Il sofà delle muse

La donna e l'Islam, una catena interminabile di offese

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Rachael
view post Posted on 1/7/2005, 16:43




Non credo che i maschi normali condannino la cosa....anzi, sono i primi a tenere segregate le loro donne, ho letto un post non mi ricordo più in quale blog, che elencava le differenze fra la donna islamica, pura e venerata (naturalmente se abburqata e vergine) e la donna occidentale, sfrontata, lasciva e figlia del diavolo....insomma, un delirio
Se lo ritrovo lo posto qui, perchè è proprio indicativo della mentalità mediavale della gran parte degli islamici.
Non credo ci siano prostitute, rischiano la lapidazione secondo la sharia....
 
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sandokan23
view post Posted on 1/7/2005, 17:45






Rach qualcosa non quadra e non mi riferisco all'idiota che ha detto certe cose..venerate..come no..
 
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Ishtar
view post Posted on 30/8/2005, 07:02




Via col velo

La filiale di Londra Nord della celebre azienda Ikea, leader mondiale per l’arredamento, ha battuto tutti sul tempo dimostrandosi l’impresa occidentale più “sensibile” alla moda islamica e più tollerante. Le commesse musulmane infatti possono indossare una nuova divisa aziendale nei tradizionali colori Ikea (blu e giallo) che comprende anche il famigerato “velo”.
Finalmente le donne islamiche possono rispettare la loro tradizione anche sul posto di lavoro: Allah ne gioirà di sicuro e benedirà il grande magazzino perdonandogli la vanità d’impresa che ha imposto la scritta ricamata “IKEA” sul retro del foulard. “Un velo marchiato è pur sempre un velo rispettoso della religione” deve aver pensato Allah il grande, mentre il Sig. Kambrad, fondatore dell’Ikea, avrà pensato “l’azienda val bene una com-messa velata”. Tutti d’accordo insomma e da ora in poi le gentili signorine alla cassa potranno coprirsi il capo.

C’è da aspettarsi che i tolleranti di tutta Europa si adeguino e, per non sentirsi esclusi, per non essere da meno, insomma per non rimanere indietro sul multiculturalismo, vogliano fare la loro parte e quindi via con la salumiera velata alla Coop, l’infermiera col velo in ospedale (con il rischio di non essere riconosciuta come musulmana e di essere scambiata per suora o crocerossina dei tempi andati) e ancora “maestra velata maestra fortunata”, fino a quando qualcuno più tollerante degli altri proporrà la “benzinaia” con il burka e, giusto per non offendere le altre professioni, anche la baby-sitter sarà interamente coperta (i nostri bambini svilupperanno l’olfatto per riconoscerla), ma anche la vigilessa vorrà coprirsi il volto e allora dovremo prevedere un burka forato all’altezza della bocca per far fuoriuscire il fischietto!

Per il design del velo l’Ikea si è rivolta all’azienda TheHijabShop.com che produce e vende online i veli islamici in tutto il mondo. Grazie allo stile e ai tessuti di buona qualità le commesse Ikea potranno con orgoglio esibire la loro doppia appartenenza: all’azienda e all’islam. Ecco una bella forma di integrazione e di emancipazione femminile che in un colpo solo sotterra la libertà di coscienza, la laicità della società, la parità tra i sessi.

Qual è il confine delle loro tradizioni? Qual è il limite delle loro usanze? Fino a che punto dobbiamo concedere, assimilare, accettare e quando respingere e rifiutare? Qual è la linea oltre alla quale dobbiamo arrestarci? Le nostre donne ancora senza velo per le strade potranno rappresentare un’offesa nei loro confronti? Siamo in grado oggi di garantire completa uguaglianza e pari opportunità di lavoro alle donne islamiche in occidente? Perché non concediamo la stessa attenzione a tutte le minoranze? Perchè i Dark che vogliono vestirsi di nero e sfoggiare catene quando esercitano la professione medica devono indossare il camice bianco? Perché il monaco arancione non può fare il carabiniere senza rinunciare alla sua tunica? Vogliamo davvero una carnevalata, una confusione completa, una dispersione dei riconoscimenti, dei simboli, delle identità, una rinuncia ai nostri sistemi di conoscenza e alle nostre categorie di occidentali? Ci sentiamo meglio, più evoluti, più civili, nel sapere che l’impiegata della nostra banca potrà domani coprirsi i capelli o l’intero volto?

