Il sofà delle muse

La donna e l'Islam, una catena interminabile di offese

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verbenasapiens
view post Posted on 30/5/2005, 20:12





ISLAM Una guerra senza fine sul corpo delle donne
Il libro scandalo di Ayaan Hirsi AliPer aver avuto a che fare con lei troppo da vicino Theo van Gogh è stato assassinato e poi sgozzato ritualmente: oggi in “Non sottomessa” racconta la storia della sua vita e denuncia chi la vuole morta


• da La Repubblica del 7 aprile 2005, pag. 7


di Adriano Sofri

Anticipiamo parte dell’introduzione che Adriano Sofri ha scitto per “Non sottomessa” (Einaudi, pagg, 120, euro 11,50) il libro di Ayaan Hirsi Ali di cui pubblichiamo un breve brano e che sarà in libreria dall’11 aprile.



Per introdurre questo libro avrei rimesso in ordine cose cui penso da tanto tempo. In breve, penso che sia in corso una guerra mondiale, ancora sparpagliata, per il controllo, e la riconquista, delle donne. Che il corpo delle donne sia il campo di battaglia e insieme la posta del famoso scontro di civiltà sembrava fino a qualche tempo fa un’idea balzana, o provocatoria: ora è quasi un’ovvietà. Ci siamo accorti che anche gli ultimi, quelli che non avevano da perdere che le loro catene, hanno da perdere almeno le loro donne. Quel che più conta, se ne sono accorti loro, gli ultimi: da quando le distanze si sono così accorciate da renderli spettatori di un mondo in cui le donne diventano padrone di sé. Dunque non varrebbe la pena di far ridire da una prefazione quell’ovvietà. Allora cercherò di scrivere cose più allarmate e allarmanti. Sulle minacce che incombono anche su noi, maschi ed europei autoctoni.



Theo van Gogh era un maschio e olandese autoctono. E’ stato ammazzato, non perché fosse una personalità eccentrica invadente e trasgressiva – lo era senz’altro – ma per aver avuto a che fare troppo da vicino con Ayaan Hirsi Ali. Da morto è stato sgozzato ritualmente, e sul suo ventre l’assassino ha conficcato con un coltello una meticolosa lettera, cinque fogli, di devote bestemmie e minacce feroci. Ha fatto da bacheca per il manifesto minatorio di quel fanatico islamista, che annunciava la condanna a morte di Ayaan Hirsi Ali, e qualche altro. Lei vive scortata e nascosta. Gli altri sono avvisati. Anche i suoi editori, i suoi traduttori, i suoi prefatori. Era già successo, dopo la fatwa khomeinista contro Salman Rushdie. A parte la benemerita protezione che gli accordarono il governo inglese e poi americano, gli si fece il vuoto intorno. Passaggi aerei cancellati, firme di solidarietà raccolte a fatica.



Ci fu una imponente manifestazione di viltà occidentale: passò un po’ più inosservata, perché sembrava ancora trattarsi di un caso singolare, legato alla figura d’eccezione di un romanziere famoso. E poi, “se l’era cercata”, coi suoi versetti satanici. Da allora in poi, diventerà sempre più un caso ordinario, di quelli che investono e minacciano di travolgere l’esistenza di gente comune, la gente occidentale che non si immischia. Che si fa i fatti suoi. Che ha dei fortuiti vicini di casa, o una commessa che non vuole mettere il velo.



Fino al 2 novembre del 004 non sapevamo chi fosse Ayaan Hirsi Ali, Theo van Gogh l’avevamo sentito nominare, per lo più, solo come il bravo fratello di Vincent van Gogh. Del suo esuberante pronipote non sapevamo pressochè niente, benchè in patria facesse scandalo, e passasse fra i competenti come un Fassbinder redivivo. Ma non è stata la sua versatile passione per la provocazione ad armare il giovane assassino. Non è stata la ripetizione dell’assassinio di Pim Fortuyn. Là l’omicida era un giovane fanatico ecologista e vagano, olandese di ceppo. Qua un marocchino di origine, olandese di nascita, 26 anni, diplomato, integrato fino a poco fa. Nemmeno di lui, Mohammed Bouyeri, avremmo sentito parlare. E’ facile al giorno d’oggi farsi un nome. Si è procurato addirittura 53 testimoni oculari – una bazzecola, direte, a confronto di Alì Agca.



