| Islam: il disastro sinistra-giudici- il mondo non si fida più di noi
Caro direttore, a cinque anni dall'11 settembre ti faccio una domanda. Secondo te quanti dei quaranta presunti terroriristi arrestati ieri dalle nostre parti saranno liberi tra pochi giorni? Perché noi italiani e noi europei ormai siamo mitridatizzati. La strage di massa ordita da jihadisti musulmani di cittadinanza britannica e ascendenza pachistana era già in seconda battuta, ai tg Rai di ieri sera. L'attenzione prioritaria andava alla vicenda israelo-libanese, con grande enfasi sul fatto che Israele rifiuta il cessate il fuoco e anzi il premier Yehud Olmert dà il via libera a una più massiccia operazione nel Libano Meridionale. Naturalmente, nessuno spiega che il motivo per il quale per fortuna Israele sinora non ha scatenato le proprie truppe corazzate, la ragione per la quale ancora ieri sera Olmert esitava a dare l'ordine, è che l'Europa al seguito della Francia condivide la posizione della Russia, e cioè non intende affermare esplicitamente che perché vi sia un cessate il fuoco occorre che gli Hezbollah vengano posti nella condizione di non poter più nuocere. E i media attaccano gli Usa. È lo stesso meccanismo, che è subito scattato per rimuovere la portata della tragica minaccia sventata in Gran Bretagna. Migliaia e migliaia di inermi passeggeri sarebbero stati ridotti in polvere su cinque o sei diverse città degli Stati Uniti. Ma le reazioni prevalenti dei media e delle cancellerie europee sono state improntate a un silenzio che si deve a una convinzione cinica: "la cosa non ci riguarda". Anzi, è colpa della folle politica americana in Iraq, come ha subito detto il leader della Margherita Francesco Rutelli. Il terrorismo jihadista ha dichiarato da 15 anni guerra all'America, a Israele e all'Occidente "crociato e cristiano". Ma a cinque anni dall'11 settembre Al Qaeda e il vasto arcipelago di sigle che ne sono espressione hanno guadagnato molte posizioni. La più essenziale, è che noi europei e italiani ci siamo sottratti. Abbiamo lasciato Bush e Blair sempre più soli, scambiando per vera colpa gli errori compiuti per anni in Iraq dopo aver meritoriamente cacciato Saddam. Al contrario, America e Gran Bretagna reggono, almeno finché gli elettori non decreteranno anch'essi la vittoria dell'appeasement verso Al Qaeda. Ma finché reggonoci insegnano tre grandi lezioni, sulle quali è il caso di riflettere. E, dopo, è anche il caso di radicare un'agenda civile di resistenza, visto che di guerra si tratta. Una resistenza nella guerra dell'informazione e della propaganda, che è la prima sottile strategia di vittoria del jihadismo. Una resistenza nella guerra vera combattuta in ogni Paese, dalle forze di sicurezza, di intelligence, dalla polizia e dalle forze armate, quando occorre. La forza delle proprie ragioni. La prima lezione è la forza delle proprie ragioni. Lo smascheramento di chi pensava di abbattere nuovo terrore dal cielo insegna infatti che la sorveglianza - quando è assidua e professionale - è capace di raccogliere successi. Gli Stati Uniti in questi anni, ma anche la Gran Bretagna sotto il laburista Blair, hanno deliberato una nutrita serie di modifiche alle leggi ordinarie di pace, per consentire alle forze di intelligence e sicurezza di poter contare su sistemi e procedureche in tempi normali erano loro inibite. Anche in America, c'è un dibattito fortissimo su come e se le direttive presidenziali sulle nuove possibilità investigative aperte ai servizi, e sulle modalità di detenzione dei "nemici combattenti", rispettino o meno la Costituzione. Anche in Gran Bretagna, le nuove leggi varate da Blair hanno incontrato ostilità e subito emendamenti di fondo, alla camera dei Lords. Ma entrambi quei Paesi hanno fatto una scelta chiara. Quella di non mettere la testa sotto la sabbia, e di varare norme speciali per rispondere a una minaccia letale. Noi non lo abbiamo fatto. Nessun Paese dell'Europa continentale ha varato norme eccezionali paragonabili. In Italia, ci siamo limitati a modificare il codice penale due mesi dopo l'11 settembre, introducendo una fattispecie di terrorismo transnazionale che non ha impedito decisioni scandalose come quelle del gip milanese, Clementina Forleo. La seconda lezione è che per sconfiggere il terrorismo bisogna piantarla di incolpare noi stessi, la nostra civiltà, la nostra storia e quella dei nostri padri e nonni. Ieri, sul Times di Londra, l'ha scritto in maniera churchilliana Gerard Baker, ex uomo di Stato americano. La Fratellanza islamica alla quale si rifà Hamas, gli sciiti filoiraniani armati da Teheran come gli Hezbollah, le reti jihadiste che sono tese in ogni Paese e anche da noi in Italia, non sono affatto figlie di colpe storiche nostre, in nome delle quali tirarci fuori dalla lotta, nella speranza che essa riguardi solo i "cattivi", gli americani e