Dobbiamo chiedere con forza una società libera e per essere libera deve innanzi tutto essere una società laica nelle istituzioni, nel mercato, nel lavoro, nelle aziende. Dobbiamo pretendere dalla nostra società il rispetto della laicità subito e ad ogni costo, prima che siano loro a dettare le regole di “buon costume” di “moralità” di “rispetto al senso del pudore” e ci chiedano di coprirci il capo. La televisione dovrà “velare” le “veline” ?

da legnostorto

che bello..il politically correct..vuoi mettere e pure il loghetto..che sciccheria.. w00t.gif
 
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Rachael
view post Posted on 7/9/2005, 08:55




Indonesia, condannate per proselitismo 3 donne cristiane

Sono accusate di aver provato a convertire bambini musulmani. Il verdetto emesso dopo 4 mesi di continue minacce di estremisti islamici.

Jakarta (AsiaNews) – Tre donne cristiane sono state condannate a altrettanti anni di detenzione per “proselitismo”.
Rebbeca Loanita, Etty Pangesti e Ratna Mala Bangun avrebbero violato la Legge di tutela dell’infanzia del 2002 cercando di convertire bambini musulmani al cristianesimo. La sentenza è stata emessa il 1 settembre scorso dopo 4 mesi di processo, in cui estremisti islamici hanno cercato in ogni modo di intimidire e influenzare i giudici.

L’accusa alle 3 donne era stata mossa dal cosiddetto Consiglio indonesiano dei Mullah, secondo il quale le imputate avrebbero provato a convertire i bambini durante lo svolgimento dell’Happy Weekend. L’iniziativa prevedeva un fine settimana di canti, giochi e escursioni per i più piccoli ed era rivolta solo ai cristiani. Questo ultimo aspetto è stato evidenziato dalla difesa, ma il tribunale di Indramavu - West Java - non ne ha tenuto conto, affermando che invece erano presenti anche non cristiani.

A tutte le udienze hanno partecipato numerosi estremisti islamici, che cercavano di intimidire i giudici. Secondo gli avvocati delle donne la sentenza è stata influenzata da costanti minacce e non si basa sulla legge: nessuno dei bambini in questione si è convertito o è stato forzato a partecipare all’iniziativa.

Gli estremisti hanno persino emesso un comunicato in cui invitavano il tribunale a punire le imputate con la pena capitale.

Secondo testimoni oculari, il 1 settembre lo stesso gruppo di fondamentalisti ha portato in aula una bara in cui giurava di seppellire le 3 donne se queste non fossero state condannate. Dopo il pronunciamento della sentenza nell’aula la folla ha gridato. “Allahu akbar” (Dio è grande).

La difesa ora ha solo una settimana per presentare l’appello a un tribunale di grado superiore.

La legge di tutela dell’infanzia del 2002 proibisce l'uso di “inganno, bugie e istigazione” per convertire un bambino a un’altra religione. La sentenza massima prevista è 5 anni di detenzione e una multa di 10.226 dollari Usa. (MS)

asianews.it

Dunque é come se noi condanassimo tre islamici che stanno esercitando la loro libertà di religione con un raduno, al quale per caso si sono aggregati bambini cristiani di loro spontanea volntà....
Non ci sono parole per commentare un simile fatto

Edited by Rachael - 7/9/2005, 09:58
 
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salvatores
view post Posted on 9/9/2005, 20:31




Aisha, Samira e le altre: la poligamia in Italia

Migliaia di donne musulmane senza tutele. «Abusi e violenze, la legge non ci protegge dalla sharia»

ROMA - Poligamia, tanta violenza e un secco rifiuto di «concedere» il ripudio. Perché Aisha è una schiava dei nostri tempi: è costretta a lavorare duro per mantenere il marito-padrone, deve rassegnarsi a farsi sfruttare fino all’ultimo dei suoi giorni. Se non si concede, se disobbedisce, se si ribella, lui ammazza di botte lei e la figlia, prende in mano l’acido e minaccia di deturpare i loro volti, esibisce una tanica di benzina e promette di dare fuoco alla casa. Alla fine lei si è fatta coraggio e l’ha denunciato alla Polizia. Ma la risposta è stata raggelante: le autorità italiane non possono intervenire fintantoché lei non dimostri di aver divorziato. Anche se in realtà il loro è un matrimonio islamico non riconosciuto dal nostro Stato.