La reazione prevalente fra i musulmani dopo l’attentato a van Gogh fu : “Se l’è cercata”. Se l’erano cercata, Theo van Gogh, e la sua ispiratrice. Il film sceneggiato da Hirsi si intitola Submission. Significa sottomissione, quella imposta alla donna, ma è anche la traduzione di Islam. Hirsi, la sceneggiatrice, aveva detto in pubblico:”Maometto era un pervertito, le musulmane si ribellino”. Seicento musulmani la querelarono. Nata a Mogadiscio, ha 36 anni: infibulata a sei anni, profuga in Arabia Saudita e poi in Kenya, scampata a un matrimonio combinato dal padre con un cugino. In Olanda è diventata parlamentare, prima per il partito socialdemocratico, poi per il partito liberale. Nel gennaio 2005 è tornata in parlamento, dopo aver trascorso mesi in una località segreta, negli Stati Uniti.



Subito dopo si è aperto il processo a Bouyeri, e il festival di Rotterdam ha cancellato la proiezione di Submission. Gli spettatori più affidabili dicono che non è un gran film, troppo esplicito, troppo manifesto. Undici minuti di contropropaganda.



I versi del Corano impressi sulla schiena nuda di donna accanto ai solchi delle frustate, si immagina bene che quell’espressionismo blasfemo faccia coprire gli occhi e giurare vendetta ai credenti. Tuttavia, non è abbastanza per dire; “Se l’è cercata”. Non è mai abbastanza. Qualcuno ha protestato: “Che cosa direbbero i fedeli cristiani se si rappresentasse così Gesù o la Madonna?”. Non so: so che è successo, succede neanche tanto di rado. Ci sono degli scandali, più o meno rumorosi, più o meno effimeri. Una mostra d’arte contemporanea denunciata in Polonia, un’altra sospesa in Grecia… (Ci fu un bel film di Pasolini grottescamente denunciato per vilipendio alla religione di Stato): Niente di più: e se ci fosse qualcosa di più, sarebbe un delitto.



(Guardate, ho appena citato Pasolini, e bisogna allora che ricordi quale fu la reazione più diffusa alla sua ultima notte. “Se l’è cercata”).



E’ vero che si stentò troppo a riconoscere la rivelazione dell’assassinio di van Gogh. Che campana suonasse, e per chi. E anche dopo, ci furono soprattutto riconoscimenti drammatici ma generici: il fallimento del multiculturalismo, e proprio nella tollerante Olanda… C’era un messaggio molto più specifico, e molto più seccante. Tenetevi alla larga dai nostri usi famigliari. Dalle nostre pie devozioni e dalle nostre frustate.



Non fateci un film. Non scriveteci libri, né articoli di giornale. Tenetevi alla larga dalle nostre donne. Se scappano, con la faccia rotta, e chiedono aiuto, voltatevi dall’altra parte. Del resto, è quello che in generale fate: ebbene, continuate. se no, un nostro giovane diplomato e devoto magari vi sgozza in pieno centro, e vi infilza un sermone nel panciotto.



“Penso di essere atea di natura, ho solo impiegato un certo tempo per trovare la mia convinzione scritta da qualche parte nero su bianco”. L’ho accennato: lo scandalo speciale di Hayan Hirdi Ali sta nel suo proclamato ateismo. “Ho accantonato Dio, e mio padre mi ha voltato le spalle”. Una dichiarazione di ateismo è nel mondo islamico decisamente più rara e impressionante che in quello cristiano. ancora più temeraria in una donna.



