro direttore io sono stato e sono tra quelli: giornalisti che pensano che all'Occidente sia portata una guerra feroce e temibile, e che alla guerra si risponda con la guerra e che la guerra però comporti doppi e tripli controlli verso i sospettati, non miliardi di euro di spesa pubblica per integrarli. E infine, servizi efficienti e pronti a colpire duro. Una guerra condotta per autorizzazione dei pubblici ministeri, è una guerra in cui Osama Bin Laden ha vinto in partenza. E questo, a costo di farci indagare come giornalisti dai signori procuratori, non deve accadere e non accadrà.
Oscar Giannino- Libero
Interessante pezzo di Giannino che mette il dito su tutte le pecche che una certa mentalità di sinistra porta avanti, e che merita un più serioso approfondimento che scriverò a parte.
da orpheus
 
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verbenasapiens
view post Posted on 3/9/2006, 19:13




Rutelli:«Cambiamo abitudini sulle vacanze
«Basta con i tre mesi estivi, l'Italia deve adeguare le sue vacanze in funzione di un nuovo modo di fare turismo» STRUMENTIVERSIONE STAMPABILEI PIU' LETTIINVIA QUESTO ARTICOLO
CERNOBBIO (COMO) - È tempo che gli italiani cambino le loro abitudini per quanto riguarda le vacanze. Basta con i tre mesi estivi, l'Italia deve adeguare le sue vacanze in funzione di un nuovo modo di fare turismo. Questa la proposta avanzata oggi a Cernobbio dal vice presidente del Consiglio, Francesco Rutelli. « Mi chiedo: è giusto che in Italia si vada in vacanza nel 2006 così come si andava nel 1966? Negli anni '60 era predominante il lavoro fisso e si prediligevano le vacanze interne. Ma lo stile di vita è cambiato, sono in molti ad andare all'estero. È tempo, a mio avviso, di aprire un'ampia riflessione su questo tema».
CONSIGLIO DEI MINISTRI - Rutelli ha riferito di aver già portato la proposta in Consiglio dei Ministri e si è detto convinto che una scelta di questo tipo avrebbe ricadute importanti «su quella grande industria nazionale, con grandi potenzialità, che è il turismo». Bisogna, dunque, coinvolgere, secondo Rutelli, le regioni, gli enti locali, le associazioni, i sindacati, gli operatori, per aprire un grande dibattito che è in primo luogo di natura culturale. «Ne ho già parlato con il ministro della Pubblica istruzione, Fioroni, bisognerà aprire un confronto sull'articolazione dell'anno scolastico. Mi aspetto - ha aggiunto - che, di fronte a questa proposta, si scateni di tutto ma a mio avviso è una riflessione che va aperta proprio alla luce di questa domanda: è giusto che le vacanze nazionali siano organizzate nel 2006 come lo erano nel 1966?».
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Politic...2/VACANZE.shtml
ah sìvuol dire che chi va in ferie d'inverno e vuole il mare va alle maldive?
 
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Maximus05
view post Posted on 18/9/2006, 07:09