Indifferenti al fatto che il divorzio a una donna musulmana viene concesso solo in casi straordinari. Eppure succede in Italia: fette, esigue ma significative, del vissuto sociale dei residenti musulmani sono sottratte alle nostre leggi, sono sottomesse ai dettami della sharia , la legge islamica. A pagarne le conseguenze sono soprattutto migliaia di donne musulmane. Se, come attesta un’inchiesta da me svolta nel 2001, l’1,5 per cento dei musulmani in Italia sono poligami, significa che abbiamo a che fare con 15 mila casi, considerando anche le situazioni nei paesi d’origine. Pochi rispetto al milione di musulmani residenti, troppi per ciò che comporta sul piano della violazione della legalità e dei diritti fondamentali della persona. Il paradosso è che tutto ciò avviene, da un lato, all’ombra di un’interpretazione miope e burocratica del diritto internazionale che salvaguarda la legislazione del Paese d’origine degli immigrati in materia di stato civile e, dall’altro, di un atteggiamento fin troppo accondiscendente dei nostri magistrati all’insegna di una singolare percezione del relativismo culturale. La sentenza del tribunale di Bologna del 13 marzo 2003 ha indirettamente riconosciuto il diritto alla poligamia in Italia, sostenendo che «il reato di bigamia può essere commesso solo dal cittadino italiano sul territorio nazionale essendo irrilevante il comportamento tenuto all’estero dallo straniero la cui legge nazionale riconosce la possibilità di contrarre più matrimoni».

Ebbene sono proprio le donne musulmane, vittime dei mariti-padroni, a contestare l’assenza di una legge che le protegga e a invocare l’intervento dello Stato italiano: «Sono da vent’anni in Italia. Ho sempre lavorato onestamente nelle case di tanti italiani - racconta Aisha -. Ho implorato mio marito di ripudiarmi. Ma lui non vuole. Gli interessa solo sfruttarmi». La figlia Huda ha tredici anni, è nata in Italia, ha studiato in Italia, i suoi amici sono italiani, si sente italiana al cento per cento. Quando negli scorsi giorni Aisha, 43 anni, presa dalla disperazione è stata tentata di fuggire nella sua Tunisia, Huda l’ha implorata: «Mamma non voglio, io voglio vivere in Italia». Ed è così che Aisha si è decisa a rivolgersi alle autorità di sicurezza. Perché anche lei si sente italiana. Il suo sogno è ottenere la cittadinanza italiana, farsi tutelare dalle nostre leggi.

Il matrimonio con Mohammad, cittadino egiziano, da tempo disoccupato e tossicodipendente cronico, fu celebrato nel 1990 in un ufficio di attività varie, gestito da un somalo a Roma. Si trattò del cosiddetto matrimonio islamico «consuetudinario» ( zawaj urfi ), che non necessariamente deve essere registrato. Per l’Italia non ha alcun valore legale. Eppure, sullo stato di famiglia, Aisha e Mohammad risultano sposati. Esclusivamente sulla base della constatazione della residenza domiciliare operata da un vigile urbano. «Lui mi nascose il fatto che aveva già una moglie e due figli in Egitto», ricorda Aisha. «Per me fu uno choc. Anche perché ero appena venuta fuori da un altro matrimonio poligamico. Il mio primo marito era sempre egiziano. Pure lui quando ci sposammo nel 1985 celò l’esistenza di una prima moglie italiana, da cui aveva avuto una figlia. Ho imparato a mie spese che cosa significa la poligamia: menzogne, sfruttamento, sottomissione e violenze».

Aisha, con voce sommessa, rammenta come, assecondando l’incessante corteggiamento di Mohammad, sia stata costretta a rinunciare al suo primogenito Omar, oggi un bel diciottenne con cittadinanza italiana ottenuta dopo essere stato adottato dalla matrigna italiana. Per Aisha è stato un duro colpo: «Forse è stato meglio così. Se Omar fosse rimasto con me, chissà che brutta fine avrebbe fatto». Per spiegarsi meglio dice: «Un giorno ho scoperto Mohammad che versava una polverina bianca nel bicchiere dell’aranciata di Huda, dicendole di bere. Io mi sono opposta. E’ un uomo senza scrupoli, è una bestia. Sarebbe capace di dare in pasto la figlia agli avanzi di galera che frequenta, spacciatori e consumatori di droga. Più di una volta mi ha teso il coltello alla gola minacciando di sgozzarmi se non gli davo centinaia di euro per comprarsi la droga. Negli ultimi tempi ho dovuto chiamare l’ambulanza due volte perché aveva assunto una dose eccessiva di stupefacenti».

