Il sofà delle muse

Rapita volontaria italiana in Afghanistan, ci risiamo

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Maximus05
view post Posted on 16/5/2005, 20:29




L'ambasciata italiana a Kabul ha confermato il sequestro

Rapita un'italiana in Afghanistan La donna, Clementina Cantoni, che lavora per l'organizzazione umanitaria, Care International, sequestrata da 4 uomini armati

KABUL - Una cittadina italiana è stata rapita in Afghanistan. La donna, Clementina Cantoni, è originaria della Lombardia. La volontaria, che lavora per l'organizzazione umanitaria Care International, è stata sequestrata da 4 uomini armati che l'hanno caricata su una Toyota bianca. La conferma del rapimento dall'ambasciata italiana a Kabul.
La cooperante italiana, rapita oggi a Kabul, è stata bloccata verso le 20:30 ora locale nel centro di Kabul mentre con un'amica canadese e un autista locale stava andando a cena in un ristorante della capitale. Lo hanno riferito fonti della Farnesina. Il portavoce del ministero dell'Interno afghano, Lutfulah Mashal, ha spiegato che quattro uomini armati, a bordo di una Toyota Corolla di colore bianco, hanno intercettato la macchina della Cantoni in una strada del quartiere di Qala-e-Mosa, l'hanno fatta scendere e portata via. Sempre fonti della Farnesina hanno riferito che l'amica canadese della Cantoni e l'austista sono interrogati dalle forze dell'Isaf a Kabul e l'ambasciatore italiano Ettore Sequi è sul posto.
Care International è la stessa organizzazione di cui faceva parte Margaret Hassan la cittadina britannica rapita in Iraq e mai più ritrovata.
La Cantoni è responsabile del programma di assistenza umanitaria alle vedove afghane (Hawa). Prima di entrare a far parte di Care International lavorava per il Consiglio europeo per i profughi e gli esuli, un raggruppamento di 76 organizzazioni di 30 Paesi.
Il ministro degli Esteri Gianfranco Fini - di ritorno da Varsavia, dove ha partecipato al vertice del Consiglio d'Europa - è stato informato del rapimento della cooperante italiana ed ha chiesto di dare la «massima priorita» alla vicenda. L'Unità di crisi della Farnesina è «pienamente mobilita» e l'ambasciata italiana segue da vicino l'evolversi della situazione.
Un italiano e due cittadini statunitensi erano sfuggiti ad un tentativo di sequestro il 7 maggio a Kabul. I tre probabilmente sono dipendenti della Banca Mondiale. Il ministero degli Esteri non ha diffuso il nominativo dell'italiano. Il tentativo di sequestro è avvenuto nel centro della capitale mentre i tre uomini erano diretti ad un ristorante. La macchina è stata bloccata da un'altra vettura a bordo della quale c'erano diversi afghani armati. Il guidatore della macchina dei tre occidentali, pur sotto la minaccia delle armi, è riuscito con una rapida manovra a ripartire sfuggendo così all'agguato.
16 maggio 2005

http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/...16/rapita.shtml

ma non avevano detto che tutti i volontari e altri dovevano andare via?
 
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Rachael
view post Posted on 16/5/2005, 20:42




Questo é il risultato di scendere a patti e pagare i sequestratori...naturalmente mi spiace per la sig.ra Cantoni, spero che anche lei torni a casa....
 
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verbenasapiens
view post Posted on 17/5/2005, 06:57




Lo so e hai ragione su questo ma come ti dissi a volte deve prevalere la ragione di stato al contrario , lo sai come certa propaganda di sinistra sarebbe stata letale.Il fatto è che bisognerebbe ritirare i volontari da quelle regioni.. anzi soprattutto le volontarie
Una commistione già riscontrata in percedenti azioni
Quelle bande a caccia di denaro
Dietro al sequestro criminalità organizzata, ex militanti del regime dei Taliban e forse anche terroristi di Al Qaedadi Magdi Allam Iraq docet.

Dietro al sequestro di Clementina Cantonic'è verosimilmente una rete che coniuga criminalità organizzata, ex militanti del passato regime dei Taliban e, forse, terroristi di Al Qaeda. Una realtà già emersa nel sequestro, il 28 ottobre 2004, di Annetta Flanigan, Angelito Nayan e Shqipe Hebibi, tre funzionari della Commissione elettorale dell'Onu a Kabul. Ebbene, dopo il loro rilascio il 23 novembre 2004, le autorità afghane sostennero che si trattava di «una banda di criminali probabilmente al soldo di una fazione dissidente dei Taliban che aveva minacciato di uccidere i tre ostaggi se non fossero stati liberati alcuni prigionieri ».
Per la precisione quel sequestro fu rivendicato dal mullah Ishaq Manzoor, comandante del sedicente «Esercito musulmano». Sulla scia delle altisonanti rivendicazioni a nome delle più disparate sigle del terrore in Iraq, lanciò una lunga lista di ultimatum. Ma sembra proprio che alla fine si sia accontentato di un bel po' di denaro. La commistione tra criminalità organizzata, terrorismo autoctono e internazionale era stata rivelata anche dai giornalisti francesi Christian Chesnot e Georges Malbrunot, dopo il loro lungo sequestro in Iraq. Ed era stata riscontrata anche dopo la liberazione dei nostri connazionali Salvatore Stefio, Umberto Cupertino e Maurizio Agliana, affidati a carcerieri assoldati in seno alla criminalità comune irachena da parte di un gruppo terroristico misto formato da ex agenti di Saddam e mujahidin di Bin Laden.
L'esportazione dell'industria dei sequestri nella versione irachenain Afghanistan ha una doppia chiave di lettura. Da un lato, così come fu il caso dell’Iraq, è sintomatica di una fase di difficoltà in cui versa la strategia terroristica e della rivolta armata contro il legittimo governo di Hamid Karzai sostenuto da un'ampia coalizione multinazionale. Proprio l'accanimento contro i singoli, facendo leva sulla sensibilità e la debolezza degli occidentali di fronte a una vita minacciata, riflette l'insuccesso dei terroristi sul fronte principale della guerra.
Nell'ultimo anno i Talebani hanno perso non meno di 180 uomininegli scontri con le forze multinazionali che setacciano le impervie aree montagnose a ridosso della frontiera con il Pakistan. Ed è qui che lo scorso 2 maggio l'esercito pachistano è riuscito a catturare Abu Faraj al-Libi, responsabile militare di Al Qaeda, considerato il numero tre della centrale del terrorismo islamico. Dall'altro lato, proprio la scelta di un ostaggio italiano potrebbe lasciar intendere che si mira a un riscatto garantito e cospicuo. Purtroppo l'Italia in Iraq si è fatta la cattiva fama di chi è pronto a pagare cifre esorbitanti pur di riavere indietro i propri connazionali sequestrati. In dieci mesi l'entità dei riscatti versati è raddoppiata. Si è passati da circa 3 milioni di euro per il rilascio di Stefio, Cupertino e Agliana, a circa 4 milioni di euro per il rilascio di Simona Pari e Simona Torretta, per arrivare a circa 6 milioni di euro per il rilascio di Giuliana Sgrena.
Ufficialmente non si chiamano riscatti, bensì «compenso per le fonti». Ma la sostanza non cambia. Se dal livello dei burattinai del terrore ci caliamo nel vissuto dei burattini, riscontriamo certamente un fertile terreno di coltura dell’eversione sociale. L’Afghanistan stagna in una condizione economica disastrosa e lo sviluppo interno resta un miraggio. Che il Paese sia una polveriera l’ha confermato anche la recente di violente proteste che ha fatto seguito alla diffusione da parte di Newsweek della notizia, rivelatasi inesatta, della profanazione di copie del Corano nel supercarcere americano a Guantanamo, i cui detenuti sono prevalentemente cittadini afghani.
Resta il fatto che finora nessun ostaggio occidentale sequestrato in Afghanistan è stato ucciso. La cultura tribale autoctona sembra escludere la deriva barbarica di al-Zarqawi. Tutto lascia sperare nel successo della trattativa già avviata per il rilascio della Cantoni.
17 maggio 2005
articolo corsera
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basta leggere questo articolo..il fatto è che non c'è riconoscimento per chi aiuta la gente..e la barbarie è anche questa
 