I finti liberali al governo: ecco chi sono
Guardiamo con schiettezza liberale a questa brutta storia della Telecom. Il punto non è se Tronchetti Provera sia stato in questa faccenda più o meno bravo come imprenditore. Questo è un affare che riguarda il mercato, che è giudice impietoso con leggi esemplari da secoli. Qui la questione si pone in termini squisitamente e gravemente politici.
Primo quesito: che diritto aveva Prodi - come presidente del Consiglio - di esprimere pubblicamente, con toni sconvenienti e senza stile, un rimprovero a Tronchetti, peraltro dicendo cosa non vera, e cioè di non essere stato informato di quel che accadeva in Telecom? Come è noto, è poi risultato che Tronchetti lo aveva contattato ben due volte, una volta a Palazzo Chigi, l'altra a Villa d'Este. Per che cosa, per parlare di calcio?
Ma, insomma, Telecom è sì o no una azienda privata? Perché allora il presidente del Consiglio pretende di essere informato? Un imprenditore, come qualunque cittadino, è libero o no di disporre di ciò che è suo? Se nella vicenda dovesse esserci violazione di qualche regola scritta, è alla magistratura che, in uno Stato di diritto, spetta di verificare e giudicare.
Veniamo a una seconda questione, politica anche questa. Un importante collaboratore del presidente del Consiglio, il signor Angelo Rovati, ha fatto pervenire al titolare di Telecom un documento scritto, su carta intestata della Presidenza, contenente un piano per la ristrutturazione di Telecom. Il piano, pensato e redatto non si sa da chi (un ufficio studi, una merchant bank?), si presta a legittimi sospetti, oltre che a deduzioni di carattere persino giudiziario. In sostanza, ristatalizzazione, con un bel calcio alla politica di liberalizzazioni. Il presidente del Consiglio dice di non avere saputo nulla di questo progetto preparato e messo in campo dal suo collaboratore. È cosa ben grave che un quidam di Palazzo Chigi, munito di carta intestata, si permetta di dare ad intendere di poter disporre di capitali dello Stato per una operazione politico-economica. Altro quesito: è possibile che il Rovati non ne abbia almeno accennato al «principale»? Crediamogli pure. E, però la vicenda non può essere messa a tacere. Il «principale», cioè il presidente del Consiglio, non può rifiutarsi di risponderne in Parlamento, che lo richiede legittimamente. Chi può negare che non sia giusto chiarire se nella vicenda si siano mossi interessi illegittimi? È Prodi che insiste tanto sul problema del «conflitto di interessi», dunque dia l'esempio. Non è questione surreale, questa, ma assai seria.
Un'ultima considerazione, questa di importanza politica maggiore, direi. La vicenda Telecom ha rivelato più di ogni altra che cosa c'è nelle viscere del centrosinistra al potere. Vediamo: il presidente del Consiglio si comporta come se ci fosse ancora l'Iri. In suo soccorso accorrono alcuni ministri: uno chiede l'applicazione della «golden share», cioè quel diritto di veto che si volle inserire nella legge sulle privatizzazioni; un altro ministro vuole bloccare a tutti i costi l'accordo Autostrade-Abertis e ora addirittura propugna la ripubblicizzazione del settore delle telecomunicazioni.
Cioè: minacce di interventi statalisti e di espropri, lesione evidente delle libertà dei cittadini.
Dove sono il garantismo e le liberalizzazioni di cui questa maggioranza si vanta? È permesso dubitare a un liberale?
di Egidio Sterpa da ilgiornale


 
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verbenasapiens
view post Posted on 19/9/2006, 20:43