Letta la storia della sua vita, e di sua madre, e della sua tragica sorella, quell’impazienza appare inevitabile. Al tempo stesso, sembra paurosamente sproporzionata alla lunga marcia che la liberazione laica delle donne deve affrontare contro la corrente islamista.



Negli scritti di Hirsi troverete notizie interessanti, riflessioni sociologiche, discussioni delle tesi diverse sulle ragioni dell’arretratezza scientifica e culturale e della frustrazione psicologica nell’Islam moderno.



Ma la forza maggiore di questi scritti sta nella compenetrazione così intima fra le vicende personali di Hirsi e le sue posizioni politiche e culturali.



L’infibulazione procurata dalla nonna, le botte e lo scandalo della madre, l’abbandono del padre e il matrimonio imposto, la fuga dalla Somalia al Kenya all’Arabia Saudita e infine in Olanda, la sorella libera e intrepida, poi travolta dal senso di colpa e dalla conversione ortodossa, infine suicida – Hirsi non fa della sua giovane vita la premessa alla sua attività politica e sociologica: le fa coincidere, con una schiettezza e una sicurezza che incutono soggezione. Si tratta delle cose che le sono successe. Chiede di stare con lei o no. E’ come se lo chiedesse a ciascuno di noi, come persona. E alla nostra parte, se la nostra parte è la sinistra già progressista, o quello che ne resta. Lei è passata dalla sinistra alla destra. Non so se abbia fatto bene o male, non conosco la politica olandese, e me ne scuso. Vi segnalo subito però il problema imbarazzante posto dalla scelta di Hirsi.



Sinistra e destra in Europa pensano di distinguersi essenzialmente per l’apertura o la chiusura nei confronti degli stranieri. La sinistra è aperta, la destra è chiusa: oltretutto, da alcuni anni a questa parte, chiusa fino alla xenofobia e al razzismo. Ma lo schema è troppo semplice, ed è andato in pezzi, benchè non lo ammettiamo. (Nemmeno quando dobbiamo spiegarci l’esplosione del caso Oriana Fallaci ci teniamo al riparo della sua eccezionalità, perché la Fallaci sa volgere in un’annessione personale qualunque problema planetario). Hirsi avverte, a muso duro: non si tratta di simpatizzare con gli stranieri e specialmente con i musulmani contro chi li vuole al bando, si tratta di solidarizzare con le donne (e i bambini) straniere e specialmente musulmane contro i loro uomini padroni. Al partito socialdemocratico rinfacciò di rimuovere la repressione delle donne, di “continuare a trattare gli immigrati come un gruppo” omogeneo. E’ un tema ineludibile; benchè, una volta che lo si affronti, restino da trovare la misura e il linguaggio giusti. Una pigra correttezza politica distingue il riconoscimento della cultura altra (compresa la fede e la tradizione e il costume e la legge) dalla proclamazione arrogante della propria superiorità culturale. Ma il riconoscimento della cultura altra, nella forma della confidenza multiculturalista, ha toccato a volte non solo un fallimento di fatto, ma una bancarotta morale: l’indifferenza alle mutilazioni genitali, o la proposta di introduzione della sharia nelle vertenze famigliari musulmane.



Se cercassi di descrivere il profilo della mia autocertificata sinistra, baderei a questo: a una cordialità e ospitalità verso i migranti in cerca di una nuova casa e una nuova vita e, fra loro, alla solidarietà più fattiva e rigorosa con le donne che cerchino la propria incolumità, dignità e libertà personale. Con lo stesso criterio, guarderei alle cose del loro mondo d’origine.



Si tratta, lo capite bene, di qualcosa di più preciso e concreto che l’invocazione dell’”Islam moderato”.