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verbenasapiens
view post Posted on 18/5/2005, 06:57




Gli 007 italiani: i sequestratori hanno fatto sentire un nastro al telefono
La voce di Clementina in una telefonata

Poche ore prima Gianfranco Fini: «La ragazza sta bene. Sono stati avviati i contatti con i rapitori. Non sarà lasciato nulla di intentato»

ROMA - I sequestratori di Clementina Cantoni hanno fatto ascoltare la voce della giovane milanese, registrata su un nastro, durante una telefonata con una fonte che fa capo all'intelligence italiana. Lo si è appreso in ambienti vicini agli 007. Nella registrazione, la giovane, rapita lunedì sera in pieno centro a Kabul, ha detto il suo nome e altri particolari di sé, che sono risultati veri. Gli uomini dell'intelligence hanno così avuto conferma che la strada seguita per arrivare alla liberazione della volontaria «è quella giusta».

La telefonata è arrivata poche ore dopo la conferenza stampa sul caso tenuta da Fini: «Clementina Cantoni sta bene. I contatti sono avviati». Le parole del ministro degli Esteri hanno interrotto un silenzio e un'attesa che durava da quasi un giorno.

«Il governo italiano, di intesa con le autorità afghane, sta facendo tutto quello che è in suo potere per garantire che Clementina sia liberata quanto prima», ha detto Fini. Dopo aver riferito che Clementina Cantoni «sta bene» e che è stato avviato «un canale di contatto con le autorità afghane», il ministro degli Esteri ha aggiunto: «Confidiamo sul fatto che tutti gli afghani, e in particolar modo le donne, reclamano a gran voce la sua liberazione».
Ai giornalisti che gli chiedevano se i rapitori di Clementina Cantoni in Afghanistan avessero chiesto dei soldi per la sua liberazione, Fini ha risposto: «È una questione sulla quale riserbo, discrezione e prudenza sono doverose per raggiungere l'obiettivo. Ancora una volta - ha aggiunto - si tratta di non lasciare nulla di intentato per liberare una nostra connazionale che era impegnata esclusivamente in missioni umanitarie». Una donna che lavora per una organizzazione non governativa e che si è impegnata «in particolar modo dedicando tutta la sua attività alla nobile causa del popolo afghano e delle donne».
da
corriere.it
 
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verbenasapiens
view post Posted on 18/5/2005, 07:00




Vediamo chi è questa donna
Il ritratto Clementina «la peste» che difende le donne

Milanese, 32 anni, guida un progetto per le vedove afghane «La vita da ufficio? Non è per me: io voglio rendermi utile»

«Il mio nome non mi rende giustizia. Ma quale Clementina... Io non sono clemente per niente, soprattutto con i maschi e i maschilisti di questo Paese ». Le chiama «pillole di saggezza», o, più milanesamente, «stupidate», queste e altre freddure con cui Clementina Cantoni è solita «raggelare» amici, colleghi e conoscenti nei sempre più rari momenti di relax della vita a Kabul. «Di solito mi vengono meglio la sera, e qui ora è mattina — ci ha scritto in una email dall’Afghanistan— purtroppo vedo che la mia vena si sta esaurendo. Vorrei scrivere un libro con queste mie parole di saggezza nate fra queste aride montagne (oh! quanto mi manca la mia Valtellina!) e che hai avuto la fortuna di sentire con le tue orecchie. Ti autorizzo, dall’alto della mia magnanimità, a citarle quando rientri nella mia Milano».

Può sembrare fuori luogo, in un momento come questo, ricordare la Clementina Cantoni rapita ieri sera nel centro di Kabul piena di ironia, beffarda, allegra, impertinente, tagliente di lingua e — solo apparentemente — spigolosa di carattere. Clementina la peste, l’ha ribattezzata infatti la comunità italiana in Afghanistan, che ha cominciato a conoscerla 3 anni fa, quando è sbarcata nel Centro Asia per l’organizzazione danese Care, di cui cura un programma di assistenza per 10 mila vedove nei distretti 5-6-7-8 della capitale. Perché Clementina non fa sconti a nessuno sia quando scherza sia quando lavora. Ma dietro l’essenzialità e la serietà lombarde nasconde un animo giulivo, solare, mediterraneo. Non cela per nulla invece la sua volontà ferrea e la sua dedizione per gli altri, soprattutto le «vedove di Kabul. Sono tante, almeno 60 mila — ripete Clementina —e sono le più sfortunate, le più reiette». La filosofia di vita di Clementina è molto semplice e lineare, ma radicale: «Non sono fatta per la vita di ufficio, non sopporto la vita da impiegata: se devo faticare per vivere, preferisco farlo servendo gli altri e rendendomi utile a chi ha bisogno. Non amo la Milano da bere, preferisco una birra, se la trovo».