Il logos, Il profeta e il professore

La chiesa si mostra tutt’altro che vile, esprime il suo rammarico, si adopera per “placare gli animi”, ma invita i musulmani a un dialogo “franco e sincero”. Le classi dirigenti euro-occidentali non capiscono che è in gioco la tolleranza e il rispetto dell’altro di cui straparlano ogni giorno. I conti con l’islamismo politico ci toccano
Non è stata una catastrofe, come si poteva temere, e la chiesa cattolica si mostra tutt’altro che vile, come dimostrano anche le battagliere prese di posizione, ieri, del vicario del vicario, il cardinale Camillo Ruini. Per “placare gli animi” di quella parte della comunità musulmana che ha accolto con toni incendiari, con incendi e violenza anche assassina un discorso da umanista tenuto dal Papa a Regensburg, e per invitare i credenti musulmani e le loro sparse autorità a un dialogo, ma “franco e sincero”, Benedetto XVI ha espresso il suo rammarico per come sono state interpretate le sue parole e ha preso una misurata distanza da Manuele II Paleologo, un imperatore bizantino di cui sapevamo nulla ma che ci sta simpatico per il suo dialogo “franco e sincero” con un dotto musulmano alla fine del XIV secolo. Niente di drammatico. Chiamatele scuse, se volete, ma non è un elegante petit bleu diplomatico che può cancellare il colossale discorso papale a Ratisbona, un canone per noi atei devoti (la definizione è autoironica, detto per gli sciamannati).
Adriano Sofri su Repubblica e Gian Enrico Rusconi sulla Stampa hanno colto la questione con sensibilità, al di là delle loro tesi generali, diverse dalle nostre e, diciamo così, insufficientemente papiste (ironia, per gli sciamannati). Da oggi in poi il dialogo tra mondo cristiano o giudaico e cristiano oppure occidentale e greco e umanistico, insomma tra noi figli di un Dio-Logos, intriso di ragione, e i figli di un Dio tutto volontà e trascendenza, si fa su altre basi, su basi serie, non nella pomposità dello sfoggio multiculturale e nella insincerità delle buone intenzioni ireniste. Una questione filosofica e teologica, ed è un bel progresso per l’umanità immiserita di recente nella più abissale noncuranza verso il sapere, decostruito con modi cialtroneschi a ogni angolo di strada, diventa un caso politico di primissima grandezza. Un intellettuale laico sottile e coltivato, che di mestiere fa il Papa, ha detto l’indicibile, cioè che il nostro Dio è diverso da Allah, nonostante le simiglianze monoteiste, e che il privilegio di una grande cultura fondata sull’alleanza di fede e ragione dobbiamo difenderlo nel dialogo con le altre culture, con le unghie e con i denti.
Su questo tema pubblicheremo giovedì (segnatevelo, ve ne prego) un saggio che ci ha inviato il filosofo americano Lee Harris, un manuale di precisione chirurgica, di chiarezza esemplare e di grande bellezza che spiega a fondo, in tutti i suoi risvolti filosofici e politici, il colossale discorso di Regensburg. Sono 36.000 battute, due pagine di giornale, ma preparatevi a inforcare gli occhiali e a trovare il tempo di leggerlo, se non volete perdere una straordinaria guida alla comprensione del mondo in cui vivete, viviamo.
Per il resto, quanto cioè al risvolto concreto del dramma che stiamo tragicamente recitando, tutto procede come da copione, tutto come previsto dai Bernard Lewis e da altri pochi vecchi saggi della nostra epoca. L’ayatollah Ali Khamenei sputa fuoco contro il Grande Satana, così definisce laicamente gli Stati Uniti, che sarebbe alle origini della cospirazione sionista e crociata di cui fa parte il Papa. Una suora è stata assassinata, con un martirio così pietoso e a suo modo santo e lieto, ma così diverso dal martirio jihadista compiuto sulla pelle degli innocenti.
Seguiamo sbigottiti, cercando di restare lucidi, le cronache della viltà politica e intellettuale delle classi dirigenti euro-occidentali, incapaci di capire che la tolleranza e il rispetto per le altre culture, di cui straparlano ogni giorno con toni melensi, sono l’oggetto di questa grande partita cominciata a Regensburg. Incapaci di capire (con notevoli eccezioni tra le quali a sorpresa, in Italia, il nostro scavezzacollo preferito, l’ex presidente del Consiglio Silvio B.) che di fronte all’aggressione funesta contro il ragionare del Papa, l’isolamento di Benedetto XVI da parte delle cancellerie europee e dei sapienti, è una sorta di abiura ai sacri principi di libertà del pensiero e di tolleranza e di laicità della politica e della cultura. L’islam ha una sua gloria politica e spirituale, come tutte le grandi religioni universali, e non è il solo credo che abbia impugnato la spada nella storia, ma i conti con l’islamismo politico ci toccano, libertà e reciprocità vanno conquistate, e il Papa ha cominciato da solo il lavoro. Chi si volta dall’altra parte è in ogni senso perduto
http://www.ilfoglio.it/articolo.php?idoggetto=29842
 
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Maximus05
view post Posted on 15/10/2006, 07:30




Volenterosi ed ignavi
LI hanno sgridati. Li hanno redarguiti. Li hanno richiamati all'ordine. Forse non si incontreranno più, o qualcuno di loro sarà costretto a defilarsi. Ma che cosa hanno fatto di male i «volenterosi», per incorrere nell'ira di Prodi e dei suoi uomini? E' molto semplice. Un gruppo di parlamentari ha notato che il testo della Finanziaria non solo tradisce le speranze dei liberali e dei riformisti, ma contraddice in modo evidente le intenzioni che tutta l'Unione aveva enunciato nel Dpef, ossia nel documento ufficiale che precede la Finanziaria e che dovrebbe costituirne la stella polare. Quindi si sono messi intorno a un tavolo, e hanno provato a pensare alcune correzioni, delimitate, ragionevoli, incisive, soprattutto perfettamente coerenti con la lettera e lo spirito del Dpef.

Sulla lotta all'evasione, ad esempio, hanno proposto di non affidarsi solo al senso civico dei cittadini, ma di rendere anche conveniente richiedere fatture e parcelle, grazie alla possibilità di portarle in deduzione nella dichiarazione dei redditi. Sulle pensioni hanno chiesto che l'occasione della Finanziaria non sia gettata al vento con l'ennesimo rimando al futuro, ma sia usata per negoziare fin da subito con i sindacati le riforme che - prima o poi - si dovranno fare comunque. Sulla scuola hanno auspicato che il concorso per assumere 150 mila nuovi insegnanti sia aperto, e non si risolva nell'ennesima sanatoria (la Finanziaria, ahimè, prevede che le anacronistiche graduatorie per l'immissione in ruolo degli insegnanti restino in vigore almeno fino al 2010).