gli israeliani, naturalmente. Mentre scrivo, caro direttore, ho allineati davanti alla mia scrivania i libri che contengono le prove e i documenti accumulati dai migliori analisti di Al Qaeda, e che raccolgono minacce e sentenze di morte per ognuno dei Paesi europei nessuno escluso. Sono 52 libri, li ho contati. Però a scriverne tra gli italiani sono stati solo Magdi Allam, Roberto Dambruoso, e Massimo Introvigne. Tutti gli altri sono di studiosi americani e britannici. Da noi a prevalere sono ben altre ragioni, quelle di chi pensa che la guerra al jihadismo sia un errore occidentalista, che criminalizza l'intero Islam. Quelle di chi teorizza per l'Italia un ruolo di ponte, anche verso le legittime rivendicazioni anticapitaliste dell'Islam estremista. Quelle di chi, infine, pensa che sia più saggio stare a casa e farci i fatti nostri, e negoziare sottobanco per non avere noie, come spesso ha fatto in passato l'Italia. L'illusione multiculturalista È proprio questa, la terza lezione, che viene dall'America e dalla Gran Bretagna che invece continuano a combattere. Credere di ritagliarsi uno spazio di quieto vivere è impossibile, a meno di lasciar fare in parti crescenti del mondo ai jihadisti quel che vogliono, da Baghdad a Gaza, dal Libano alla Somalia, dal Pachistan all'Indonesia. Soprattutto, a cominciare da casa nostra. E qui veniamo alle dolenti note, caro direttore. La Gran Bretagna è la prima, che dopo aver nutrito per decenni l'illusione che bastasse chiudere un occhio, su migliaia e migliaia di estremisti islamici cresciuti nelle rete di moschee "tollerate", potesse far prevalere le ragioni dell'integrazione su quelle della lotta armata e delle stragi. Blair ha dovuto cambiare registro. La crisi del Londonistan - della magica formula per la quale bastava garantire cittadinanza britannica e sperare nel benessere crescente, perché i figli e i nipoti dei musulmani non cadessero nell'affiliazione jihadista - parla direttamente a noi italiani e al governo di Roma.È falso, credere che dare la cittadinanza in soli cinque anni - come propone il governo Prodi - ci ponga al riparo della minaccia terrorista e ci assicuri un futuro pacifico di perfetta armonia. Per questo, oggi più che mai bisogna battersi perché questa legge non passi. È falso, che con servizi d'intelligence feriti a morte nella propria credibilità interna e internazionale dalle attività della Procura di Milano, si possa combattere con buone speranze la guerra al terrorismo. La botta portata al Sismi lo ha di fatto reso un servizio non più "agibile", agli occhi e alle orecchie di tutti i servizi dellacomunità occidentale. Non bisogna stupirsi, se americani e britannici ci hanno avvisati ieri a cose fatte. E occorreranno anni per porre riparo al danno perpetrato in nome della "legalità" - naturalmente! - dalla Procura di Milano. È falso, che un governo che assiste a braccia conserte al massacro del Sismi, senza dire una volte per tutte che o il servizio è in regola oppure ne caccia il direttore e gli ufficiali di punta, possa davvero garantire ai cittadini di star facendo tutto il possibile per farci dormire tranquilli. Tutti gli abbagli del giudice Spataro È falso, che la lotta al terrorismo possa essere affidata a servizi come quelli descritti sulla Stampa dal procuratore di Milano, Armando Spataro. Servizi che dovrebbero limitarsi a girare alle procure ogni possibile notizia di reato, come se si trattasse di una ordinaria stazione territoriale dei carabinieri, e che quanto a garanzie funzionali - e cioè a procedure che possano lambire violazioni di legge, per esigenze di servizio - debbano farsi autorizzare da un "comitato di esperti" esterni ai servizi stessi. È falso che la guerra alla propaganda jihadista non abbia bisogno di controinformazione e di professionisti in questo campo, come il dottor Spataro scrive nella convinzione che la più grave violazione del Sismi sia consistita nell'avere qualche isolata penna che ne ha difeso le ragioni in questi anni. Caro direttore io sono stato e sono tra quelli: giornalisti che pensano che all'Occidente sia portata una guerra feroce e temibile, e che alla guerra si risponda con la guerra e che la guerra però comporti doppi e tripli controlli verso i sospettati, non miliardi di euro di spesa pubblica per integrarli. E infine, servizi efficienti e pronti a colpire duro. Una guerra condotta per autorizzazione dei pubblici ministeri, è una guerra in cui Osama Bin Laden ha vinto in partenza. E questo, a costo di farci indagare come giornalisti dai signori procuratori, non deve accadere e non accadrà. Oscar Giannino- Libero Interessante pezzo di Giannino che mette il dito su tutte le pecche che una certa mentalità di sinistra porta avanti, e che merita un più serioso approfondimento che scriverò a parte. da orpheus
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