Eppure non le mancava nulla per vivere meno pericolosamente, per una vita di successo nella sua «grand Milàn»: di famiglia per bene, nata in una zona per bene, nel cuore di Città Studi, corso di laurea all’estero, un fratello a New York (dove vive la sua adorata nipotina), un altro in un’altra parte del mondo — come ha ricordato ieri sera un cugino a Milano, che ha fatto da portavoce e da scudo alla famiglia, schiantata dalla notizia del sequestro. «Ci scriveva ogni giorno — ha detto — era serena come sempre, certo non si poteva immaginare un evento simile». E’ stata lei stessa una sera in cui era particolarmente loquace per la felicità di andarsene in ferie, prima in Valtellina, poi a New York e quindi a Boston, a tracciare una sua succinta biografia: «Sono nata a Milano nel 1973 (due giorni fa ha compiuto 32 anni, ndr), ho due fratelli, Stefano e Davide, un nipotino in America. Sono a Kabul dall’inizio del 2002, ma ho cominciato a fare lavoro umanitario nel 1977: ho lavorato in Bulgaria, in Kosovo... Ho tanti amici. Etanta pazienza per vivere in Afghanistan ». Pazienza per le condizioni di vita oppressive imposte anche (soprattutto) alle donne occidentali, da una società «maschilista». Concetto che ribadì quando la intervistammo per «Io Donna» con altre italiane impegnate in Afghanistan, proprio sulla condizione di «espatriata» in un Paese islamico e conservatore appena uscito dal medioevo talebano. «Mi sento onorata di essere intervistata su un tema serio quale quello delle donne occidentale in un Paese come questo, dove non si sopravvive se non fosse per il nostro senso umoristico e un po’ cinico», rispose, usando quasi le stesse parole di Simona Lanzoni, responsabile di Pangea, di Silvye Garoia, unica occidentale in Procura a Kabul, di Carla Ciavarella e Carmen Colitti che lavorano per il progetto giustizia in Afghanistan, dell’architetto Anna Soave dell’Aga Khan Trust. «Ma sì — specificò Clementina — i pesi della vita qui non sono tanto il poter prendersi una vacanza solo ogni tre mesi, anche se una volta ho battuto il record di permanenza senza interruzione: ben 6 mesi! Ciò che è insopportabile è la mancanza di ogni libertà, di privacy.. Quando esci sei sempre scrutata, qualche volta insultata dai uomini afghani, non puoi guidare l’auto, la security. Insomma le solite menate..»

Così Clementina, con ennesimo tocco di milanesità, liquidava i pericoli insiti nel suo lavoro e nel suo risiedere in Afghanistan. Non certo perché fosse incosciente, soprattutto dopo gli ultimi allarmi su possibili sequestri di occidentali, lanciati in questi giorni dall’organizzazione che si occupa della sicurezza degli stranieri impegnati nell’Onu o nelle varie agenzie umanitarie. Era molto prudente, come tutte le sue amiche e colleghe. Ogni sera rispondeva all’appello radio, non si muoveva da sola. Ma ieri sera tutte le precauzioni non sono bastate. Resta una email sul computer: «Che cosa mi ha spinto a fare tutto ciò? Boh, non riesco a fare lavoro d'ufficio e se devo stare 8/10 ore ogni giorno a guadagnarmi il pane quotidiano, preferisco farlo impegnandomi in un’attività che m'appassiona: lavorare in Paesi post-conflict con le persone del posto, a cercare di ricostruire il loro Paese, insieme».
Paolo Foschini
Costantino Muscau

da corriere.it
 
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verbenasapiens
view post Posted on 18/5/2005, 07:01




Nondimeno c'è da dire che

L'altro fronte «Siete tutti nel mirino» Un ministro di Kabul avverte le Ong straniere STRUMENTIVERSIONE STAMPABILEI PIU' LETTIINVIA QUESTO ARTICOLO
KABUL, 12 settembre 2004 - «Ma questo ci vuole morti! Le sue parole autorizzano fondamentalisti e briganti a farci fuori», è la reazione istintiva dei nostri «portatori di pace» a Kabul, già scossi da attentati e allarmi continui e obbligati a rispettare un asfissiante coprifuoco. «Quelle contro le organizzazioni non governative sono critiche gratuite - precisa Pietro De Carli, ravennate, dal 15 marzo 2003 responsabile della Cooperazione Italiana in Afghanistan - se ha elementi precisi pubblichi i nomi delle Ong che dilapiderebbero i soldi in Afghanistan, per evitare di fare di tutta un' erba un fascio».
Se in Italia e in Iraq per Simona Pari e Simona Torretta si manifesta e si tratta, tra angoscia e speranza, in Afghanistan per il mondo del volontariato italiano è l' ora dell' ansia, dopo le affermazioni del ministro per la Pianificazione, Ramazan Bachardoust, preposto al coordinamento delle agenzie. «Gli attacchi contro i volontari sono inevitabili e temo che il peggio debba venire - ha detto il ministro 4 giorni fa - perché gli afghani sono convinti che le Ong si approprino di soldi che dovrebbero distribuire ai locali. Le organizzazioni umanitarie (ma 2300 sono afghane e solo 360 internazionali, n.d.r.) si comportano come aziende private e usano l' 80% dei budget per gli stipendi».
Parole pesanti, al punto che il presidente Hamid Kharzai, due giorni dopo, ha espresso preoccupazione per le frasi del ministro e ha elogiato «le Ong per il prezioso servizio prestato. Non ci dimenticheremo di loro». Ma ha aggiunto: «Ci sono Ong che mirano a perseguire solo interessi finanziari, ma il governo è in grado di discernere fra queste e le agenzie realmente non profit. In ogni caso è nostro impegno garantire la sicurezza». Un' assicurazione che non ha eliminato l' apprensione fra i 100 italiani che lavorano nel Paese (50 dei quali solo a Kabul) per le organizzazioni umanitarie Alisei, Intersos, Fondazione Pangea e Cooperazione o nelle diverse agenzie Onu. Soprattutto dopo - ricorda Pietro De Carli - «l' attentato del 29 agosto nel centro della città dove hanno trovato la morte una decina di persone e il lancio di 6 razzi del 9 settembre. Il timore è che ci sia un crescendo di tensione in vista delle elezioni presidenziali del 9 ottobre». «Sapevo di Bachardoust come persona seria e competente, (è un celebre giurista, n.d.r.) - commenta Andrea De Maio, consulente italiano del ministero delle Finanze afghano -. Ora ho sentito al suo riguardo commenti contrastanti. Certo, queste ultime sortite sono sorprendenti, direi infelici e possono oggettivamente aumentare i rischi per le Ong».
«Personalmente - aggiunge Clementina Cantoni, giovane milanese che lavora per l' americana Care - non sono stata spaventata da quelle parole. Ho invece provato un senso di delusione e non tanto per noi stranieri che cerchiamo di fare del nostro meglio, ma per il popolo afghano che si trova a essere rappresentato da uno come lui». «In verità le dichiarazioni del ministro che spesso vengono riproposte - afferma De Carli riflettendo un pensiero diffuso - sono volte a orientare i donatori a concedere i fondi direttamente alle istituzioni locali. Queste devono giustamente essere sostenute, ma purtroppo non sempre garantiscono la trasparenza sull' impiego dei fondi e tanto meno sulla qualità degli interventi. Noi possiamo dire, senza tema di smentite, che dei 7,5 milioni di euro a nostra disposizione, solo il 4% sono serviti per i costi di gestione (sempre a vantaggio, comunque, dell' economia locale perché spesi in loco), e il 96% sono andati ai beneficiari (ospedali e scuole)». Conclude Carla Ciavarella, romana, responsabile per l' Onu dell' importante e delicato progetto di riforma del sistema penitenziario afghano, finanziato dall' Italia: «Le dichiarazioni del ministro suonano strumentali e orientate a comunicare qualcosa a qualcuno. Noi continuiamo a lavorare con l' impegno e l' entusiasmo di sempre, consapevoli delle difficoltà, ma certi che il nostro lavoro è utile. E che sulla distanza i risultati si raggiungeranno in un Paese dove lo sviluppo sociale ed economico si è fermato a 50 anni fa».
Costantino Muscau