Tutto ciò è considerato scandaloso, perché configurerebbe un inciucio, metterebbe a rischio il bipolarismo, nasconderebbe oscure trame, prefigurerebbe nuove maggioranze. Può anche darsi, ma è strano che i molti critici del tavolo dei volenterosi non vedano che esso esiste innanzitutto perché essi, i critici, non fanno il loro mestiere. Fassino e Rutelli hanno sottoscritto il Dpef, si dicono favorevoli alle liberalizzazioni e alle riforme della spesa che in esso vengono indicate, ma non conducono alcuna battaglia politica e culturale perché l'Unione si attenga effettivamente e fino in fondo agli impegni presi con il Dpef. Mentre la sinistra radcon (radicalmente conservatrice) di Bertinotti, Diliberto, Pecoraro Scanio usa il (vago) programma dell'Unione per neutralizzare il Dpef, la sinistra riformista sembra più interessata alle alchimie del futuro Partito Democratico - posti, procedure, equilibri di potere - che a mostrare con l'esempio di che pasta sarà fatto il nuovo partito.

Un malinteso senso di responsabilità coalizionale induce i dirigenti dell'Unione a preoccuparsi solo della «tenuta della maggioranza» e a lasciare l'iniziativa politica ai radcon, che non essendo interessati a cambiare il Paese ma solo a tutelare la propria (presunta) base sociale, possono limitarsi a difendere lo status quo e hanno meno paura di un ritorno all'opposizione. Ma è proprio la mancanza di coraggio e di vere idee della dirigenza riformista dell'Unione che crea le basi del cosiddetto tavolo dei volenterosi. Se da quando, un anno e mezzo fa, nacque la «Fabbrica del programma» i dirigenti riformisti - anziché 281 pagine di vaghi propositi - avessero partorito tre o quattro progetti di riforma dettagliati e incisivi su scuola, sanità, pensioni, evasione fiscale, ora forse saprebbero che cosa dire, e noi sapremmo a che cosa richiamarli. Non ci sarebbe nessun tavolo dei volenterosi, perché non ce ne sarebbe bisogno.

E' triste dirlo, ma il tavolo dei volenterosi è innanzitutto il frutto dell'ignavia della dirigenza riformista dell'Unione. E probabilmente è anche il frutto di una presa di coscienza, tardiva ma salutare, della debolezza della cultura liberale del nostro Paese, a destra come a sinistra. I liberali di buona volontà, specie a sinistra, si sono cullati per anni nell'illusione di una prevalenza, numerica e culturale, della cultura riformista rispetto a quella massimalista. Non è così: finché la maggioranza presunta dell'Unione non farà le sue battaglie resterà vero quel che Giulio Tremonti osservava qualche giorno fa, ossia che i riformisti dell'Unione non sono maggioranza né sul piano politico né su quello numerico. Ora anche i liberali sembrano essersi accorti che sono in pessima compagnia, e che la promessa di cambiare l'Italia resta una promessa da marinaio, di nuovo a destra come a sinistra.

E' un male? No, è un bene, perché chiarisce finalmente le cose. La dirigenza riformista dell'Unione non ha un progetto radcam, di cambiamento radicale dell'Italia, e quindi non può che soccombere al ben più realistico progetto radcon della sinistra massimalista: che tutto cambi pure, ma piano, pianissimo, possibilmente per niente.

Per questo esiste un tavolo dei volenterosi, per questo è inutile cercare di cancellarlo con editti, scomuniche, minacce. Il tavolo sparirà da solo quando i riformisti nominali smetteranno di rifugiarsi dietro le formule astratte, e si decideranno a mettere in pratica le loro idee. Nel frattempo, accettiamo il fatto che i riformisti veri sono una piccola minoranza, e lasciamoli almeno parlare tra loro.
di Luca Ricolfi da lastampa.it
 
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Maximus05
view post Posted on 7/11/2006, 08:14