Oggi Huda si presenta come una ragazza fragile, dallo sguardo perso, succube di un trauma non metabolizzato, parla poco e con difficoltà. Come lei in Italia ci sono tantissimi figli di famiglie poligame abbandonati a se stessi, spesso maltrattati, talvolta sfruttati, comunque segnati da un’esperienza indelebile: «Dobbiamo recuperare questi ragazzi vittime della violenza familiare, predisporre un programma di rieducazione psichica e sociale - chiede Souad Sbai, presidente dell’Associazione delle donne marocchine -; lancio un appello al ministro delle Pari opportunità, Stefania Prestigiacomo, perché intervenga a tutela dei figli e delle donne musulmane vittime della poligamia e della violenza».
Di fatto l’Italia è piena di casi simili. E anche di più strazianti. Samira, una tunisina residente a Torino, da più di dieci anni non vede i suoi due figli sottratti con la forza dal padre egiziano e nascosti nell’abitazione della sua seconda moglie in Egitto. Pure lei implora l’intervento dello Stato italiano per restituirle i figli. Nel frattempo è costretta a subire le vessazioni del marito che vive da parassita alle sue spalle nel nostro Paese. E da Nuoro la marocchina Halima, seconda moglie di un connazionale, ha preso il coraggio di denunciare il fatto che il marito, nullafacente, si fa mantenere da entrambe le consorti e le costringe a condividere la stessa casa. I consolati arabi in Italia conoscono centinaia di casi che coniugano la poligamia alla violenza. Ma preferiscono tacere. Contando anche sulla ritrosia delle autorità italiane a intervenire.

Questo fenomeno rivela come in realtà il conflitto tra le culture sia interno alla galassia islamica prima ancora di esserlo tra l’Islam e l’Occidente. Il maschilismo, la misoginia, il fanatismo e la violenza sono fortemente contrastati dalle donne e dagli uomini musulmani fautori dell’emancipazione femminile e dello Stato di diritto. Ed è singolare che proprio nel momento in cui la poligamia risulta in declino nei Paesi musulmani, perfino in quelli più conservatori come l’Arabia Saudita, guadagna invece terreno tra le comunità islamiche in Italia e nell’Occidente laico e cristiano. Facendo leva su condizioni di vita relativamente migliori e tollerata da interpretazioni benevole di codici giuridici ipergarantisti. I casi di Aisha, Samira e Halima devono farci riflettere. Aiutandole a emanciparsi dai mariti-padroni, aiuteremo noi stessi a liberarci da un cavallo di Troia integralista e fanatico che inquina la nostra libertà e il nostro Stato di diritto.

di Magdi Allam
corriere
 
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Ishtar
view post Posted on 5/10/2005, 17:00




Dopo 25 anni le iraniane potranno guidare le due ruote Iran: casco e velo.

Le donne tornano in moto La misura potrebbe causare reazioni contrarie da parte di alcuni Ayatollah. Come gli uomini, dovranno superare un esame


TEHERAN - All'inizio degli anni '90 le vedevi coperte dai loro veli neri, ma finalmente libere di guidare un'automobile o di alzarsi un po' la gonna lunga per salire su un sellino della bicicletta. Dopo anni di proibizioni le donne di Teheran potevano ricominciare a guidare. Adesso per le iraniane, dopo 25 anni di divieto, c'è il via libera anche per guidare la motocicletta.
Lo dice il quotidiano panarabo al-Sharq al-Awsat pubblicato a Londra, precisando che secondo alcuni responsabili iraniani la misura potrebbe causare reazioni contrarie da parte di molti ayatollah. Un dirigente della polizia locale iraniana ha dichiarato che «alle donne non è vietato guidare la moto ma, come gli uomini, dovranno superare un esame e ottenere una licenza di guida che attesti il rispetto dei valori islamici».
Per «rispetto dei valori islamici» si intende che le donne dovranno indossare un vestito abbastanza ampio da coprire tutto il corpo, con sotto dei pantaloni. Il divieto di guidare le moto deriverebbe dal fatto che quel particolare mezzo è legato all'uomo. Frase che fa tornare in mente un commento fatto quest'anno da alcuni uomini alla prima donna pilota dell'Iran, ribattezzata la piccola Shumacher: «Perchè non vai a guidare la lavatrice?». Lei è Laleh Seddigh, 22 anni, occhi scuri e capelli rigorosamente coperti. A gennaio di quest'anno è salita sul podio dopo aver vinto una gara di formula Gran turismo. Alla premiazione indossò una palandrana scura e ovviamente, l'immancabile velo. Adesso continua a correre. E chissà che con le nuove leggi non decida di passare al motorally.
05 ottobre 2005