corriere.it
 
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Rachael
view post Posted on 21/5/2005, 20:33




Ho trovato questo interessante commento qui


ANCHE QUESTO E' UN RAPIMENTO DI SERIE B?

Clementina Cantoni – operatrice sanitaria di Care International, (collega della sfortunata Margareth Hassan rapita e assassinata in Iraq - fra il silenzio assordante dei pacifisti e dei giornali schierati a sinistra) stava per rientrare in Italia, dopo due anni di presenza e di ottimo lavoro svolto in Afghanistan, fra le vedove e gli orfani di Kabul, quando è stata rapita e così, ha inizio una delle solite e purtroppo frequenti lunghe e snervanti trattative con i rapitori.
A detta delle autorità Afgane, si è di fronte a banditi comuni, anche se avanzano richieste pseudo-politiche. Evidentemente ormai si è sparsa la voce che gli italiani pagano.
A parte la solita demagogia di potere messa in onda sui media di sinistra, come l’Unità che recita così: “Il rapimento di Clementina dimostra che l’Afghanistan non è pacificato e che non ci sono i presupposti perché alcun processo di democratizzazione si realizzi….” Il che vuol dire che quando in Italia si verificano rapimenti, cosa nemmeno tanto rara, visto che anche in questi anni se ne sono verificati molti, che noi non siamo un paese in pace e nel quale la democrazia non si è realizzata…. - come sempre l’unità vagheggia l’impossibile, il guaio è che gli allocchi ci credono –
Per Clementina molti sono scesi in piazza, ma sono scesi in piazza in Afghanistan, le donne in prima fila e persino gli uomini riuniti nelle moschee hanno chiesto la sua liberazione, come pure le autorità religiose Afghane si sono accomunate al coro di protesta. Unici grandi assenti: la voce dei tanti media italiani, dei pacifisti, dei no global, dei centri sociali, che tanto si davano da fare per la Sgrena e le due Simona.
Dove siete ora, amici dei resistenti?
Clementina non merita il vostro interesse? Perché non lo merita.. perché non si fa fotografare con le povere vittime dei cattivoni americani?
Non vorrete che si debba credere che vi disinteressiate di Clementina solo perché la Care International è un’organizzazione umanitaria fondata dagli Stati Uniti? No voi siete troppo obiettivi per fare questa meschina scelta.
Ma ancora una volta avete perso un’occasione: dimostrare la vostra sincerità.


Come per i quattro italiani e per Baldoni, nessuna manifestazione di solidarietà dal popolo della pace....tutto tace...impossibile non far certe considerazioni
 
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Rachael
view post Posted on 22/5/2005, 11:29