Quel che resta di Santoro: una gnocca senza testa
E alla fine Santoro restò con un pugno di gnocca. Povero Michele: doveva proclamarci il nuovo verbo della Tv. Invece non è andato al di là di un sostantivo, nemmeno troppo nuovo, per la verità. Anzi, piuttosto abusato. Non che lui non ce l'abbia messa tutta: le inchieste, Milano, Napoli, la Calabria, San Marino, la criminalità, la mafia, la 'ndrangheta, l'evasione fiscale. Non c'è che dire: ha tirato fuori proprio tutto il suo antico armamentario, Sandro Ruotolo, l'impegno, Sciuscià, la ex Cirielli, All Iberian e il caso Mills. Eppure, niente da fare: l'unica cosa che resta della sua trasmissione è quel fuori onda malandrino. «Gnocca senza testa». E il nuovo gioco di società che si è scatenato lì attorno: chi avrà mai pronunciato la frase dello scandalo?
È successo giovedì, come ormai tutti sanno. Nello studio di AnnoZero Rula Jebreal sta intervistando Di Pietro. E a qualcuno, non si sa chi, scappa un commento non propriamente lusinghiero sull'intervistatrice: «Gnocca senza testa». La frase viene immediatamente ripresa su Internet, poi da Striscia e quindi da giornali, telegiornali, settimanali, forum tv. È tutto un interrogarsi: chi è il colpevole di tale affronto? Sarà stato Di Pietro? Renato Brunetta? Marco Travaglio o il nostro Filippo Facci? Il vignettista Vauro o addirittura il medesimo Santoro?
Pronti via, ecco lo scontro. Mills? La giustizia? La ex Cirielli? Macché: il vero scontro è sulla gnocca. E subito assume i toni accesi che piacciono al miglior Santoro. Vauro mena fendenti: «Noi in Toscana non diciamo gnocca ma passera». Brunetta si difende appellandosi al suo accento veneziano. Di Pietro invece si rimette la toga da Lingue Pulite e torna all'accusa: «Frase da condannare». Travaglio e Facci per la prima volta nella loro vita si trovano d'accordo e con un'inedita alleanza legal-trasversale (più o meno pene? Che importa: si parla di gnocca) puntano il dito contro l'anziano professor Giulio Sapelli, stimato economista. Il quale, angosciato, per difendersi sceglie una delle migliori cattedre europee di gnoccologia finanziaria: il settimanale Chi.
Voi capirete: finalmente il dibattito che tutto il Paese aspettava. E ci voleva proprio Santoro per accenderlo. Valeva la pena aspettarlo per cinque anni. Valeva la pena cresimarlo martire. Valeva la pena farlo ritornare in anticipo da Bruxelles, sottraendolo alla pennichella europea. Valeva la pena caricare il suo ritorno di messianica attesa, ripetendo all'infinito «riecco finalmente l'informazione in Tv». Valeva la pena perché nessun altro è come lui. E infatti lui, appena arrivato, da grande maestro qual è, ha subito scatenato la polemica vibrante, intensa, destinata a incidere nel tessuto sociale del Paese e segnare la storia della democrazia: chi avrà parlato di gnocca in Tv?
Proprio come ai tempi d'oro. Certo qualcosa è cambiato. Una volta da Santoro c'era da battersi e contro Santoro si finiva battuti. Ora, invece, ci sono le battute. Pazienza. L'auditel zoppica, ma in compenso impazza Striscia. Non è vero, però, come dicono i critici che la trasmissione non fa più opinione: basta andare su web. Fra i tormentoni più cliccati ci sono la testata di Zidane a Materazzi, il nuovo inno di Fiorello «Sto cercando sai, di diventare gay», il navigatore che parla come Ranzani di Zelig e l'insulto di AnnoZero. Basta accontentarsi. Nelle vecchie piazze di Santoro quando si parlava di teste si pensava ai testimoni dell'accusa. Nella nuova piazza si pensa alle teste delle showgirl. Michele chi? Quello della gnocca. Non a caso il simbolo della trasmissione è un cubo, come nelle discoteche alla moda. Del resto, come stupirsi? Questa è la legislatura che verrà ricordata per il solenne dibattito intorno al tema «dove fa la pipì Luxuria». Dunque Santoro può anche rassegnarsi a essere ricordato per il fuori onda con l'insulto. Forse, da genio qual è, se l'aspettava pure un po': ma sì, dai, quel colore biondo-rossiccio dei capelli era stato scelto appositamente per essere finalmente all'altezza di Biscardi. Gli ultrà ci sono già, le belle e nobili statuine pure. Solo il nome AnnoZero appare ancora un po' troppo pretenzioso. Per la prossima edizione si può far di meglio: «Processo del giovedì». Oppure, ancora meglio, «Giovedì gnocca».
di Mario Giordano da ilgiornale
 