Questo criterio è due volte essenziale. Esso guarda alla discriminazione di sesso, ma insieme alla concezione e alla pratica della sessualità. Che si tratti di donne, impedisce di considerarla come una questione di diritti delle minoranze, benchè l’abitudine a citare le donne nell’elenco delle minoranze svantaggiate o misconosciute sia dura a cedere. La discriminazione di sesso ha al fondo il controllo – famigliare, sociale, religioso e statale – della sessualità L’obiezione di donne ribelli al letteralismo islamico, alla confusione fra legge religiosa e statale, al costume civile, fa leva sulla libertà sessuale come il nucleo più profondo e sensibile della libertà personale. Hirsi, come al solito, lo dice con una brusca franchezza. “Per liberarsi come individuo, uno deve innanzitutto cominciare a pensarla diversamente sulla sessualità”.



Scegliere un criterio, un punto di vista, modifica di colpo il paesaggio cui si è abituati. Prendete l’ansioso paesaggio costituito dall’immigrazione in generale e dall’immigrazione islamica in particolare. Dal punto di vista di una giovane donna musulmana, esso può anche apparire come il più promettente degli orizzonti. Se è così, la questione diventa quella del rapporto fra noi – gli europei autoctoni, donne e uomini, salva verifica – e le giovani donne musulmane. Per esempio Hirsi. Sentite:



“L’unica vera speranza è che i musulmani comincino a fare autocritica e mettano alla prova i valori morali dettati dal Corano. Soltanto allora potranno liberarsi dalla gabbia in cui tengono prigioniere le loro donne e quindi anche se stessi. I quindici milioni di musulmani che vivono in occidente si trovano nelle condizioni più vantaggiose per trasformare questa speranza in realtà”. E gli europei ospitanti? Sono disposti, tutt’al più, a riconoscere che gli immigrati stranieri “sono una risorsa per l’economia”. (O, più a denti stretti, “per la demografia”). Non “una risorsa per la nostra civiltà”. Riluttano a immaginare che i musulmani che vengono tra noi possano essere “i nostri” – “le nostre”. E che a questa possibilità occorrerebbe ispirarsi.



Rallegriamoci di questa lusinghiera descrizione dell’occidente e dell’Europa.



Naturalmente, essa può impensierirci. Bisogna ammettere che il multiculturalismo, cioè la convivenza di culture diverse nel rispetto reciproco, spinto al punto di rassegnarsi a un regime di doppia o multipla legalità, pur scaturendo da un sentimento di generosità e di accoglienza, si traduca in sostanza in un opportunistico Quieto Vivere. Non vi sembri eccessivo che io azzardi un paragone con certi vecchi modi “antropologici” di convivere con la mafia. Parlo della doppia legalità, e del Quieto Vivere con una cultura dell’onore, per così dire, e con una intimidazione brutale da cui guardarsi. Non demonizzo certo l’islam, e tanto meno i musulmani, per i quali al contrario ,uno per uno, una per una, ho lo stesso rispetto e riguardo che ho per qualunque altra creatura umana. Alla bella idea secondo cui esistono tanti islam quanti sono i musulmani credo davvero, benchè vada ormai diventando piuttosto una frase fatta.
Il multiculturalismo è oggi ferito a morte non dalla critica teorica del relativismo culturale, ma dalla prova dei fatti. Bisogna correre ai ripari.
E però intanto non esagerare: il multiculturalismo, e in generale il relativismo, è una conquista preziosa della civiltà. “Non prendere il multiculturalismo alla lettera”, dice Irshad Manji, con una bella espressione. (non prendere niente alla lettera, insomma). Pessima è la sua trasformazione in un dogma – cioè l’imbecillità. Dopotutto, si tratta sempre della annosa vertenza sul cannibalismo. E sul limite. Il limite insuperabile sta nell’habeas corpus, nel diritto uguale per donne e uomini, nella libertà personale. Al punto della questione di Hirsi. Ci sono troppi luoghi nel mondo in cui professare la fede nel proprio Dio può costare la vita. Questa è un’infamia. Oggi colpisce spaventosamente i cristiani, e li condanna spesso al martirio, dall’Africa al Pakistan al Vietnam. Ma non è meno infame che a casa nostra, in Europa, una donna venga condannata a morte e braccata, da giudici e boia privati, per aver dichiarato di non credere in Dio. Che affronti il rischio del martirio, per testimoniare del proprio libero pensiero.
URL=http://www.radicali.it/view.php?id=32686]da radicali.it[/URL]
 