Cantoni oggi scade il nuovo ultimatum

Timor Shah, il presunto sequestratore: «La rapita è sempre viva». Ciampi scrive a Karzai: «Fiducia in esito positivo»
Clementina Cantoni (Ansa)
KABUL -Scade domenica pomeriggio alle 16.30 ora italiana (le 19 in Afghanistan) il nuovo ultimatum fissato dal presunto sequestratore di Clementina Cantoni, l'uomo che si fa chiamare Timor Shah e che negli ultimi giorni ha tenuto contatti con i media afgani e internazionali rispondendo al cellulare della cooperante milanese, rapita lunedì scorso nel centro di Kabul.
Shah ha parlato diverse volte in modo piuttosto confuso (venerdì aveva addirittura annunciato di aver ucciso la donna), e sabato ha affermato che la cooperante di Care International è sempre viva e che i negoziati con le autorità proseguono. «Abbiamo esteso il nostro ultimatum fino alle 19 di domenica in funzione della mediazione e delle richieste dei capi tribù e responsabili coinvolti nelle discussioni», ha detto Shah alla France Presse.
CONTATTI - Intanto le autorità afgane insistono sul fatto che il sequestro sia «opera di una sola persona», come ha detto sabato il presidente Hamid Karzai. «Chiunque l'abbia fatto ha una contesa personale con l'Afghanistan. Non considero il sequestro un lavoro di gruppo - ha detto Karzai - Faremo di tutto per liberare l’ostaggio. Per il bene dell’Afghanistan, dell’Italia e dell’intervento del Paese».
La complessa trattativa tra autorità afgane e i rapitori si articola su un doppio binario. Da un lato quello sbandierato da Shah con i media, le richieste degne di un buon musulmano, come il divieto di vendere alcolici, o l'indennizzo ai coltivatori di oppio colpiti dalla campagna anti-droga. Dall'altro ci sono i negoziati che riguardano la scarcerazione della madre di Shah e di altri due suoi complici, Tela Mohammed e Raid Dada Qoda.
MESSAGGIO - ll presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, a quanto si apprende, segue costantemente, attraverso l'unità di crisi del ministero degli Esteri, l'evolversi della situazione relativa al sequestro. Il Capo dello Stato ha anche inviato al Presidente della Repubblica Islamica dell'Afghanistan, Hamid Karzai, un messaggio. «Lei può immaginare - scrive Ciampi - con quanta apprensione seguo la vicenda della giovane Clementina Cantoni, rapita a Kabul nei giorni scorsi, mentre svolgeva una generosa attività umanitaria. Apprezzo il suo personale impegno, anche attraverso l'attività investigativa condotta dalle forze di sicurezza afghane, volto a favorire la liberazione di Clementina Cantoni. Sono fiducioso che Clementina possa essere presto restituita ai suoi cari ed alla sua missione a favore dei deboli e degli emarginati». Il Capo dello Stato conclude: «Nello spirito della tradizionale amicizia e collaborazione tra i nostri due Paesi, le rivolgo, a nome del popolo italiano, un rinnovato apprezzamento per il suo impegno a favore di questa nostra concittadina che tante benemerenze si è conquistata in Afghanistan».

Corriere


 
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verbenasapiens
view post Posted on 22/5/2005, 11:48




Certo siamo in apprensione per un essere umano..oltretutto una personache era li' ad aiutare la gente, almeno stando a quello che sappiamo..
Ripeto, però che in questo periodo tutti i volontari, specie se donne, dovrebbero andare via da quelle zone..
 
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Ishtar
view post Posted on 23/5/2005, 05:42






Esistono rapite di seria A e serie Z?
Leggete qui..

Amnesia primaverile
Mandato da Il Legno Storto Lunedì, 23 May 2005, 06:51.
Clementina resta fuori dall’albo doloroso della storia di parte. Nessuno scende in piazza per lei
di Toni Capuozzo da Il Foglio del 20 maggio 2005
Hanno rimediato. Accanto a quelle di Florence Aubenas e Hussein, i due del cui sequestro in Irak si è perso il conto dei giorni, verrà posta, in Campidoglio, la gigantografia di Clementina Cantoni. Ma è un rimedio ispirato alla correttezza politica che rischia di sottolineare ancora di più, com’era già avvenuto per la giornalista francese e il suo interprete-traduttore, il silenzio, la passività, l’oblio, l’amnesia. Interrogati al proposito – a che ora e dove in piazza per Clementina? – leader ed esponenti della sinistra ammettono, spiegano, ricorrono a sensazioni primaverili: stanchezza, distrazione, sentimenti incerti come il disincanto e l’assuefazione. Tutto questo silenzio, quest’assenza di indignazione, di commozione, di impegno ha per noi un solo nome: doppia morale. E’ vero. Anche i quattro vigilantes italiani vennero sequestrati di primavera,e la loro sorte non commosse e non fece fremere. Ma è sconcertante vedere che ora non si ritiene urgente mobilitare tutto l’apparato di idee, di bandiere, di emozioni e di persone che si mobilitò per le due Simona e per Giuliana Sgrena. Perché? Mattias Mainiero se lo è chiesto ieri su “Libero”, e conclude: “Si sfilava per la pace e in realtà si inneggiava ai fatti propri”. Le manifestazioni pacifiste come tappa per le regionali? C’è del vero, naturalmente. Come c’è del vero nella sottolineatura della dichiarazione, al “Corsera”, di Gabriele Polo sulla fortuna della Sgrena – “Aveva una bella e importante famiglia alle spalle, la nostra, la famiglia del “Manifesto”. Ebbene, siamo pronti ad adottare anche Clementina” – dove è evidente lo spirito di parrocchia, il senso di appartenenza o quello di estraneità, sia pure generosamente pronta a ravvedersi. Ecco, il senso di appartenenza è un’altra buona spiegazione. Clementina, che pure ritroviamo nelle vecchie interviste mossa dalle più nobili intenzioni, appartiene a un’organizzazione inglese che non usa sfilare nelle manifestazioni, che non siede ai tavoli della pace. Chi sia lei, Clementina, in realtà, che natura avesse il progetto a cui lavorava – assistenza alle vedove afgane – interessa poco: non è dei nostri, e il “nostro” non viene stabilito in base a quello che uno è e uno fa, ma in base a come si colloca, a come ammicca. Un esempio piuttosto clamoroso di questo approccio alle persone e ai fatti si verificò proprio in Afghanistan: riflettori e ammirazione per Gino Strada, che sulla vicenda aveva una esplicita posizione politica, perfino preponderante sull’aspetto umanitario del suo impegno, e toni dimessi per Alberto Cairo, il volontario che aveva il torto di fare il suo lavoro ma che, pur esprimendo giudizi personali fortissimi, era troppo minimalista, apparentemente impolitico, poco proclamatorio e accusatorio.