corriere.it
e vaiiiiii a tutto gassssssss w00t.gif
 
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verbenasapiens
view post Posted on 17/11/2005, 21:56




Essere donna in Arabia Saudita


Immagina di essere una donna. Quando nasce tuo fratello, le persone dicono: "E' nato un bambino grazie a Dio!". Quando nasci tu, invece, esclamano: "E' una femmina, ma se questa è la volontà di Dio...". (...) Immagina di essere una donna. Hai sempre bisogno del consenso del tutore e questo non soltanto per sposarti, come preteso dai giudici della materia islamica, ma per ogni aspetto della vita quotidiana. Non puoi studiare se non con il consenso del guardiano, anche se sei una dottoranda. Non puoi ottenere un impiego e nemmeno guadagnarti da vivere senza il suo permesso. (...) Immagina di essere una donna. Se subisci un assalto personale, percosse o sei vittima di un omicidio, quando i giornali pubblicheranno la tua foto assieme a quella dei colpevoli con la descrizione del reato, ci sarà ancora chi si chiederà se la vittima portava o meno il velo. Se lo indossava allora domanderanno: "Ma chi l'ha fatta uscire di casa a quell'ora?". E se invece è stato tuo marito a romperti le costole, allora esclameranno: "Avrà avuto un buon motivo per farlo!"
Immagina di essere una donna. Tuo marito ti ha rotto il naso, o un braccio, o una gamba e vai dal Qadi (giudice, ndr) a lamentarti. Lui ti chiederà dell'accaduto e gli risponderai: "Mi picchia". Allora il giudice ti dirà con un tono di disapprovazione: "Tutto qui?!". Le percosse sono pertanto considerate una realtà che vivono tutti i coniugi e gli amanti: "Picchiare l'amata è come mangiare l'uva".(...) Immagina di essere una donna che scrive su un giornale. Ogni qualvolta tratti le preoccupazioni femminili - le vostre vicissitudini, le vostre carenze, le vostre battaglie, le vostre condanne e i vostri processi - dicono di te: "Lasciatela perdere, tutto ciò che racconta sono solo discorsi da donne!" Fonte:Asharq al-Awsat (quotidiano indipendente con base a Londra, di proprietà saudita), tradotto da
Arabiliberali.it

questi sono problemi veri delle donne e mica solo musumulmane dato che tuttora anche da noi, per certi zitelloni in climaterio arroganti alcune di esse non posso manco porsi dubbi o interessarsi a certi fatti.Un farmaco, specie di quelli che agiscono in modo "violento" modificando l'equilibrio ormonale che è delicatissimo, almeno all'inizio deve essere valutato bene per efficacia e soprattutto SAFETY.
Mo' arriva rodomonte tartarin di tarascona a fare certe sparate cretine, le solite, quando isso non sa che per avere dati sulla reale safety in un farmaco ci vuole: a) un impiego su coorti di diversa etnia e patrimonio genetico b) ci vogliono perlomeno 10 anni di impiego continuativo.. .Gardate le rogne del Vioxx e pure per es del Tamiflu e allora: Onfalè fa el to mestiè e se qualcuna esprime dubbi...non totale chiusura ma dubbi, abbi almeno una volta un briciolo di intelligenza e TACI invece di fare isteriche sceneggiate da carenza cronica...e del resto della condizione delle donne musulmane che ti frega?Meglio interessarsi ad altro..che coinvolge più da vicino..no?

Edited by verbenasapiens - 17/11/2005, 21:58
 
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Maximus05
view post Posted on 18/11/2005, 21:55




L'autrice di Sumission sta per far girare un secondo film ma il regista sarà ignoto.Guarda te a che siamo ridotti dry.gif
 
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37 replies since 24/5/2005, 07:15   401 views
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