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Rachael
view post Posted on 15/11/2006, 09:55




Che tristezza questa faccenda.... :rolleyes:
 
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Maximus05
view post Posted on 20/12/2006, 08:05




NON CI FACCIANO LA MORALE
Per essere quelli onesti, non c'è male. Hanno persino costretto alle dimissioni il commissario anticorruzione. Dice che non gli danno i mezzi per lavorare. Con il governo Prodi «una seria politica contro gli illeciti nella pubblica amministrazione è impossibile». Ma non dovevano essere quelli che ci davano lezioni di legalità? E meno male: altrimenti che sarebbe successo? Sarebbero entrati direttamente a Palazzo Chigi vestiti come la Banda Bassotti? Lo diciamo persino un po' delusi. Ci avevano tanto ripetuto che erano moralmente superiori che quasi avevamo finito per crederci. Oddio, pensare che lezioni di moralità potessero arrivare dall'ex presidente dell'Iri (Sme, Alfa...) e dai nipotini del partito finanziato dal Pcus, era un po' come immaginare Cicciolina che dà lezioni di castità. Però, che ci volete fare? Le vie del Signore sono infinite. E loro, quando non erano distratti dalle telefonate sull'Unipol («Abbiamo una banca?»), erano così insistenti sul tema della superiorità etica che pareva brutto non provare a vederli all'opera.
Ecco, li abbiamo visti. E l'abbiamo vista brutta, come disse la famosa vecchietta davanti allo specchio. Il governo è subito partito alla grande: dopo aver promesso in campagna elettorale di ridurre il numero dei ministeri («Guardi qua, dottor Vespa: nel programma c'è scritto così», diceva D'Alema a Porta a Porta), ha dato vita a una distribuzione di poltrone (102) mai vista nella storia della Repubblica. Poi la vicenda dei pizzini al Senato, lo scandalo delle tessere false alla Margherita, l'inchiesta della Calabria con mezza Unione indagata, intercettazioni in carcere e persino i fiori in memoria di Fortugno pagati alla mafia. Del resto come stupirsi? Il paladino delle regole è il viceministro Visco, già condannato per abuso edilizio. Uno che se la prende con i commercianti che non emettono scontrini fiscali, ma poi li tollera (o non li vede?) nei corridoi del ministero. Il ministro Melandri predica rispetto per gli stranieri e finisce nei guai per una baby sitter clandestina. E il premier Prodi? In campagna elettorale dice: «Chi fa ricche donazioni deve pagare le tasse». Poi dona 870mila euro ai figli e non paga una lira di tasse, sfruttando una legge del governo Berlusconi che poi naturalmente si premura di abrogare. Sicuro: la famiglia è sistemata. Il resto del Paese può beccarsi la stangata.
«All'Italia serve uno scatto morale», pontificava Prodi con un articolo sulla Stampa nel 2003. Ecco: forse serve ancora. Il premier aveva promesso di «allontanare i sospetti di collusione con i grandi centri economici» e poi ha fatto la Sacra Romana Intesa (via San Paolo-Bazoli) e ha tentato il colpo su Telecom. Aveva promesso di limitare le nomine negli enti e invece le ha moltiplicate. Aveva promesso rigore e serietà e invece ha prodotto colpi di spugna.
Fra l'altro oggi, insieme alle dimissioni del commissario anticorruzione, ne scopriamo un'altra. Il famoso emendamento che ha introdotto la sanatoria per i politici che rubano, infatti, non era un incidente di percorso, come si è voluto far credere, ma un provvedimento studiato e voluto da parlamentari di tutta l'Unione. Pezzi grossi compresi, collaboratori dei ministri, esponenti dei Ds e pure dell'Italia dei Valori. Morale? Non fateci la morale. Almeno quella, per favore. Risparmiatecela. In campagna elettorale Prodi disse che gli elettori di Forza Italia sono quelli che parcheggiano in doppia fila. Forse. Ma allora i politici dell'Unione, come minimo, sono quelli che bucano le gomme e graffiano le carrozzerie.
di Mario Giordano da ilgiornale
 