Ora che non si scomodino i leader e le segreterie, può essere: il cinismo è parte nobile della politica. Ma che non si scomodino i singoli, i gruppi della società civile, questo è triste. Ma non è nuovo. Ci è già capitato di ricordare la vicenda di Moreno Locatelli, il pacifista andato a morire sul ponte di Vrbanja, a Sarajevo. O la fine ancor più limpida e atroce di Guido Puletti e dei suoi amici sulla strada di Bosnia, mentre si recavano a distribuire medicinali. L’emozione intermittente del movimento pacifista non li ha intercettati, sono rimasti fuori dall’albo dolente della storia di parte, come del resto le figure del volontariato di ispirazione religiosa, che neppure il pacifismo aclista, comboniano o altro sembra ricordare. E la stessa cosa vale per l’informazione: la vicenda tragica di Ilaria Alpi – al cui ricordo ci lega il rispetto per le figure per i genitori e il nome di Miran Hrovatin – ha assunto attorno a sé,per le valenze politiche italiane di un’inchiesta senza fine, un carattere simbolico totalitario, fatto di premi e film. Ciò che non toglie nulla alla luminosità delle vittime, ma non può far registrare il silenzio intorno a tante altre storie e percorsi umani non spendibili, nella lotta politica italiana: chi si ricorda il nome di Palmisano? Chi ricorda, se non i suoi amici, il caso di Antonio Russo? Questo strabismo, logico nei politici ma scandaloso nelle anime belle, indecente nei giovani che vogliono cambiare il mondo, si ripete nel libro nero delle memorie: in ogni dibattito c’è qualcuno che ricorda che Saddam fu coccolato dagli USA in funzione anti-ayatollah, ma i morti della televisione di Stato di Belgrado, vittime non collaterali e innocenti di un bombardamento di un’alleanza di cui facciamo parte non li ricorda neppure il sindacato di quest’Italia da cui decollarono gli aerei, ma che era governata da D’Alema. E l’Italia che si arrovella sui posti di blocco americani, si appassiona al processo Ocalàn, il cui destino in qualche modo abbiamo contribuito a scrivere? E’ una morale Cancelli, punteggiata di “se” e di “ma”.

www.ilfoglio.it
da
legnostorto
 
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Rachael
view post Posted on 23/5/2005, 09:26




Interrogati al proposito – a che ora e dove in piazza per Clementina? – leader ed esponenti della sinistra ammettono, spiegano, ricorrono a sensazioni primaverili: stanchezza, distrazione, sentimenti incerti come il disincanto e l’assuefazione

E poi ridono tanto delle uscite del Berlusca....se non altro le sue NON sono intrise di ipocrisia.

Ma che non si scomodino i singoli, i gruppi della società civile, questo è triste. Ma non è nuovo.

Si vede che anche gli indignati in servizio permanente attivo risentono della stanchezza primaverile, a loro prescrivo un supradin con un bel bicchiere di ACQUA MINERALE, naturalmente dopo aver sentito i consigli di Vate .....

Questo strabismo, logico nei politici ma scandaloso nelle anime belle, indecente nei giovani che vogliono cambiare il mondo, si ripete nel libro nero delle memorie: in ogni dibattito c’è qualcuno che ricorda che Saddam fu coccolato dagli USA in funzione anti-ayatollah, ma i morti della televisione di Stato di Belgrado, vittime non collaterali e innocenti di un bombardamento di un’alleanza di cui facciamo parte non li ricorda neppure il sindacato di quest’Italia da cui decollarono gli aerei, ma che era governata da D’Alema.

Come dire pacifismo con tanti se e ma, se a bombardare sono gli americani il sacro furore infiamma gli animi di questi ipocriti in servizio permanente attivo, se sono gli italiani guidati e appoggiati dal governo di D'Alema, la definiscono "difesa avanzata".
Per loro ci sono i morti di serie A e di serie Z e i rapiti di serie A e di serie Z, meglio credere alle panzane di un comico, che guardare nei propri armadi, e fare una doverosa autocritica...
Posso dirlo?...Si lo dico: Cazzo che schifo

Edited by Rachael - 23/5/2005, 10:28
 
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verbenasapiens
view post Posted on 23/5/2005, 17:02




Infatti solo popolismo di bassa lega sanno fare ma MAI che cercassero la trave nel loro occhio..sempre a sottolineare la pagliuzza nell'occhio di chi è come quello della favola dei vestiti del re che dice il re è nudo.Loro lo sanno che il re è nudo, ma pur di tenersi le loro illusioni e vomitare veleno contro "il nemico" non fanno..e del resto guarda chi sono i loro feticci: Moretti che non si sa che fine abbia fatto e il VATE GRILLO..uno che fa leva sui bassi istinti della plebe per far il tutto esaurito ai suoi spettacoli che non fanno manco ridere..

Cazzo che schifo!!!
Leggi chi è il "patriota" resistente che ha rapito questa ragazza che non vale come certe giornaliste d'assalto in caccia di sgub..e mica a parole, ma nei fatti.
Pare che la faranno una manifestazione alla fine solo che Caruso per esempio, il famigerato no Global vuole che sia una fiaccolata contro la guerra..capisci?

Ecco comunque chi è il rapitore

È magro, nervoso, basso di statura. Ha 26 anni, ne dimostra di più»
Nella tana di Shah, il bandito talebano Per i pochi vicini disposti a parlare nonostante le minacce il sequestratore dell’italiana «è un violento, capace di tutto»
Così ci aveva detto Hamid Mochmand, uno dei reporter di Radio Liberty a Kabul, che ha ricevuto varie chiamate di Timor Shah dal telefonino dell’italiana. E così abbiamo fatto. La visita al villaggio, raggiunto negli ultimi 5 chilometri su una mulattiera allagata da gigantesche pozzanghere, è stata una rapida escursione tra la trentina di tipiche abitazioni rurali afghane. Quella del ricercato è un poco isolata, immancabilmente circondata da un alto muro di fango e paglia. «All’interno sono rimaste solo alcune donne della famiglia. Da lunedì a oggi almeno 12 suoi parenti, tutti uomini, sono stati presi dalla polizia. Altri sono alla macchia. Anche la moglie è fuggita, dopo che tre mesi fa era stata arrestata la madre», dice frettoloso un vicino, prima di sparire dietro la porta in legno grezzo del suo castello di fango. È mezzogiorno, per le strade si incontrano solo un paio dei circa 500 abitanti. Paradosso dei paradossi: a pochi metri dall’entrata della casa del rapitore di Clementina c’è una pompa dell’acqua costruita da una organizzazione non governativa olandese. Anche qui il lavoro degli umanitari stranieri ha migliorato le cose. Però i volontari di Care International (l’organizzazione di Clementina) non si sono fidati a venire per distribuire i manifesti-appello per la sua liberazione. «In ogni caso la stragrande maggioranza della popolazione non sa leggere», dice un volontario afghano della Croce Rossa che ha accettato di fare da guida. Con una sola richiesta: nessun nome.