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Maximus05
view post Posted on 1/4/2007, 17:58




Le radici negate



Nel corso di una intervista televisiva sulla vicenda afghana di Daniele Mastrogiacomo, Piero Fassino ha detto che la ragione di Stato non può giustificare il sacrificio di una vita umana e che anche nel caso Moro sarebbe stato opportuno trattare con i rapitori. Il segretario dei Ds era nel mezzo di un teorema e voleva probabilmente spiegare le ragioni per cui la trattativa con i Talebani sembri oggi la più realistica e saggia delle vie d'uscita. Non sembra che Fassino sia contrario a tutte le guerre, indiscriminatamente. A Giovanni Minoli, se ho bene interpretato le sue parole, ha detto che in guerra le opzioni sono due: o si vince o si fa la pace con il nemico. Qualcuno potrebbe obiettare che la guerra contro i talebani è ancora in corso, che alcuni alleati dell'Italia la stanno facendo con l'intenzione di vincerla e che il consiglio di trattare con il nemico, soprattutto se viene dall'esponente di un Paese che non ha neppure accennato a combatterla, potrebbe risvegliare nell'opinione internazionale il ricordo ironico e infastidito di altri momenti di storia italiana. Ma forse è meglio tralasciare questo punto e parlare piuttosto del modo in cui Fassino ha riletto la tragica storia dello statista democristiano.
Anche quella naturalmente era una guerra. Fassino non può ignorare che in ogni guerra anomala, condotta contro una forza rivoluzionaria o un movimento di liberazione, il primo obiettivo del nemico è quello di essere riconosciuto. Le Brigate rosse non volevano denaro (il pagamento di una somma le avrebbe declassate al rango di una organizzazione criminale). Volevano acquisire la legittimità del nemico combattente e fregiarsene agli occhi del Paese per la fase successiva della loro strategia rivoluzionaria. Ritiene dunque Fassino che la battaglia per la legittimità, nel 1978, dovesse considerarsi perduta e che il sacrificio di una vita in quelle circostanze fosse assurdo? O ritiene che la perdita di una vita sia sempre e comunque da evitare?
In ambedue i casi la posizione del segretario dei Ds è totalmente diversa da quella del partito a cui apparteneva in quegli anni. Nulla di nuovo. Viviamo in un'epoca in cui è ormai facile chiedere perdono per gli errori e i peccati commessi dai propri antenati. Lo ha fatto Giovanni Paolo II per i «misfatti» della Chiesa cattolica. Lo ha fatto la regina Elisabetta per i massacri dell'esercito britannico in India. Lo hanno fatto gli uomini politici americani per il trattamento riservato agli indiani. Lo fa ora implicitamente Piero Fassino per la linea politica adottata da Enrico Berlinguer nel caso Moro. Tutti parlano delle proprie radici, delle proprie tradizioni e della necessità di preservarle, ma queste confessioni e questi «mea culpa» non possono che rimettere in discussione l'identità storica di una nazione, di un partito, di una chiesa. D'altra parte non servono a una migliore lettura della storia. Servono a chi li pronuncia per sbarazzarsi di un fardello ingombrante e avanzare più leggero verso gli obiettivi che gli sembrano in quel momento desiderabili.
Fassino ritiene che invitare i talebani a una conferenza internazionale sia il modo migliore per aiutare il governo Prodi a uscire senza troppi danni dall'imbroglio afghano. E non esita, trascinato dalla logica della sua strategia, a riscrivere la storia del caso Moro. Mi rendo conto delle sue difficoltà e non discuto qui le sue intenzioni. Ma non credo che possa spingersi, per finalità legate alla situazione di oggi, sino a rimettere in discussione il modo in cui la Dc e il Pci affrontarono uno dei momenti più difficili della storia nazionale.
di Sergio Romano da corriere.it
E chi lo sa.Questi pur di restare aggrappati alle loro poltrone passerebbero sul cadavere della madre, del padre, dei figli e della famiglai tutta,allargata, ovvio.Figurarsi se non rinnegano il loro passato e le loro radici.Del resto in tanti, votando il rifinanzamento della missione in Afghanistan, hanno rinnegato i loro presunti ideali e allora di cosa meravigliarsi?Fortuna che Berlusconi alla faccia del caro Iannuzzi, ha inchiodato alle sue responsabilità Casini...
 
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38 replies since 23/4/2006, 18:56   356 views
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