Manifesto per la liberazione di Clementina Cantoni (Ansa)
«Questo resta un Paese insicuro. Le vendette sono all’ordine del giorno». La stessa regola vale per tutte le persone che accettano di raccontare la personalità di Timor Shah. A ognuno la stessa domanda. Chi è dunque: un fanatico islamico oppure un criminale comune. Talebano o bandito? «Un po’ entrambi», risponde un suo vecchio compagno di scuola, che aiuta tra l’altro a dare un’identità al ricercato. «È un tipo magro, nervoso, basso di statura. Ha 26 anni, ne dimostra di più. La sua famiglia è tra le più povere del paese. In classe era calmo, da giovane lo ricordo appena, posso dire un tipo insignificante. Quasi analfabeta. Parla a malapena il dialetto pashtun». Ma tutti ricordano bene il periodo d’oro di Timor Shah. «Fu dopo l’arrivo dei talebani a Kabul, nel settembre 1996. Lui si arruolò ben presto nelle loro milizie. E tre anni dopo arrivò a comandare una decina di uomini. Ottenne un pick up nuovo fiammante. Era il suo status symbol. Scorrazzava per la vallata con il suo drappello armato nel cassone, si sentiva padrone del mondo. Per un breve periodo venne inquadrato nel corpo di guardia all’aeroporto internazionale di Kabul. Poi la promozione. È nominato commissario della polizia criminale del secondo distretto della capitale». Oggi alcuni affermano che proprio in quel periodo si costruì le conoscenze che gli tornano utili per la sua nuova carriera di fuorilegge.
Difficile dire quanto criminosa. Perché i dati più recenti della biografia di Timor Shah si confondono con le informazioni spesso contraddittorie fornite dai media locali. Di certo non rispose agli appelli di Osama e del mullah Omar di immolarsi per combattere gli americani nel 2001. Tutt’altro. Dopo la battaglia di Tora Bora, nel novembre, si dà alla macchia. C’è chi l’avrebbe visto cercare di arruolarsi nei ranghi dei nemici di ieri, i mujahedin del Nord. Voltagabbana, arrivista spregiudicato, sopravvissuto in cerca di successo? Forse è anche questo. «L’ultima volta l’ho visto una ventina di giorni fa presso la moschea di Janan. Ma non credo alle sue rivendicazioni religiose. Dice che ha rapito l’italiana per obbligare il governo a finanziare le scuole coraniche e bloccare la vendita di alcolici? Tutte storie, Timor Shah non sa quasi pregare!», esclama scettico un altro giovane del villaggio. Dunque, cosa vuole? «Soldi, tanti soldi. E, se possibile, la liberazione della madre». Sta di fatto che la polizia inizia a segnalarlo a metà del 2004: comanda una quarantina di uomini armati, per lo più non originari della vallata di Janan. Campo d’azione preferito: la zona della capitale. Un suo lontano parente sostiene che sarebbe stato tra i capi della banda che alla fine dell’anno scorso venne accusata di aver assassinato una quindicina di taxisti a Kabul per rubare le loro vetture. Un altro vicino afferma invece che avrebbe personalmente ucciso il figlio di un ricco uomo d’affari locale che si era rifiutato di pagare il riscatto per la liberazione (versione ribadita dal ministero degli Interni). Un’altra versione ancora più inquietante riporta che il riscatto venne pagato, ma Timor Shah uccise ugualmente l’ostaggio «in segno di disprezzo».

Tre mesi fa la polizia arrivò in forze al villaggio per catturarlo. Non lo trovò. Per costringerlo a consegnarsi portarono via allora la madre cinquantenne assieme a un paio di cugini. Sono blitz rapidi quelli della polizia tra gli oltre 10 mila abitanti nella vallata di Janan. Un mondo a parte. Fatto di villaggi remoti, dominati da leggi tribali antichissime, dove il governo Karzai resta quasi del tutto latitante. I poliziotti di stanza qui sono solo quattro, pagati come tutti gli altri 80 dollari al mese. «Troppo poco con il costo della vita che aumenta ogni giorno. Nessuno è pronto a rischiare. I più semmai collaborano con le mafie locali», accusano i media afghani. Ogni tanto però anche le forze dell’ordine hanno successo. È accaduto un anno fa nel vicino villaggio di Dashtag. Allora una banda di sei fratelli, comandata da Awal Chom, il più anziano, aveva rapito un ingegnere cinese e chiedeva un riscatto in denaro. Il nascondiglio dell’ostaggio consisteva in una galleria scavata di fresco tre metri sotto terra affacciata alle pareti di un pozzo pieno d’acqua. Dopo 28 giorni di terrore, al buio, malnutrito, venne liberato dal blitz compiuto da oltre 100 agenti delle forze speciali arrivate dalla capitale. La battaglia durò oltre 5 ore. Un fratello venne ucciso, gli altri fuggirono. Può accadere anche per Clementina? La risposta a Janan è unanime: «Occorre fare in fretta. Timor Shah è un violento con poco da perdere e capace di tutto».
23 maggio 2005

da corriere.it
 
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verbenasapiens
view post Posted on 23/5/2005, 20:48




ROMA - Nonostante le tante promesse di adesione, in piazza del Campidoglio ci sono andate alcune centinaia di persone. Alla fiaccolata per Clementina, la manifestazione di solidarietà organizzata dal Comune di Roma partita poco dopo le 19 e conclusasi circa due ore dopo, l'affluenza non è stata eccezionale. C'erano comunque i sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil, l'Associazione delle Organizzazioni non governative, la comunità di S.Egidio, la Comunità ebraica di Roma, i parlamentari eletti a Roma, qualche forza politica. In piazza anche Giuliana Sgrena e Simona Torretta, la giornalista del «Manifesto» e la volontaria di «Un ponte per» rapite e poi liberate in Iraq. Sul palco, allestito proprio sotto la grande foto della Cantoni affissa sulla faccia del palazzo senatorio, si sono alternati il sindaco Veltroni, il presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo e il presidente della Provincia di Roma Enrico Gasbarra. Decine di fiaccole e due enormi bandiere afghane listate a lutto sono stati tenuti in alto da una delegazione dell'Associazione Culturale degli Afgani in Italia.
LE RAPITE - «Spero - ha detto Giuliana Sgrena - che Clementina possa sentire l'eco di questa manifestazione, sapere che c'è chi le sta accanto nel proprio paese aiuta a non essere disperati, a non uscire di senno. Mi ha sorpresa molto - ha aggiunto l'inviata del Manifesto - la mobilitazione in Afghanistan, vuol dire che la Cantoni è nota e riconosciuta per il bene che fa lì. Mi dispiace - ha concluso con una nota polemica - che non ci sia stata analoga mobilitazione in Italia». Simona Torretta ha sottolineato che «ogni volta si vive lo stesso dramma. Sono cose che cambiano la vita. Posso solo dire che evidentemente sbaglia chi diceva che l'Afghanistan era un paese tranquillo e pacificato».

LE TRATTATIVE - Intanto si cercano nuove vie per arrivare alla liberazione di Clementina Cantoni: gli operatori di telefonia attivi in Afghanistan spediranno ai loro abbonati un sms con cui si sollecitano tutti quelli che hanno informazioni di contattare un determinato numero telefonico. «Clementina è stata rapita. Ha lavorato per tre anni in Afghanistan - si legge nel testo del messaggino - aiutando vedove e orfani. Se avete informazioni per favore chiamate lo 020-2200159». «Per favore aiutate Clementina!», si conclude l'sms. Il poverissimo Paese dispone oggi di circa 300mila abbonati alla telefonia mobile in una popolazione di 27 milioni di abitanti. Circa 20 le città già raggiunte dal servizio wireless.
FIDUCIA - «Viste le eccellenti relazioni tra l'Italia e l'Afghanistan, da parte italiana non si ha il minimo dubbio sulla piena collaborazione e la capacità di mediazione che le istituzioni afghane stanno dispiegando in questi giorni per la liberazione di Clementina Cantoni»: questa la rassicurazione fatta dal sottosegretario agli esteri Margherita Boniver, ai famigliari della cooperante italiana rapita. Ai coniugi Cantoni la Boniver ha spiegato che «la collaborazione tra Roma e Kabul è talmente solida che esiste anche un filo diretto con il presidente Hamid Karzai, in questi giorni in visita ufficiale negli Stati Uniti». A proposito del ruolo che l'ex re dell'Afghanistan, Zahir Shah potrebbe avere Boniver ha osservato che sarebbe di «straordinario prestigio». L'ex sovrano, ha ricordato il sottosegretario, ha una «particolare predilezione per l'Italia» visto che vi ha trascorso ben 30 anni in esilio.
RINGRAZIAMENTI - E ancora una volta i genitori di Clementina, hanno ringraziato tutti coloro che hanno espresso solidarietà con manifestazioni, lettere e altre iniziative. Lo ha reso noto il portavoce della famiglia, Marco Formigoni, dopo che stamani papà Fabio e mamma Germana per la prima volta sono usciti di casa per una breve passeggiata senza peraltro voler rispondere a domande ma limitandosi, ancora, ad un semplice «grazie». «Hanno deciso - ha spiegato Formigoni - di uscire dalla clausura iniziata il giorno del rapimento perché stare chiusi in casa per una settimana non fa bene a nessuno». Così i genitori di Clementina hanno fatto una passeggiata nei dintorni e si sono recati fino in corso Buenos Aires dove hanno anche visto e apprezzato lo striscione appeso dedicato alla loro figlia. In casa Cantoni il clima è sempre di attesa e di apprensione. I contatti con la Farnesina sono costanti ma per ora non c'è nulla di nuovo.
23 maggio 2005
da corriere.it
 
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Rachael
view post Posted on 24/5/2005, 09:12




Meglio che niente, considerato che la Cantoni non era schierata politicamente ma faceva solo del bene, e lo dimostra il fatto che per lei sono scese in piazza donne e uomini afgani, da noi si sa come funziona, le manifestazioni si fanno solo in base alla fede di appartenenza....Quanto a Caruso, certa gente non si smentisce mai.

Ho letto il ritratto di Timor Shah, certo che se è tutto vero quello che dicono i vicini, Clementina é in mano a un sanguinario senza scrupoli...

Edited by Rachael - 24/5/2005, 10:12
 
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verbenasapiens
view post Posted on 26/5/2005, 05:29




Sempre per rispondere ai soliti indignati a senso unico..


Clementina sola senza bandiera
da La Stampa del 24 maggio 2005, pag. 1di Fabrizio Rondolino

Per Giuliana erano in mezzo milione; per Clementina, ieri in Campidoglio, qualche centinaio appena. E forse non ci sarebbero stati neppure loro senza l'editoriale del «manifesto» che polemicamente definiva la Cantoni «un ostaggio di serie B». Probabilmente è davvero così: o almeno così è percepita la Cantoni dal punto di vista politico, ed è per questo che un'opinione pubblica prevalentemente di sinistra (quella cioè che riempie le piazze) appare meno motivata, meno incline alla mobilitazione. Clementina Cantoni diversamente dalla Sgrena non ha un giornale, e tantomeno un giornale politico, alle spalle; non appartiene, come le due Simone, a nessuna Ong; ha trascorso all'estero gran parte della propria vita adulta; per di più, è stata rapita in Afghanistan da banditi in cerca di denaro, e non in Iraq per motivi «politici».

Qui, infatti, sta il nocciolo della questione. La spina dorsale delle manifestazioni per la liberazione degli ostaggi è sempre stato il movimento pacifista: che con quelle mobilitazioni voleva insieme sottolineare la propria avversione al terrorismo ma anche, e forse soprattutto, la propria contrarietà all'amministrazione Bush, giudicata la principale responsabile degli eventi luttuosi che si sono consumati e si consumano in Iraq, inclusi dunque i rapimenti di giornalisti e volontari occidentali, che a loro volta sono stati subito percepiti come «avversari» della politica americana. Paradossalmente, a Clementina Cantoni tocca mediaticamente in sorte un destino uguale e simmetrico a quello di Agliana, Cupertino, Quattrocchi e Stefio. Allora qualcuno liquidò i rapiti come «mercenari»; oggi mercenari sarebbero i rapitori: è una questione di delinquenza comune, sembrano pensare i pacifisti nostrani: risolvetevela da soli.

Può darsi che non sia così; senz'altro pesa anche la sensazione, non certo mobilitante, che la liberazione di un ostaggio sia in fondo affidata soltanto alla quantità di denaro che si è disposti a pagare, e che le manifestazioni lascino il tempo che trovano. Tuttavia, per ciò che di simbolico hanno le piazze, quella di ieri testimonia quanto meno una qualche sgradevole disattenzione nel movimento pacifista.


 
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34 replies since 16/5/2005, 20:29   267 views
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