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verbenasapiens
view post Posted on 30/5/2005, 20:14






Qui' si può scaricare il film
http://www.radioradicale.it/approfondiment..._submission.wmv
ALTRI ARTICOLI QUI
caso submission
 
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Rachael
view post Posted on 30/5/2005, 20:25




CITAZIONE (verbenasapiens @ 30/5/2005, 21:06)
Orribile..ma sono in pochi quelli che si indignano per questi fatti..
Il sito rawa esiste ancora rach?

Si esiste ecco il link
RAWA
 
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verbenasapiens
view post Posted on 1/6/2005, 07:52




Iran: sit in delle donne contro discriminazioni elettorali(aki)

Teheran. 31 mag. - (Aki) - Dura reazione delle donne iraniane alla decisione della televisione pubblica di escludere dal primo dibattito elettorale, l'ex deputata Elahe Kulaii, portavoce di Mostafa Moin, candidato presidenziale dell'area riformista. La direzione della TV di Stato ha motivato tale decisione con il rifiuto degli altri portavoce, tutti uomini, di partecipare ad un dibattito alla presenza una donna.''L'esclusione della signora Kulaii dal dibattito- ha dichiarato Mostafa Moin- è un esempio delle discriminazioni con le quali devono fare i conti ogni giorno le donne iraniane''. Proprio per protestare contro le discriminazioni, le associazioni femminili e femministe hanno indetto per mercoledì un sit in davanti alla sede della Presidenza della Repubblica. Nel corso della manifestazione, prenderanno la parola, oltre a Elahe Kulaii, anche Azam Taleghani, una delle donne escluse dalle elezioni presidenziali, e alcune deputate della passata legislatura. Badressadat Mofid, giornalista parlamentare di Teheran, parlando con l'AKI-ADNKRONOS INTERNATIONAL afferma che ''l'esclusione di Kulaii, che oltre ad essere stata deputata è anche titolare di una cattedra universitaria, dimostra che molti politici iraniani non cercano di escludere le donne dal dibattito solo per ragioni puramente maschiliste, ma soprattutto per il timore di essere ridicolizzati, da una donna con maggiore preparazione politica e armata di argomenti convincenti''.
da legnostorto
 
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Rachael
view post Posted on 5/6/2005, 09:57




Arabia Saudita : feroce dibattito sulle donne al volante(osservatoriosullalegalità)

Nuovo dibattito in Arabia Saudita sulla concessione di diritti alle donne. In questo caso si tratta della possibilita' di mettersi alla guida di un autoveicolo.
La proposta ai legislatori di pensare a questa possibilita' ha scatenato una polemica feroce, che ha scagliato i sostenitori dei diritti delle donne contro i conservatori che credono che eliminare divieto per le donne di mettersi al volante sia anti-Islamico e conduca al permissivismo.

Ci sono stati duri attacchi a Mohammad al-Zulfa, l'ideatore di questa proposta, chiedendo che egli sia estromesso dal Consiglio consultivo, il braccio legislativo totalmente maschile nominato dal re, e perfino di privarlo della cittadinanza saudita.

Il suo telefono cellulare squilla costantemente per chiamate furibonde che lo accusano di consigliare le donne perche' non si velino e attuino una promiscuita' con gli uomini.
Alcuni lo minacciano di punizione da parte di Allah, altri lo accusano di essere guidato da istinti carnali.

I conservatori, che credono le donne dovrebbero essere protette dagli uomini sconosciuti, dicono che guidando saranno libere di andare a casa da sole ed andare quando e dove vogliono, esporre eccessivamente i loro occhi mentre guidano, interagire con uomini sconosciuti quali poliziotti e vigili urbani.

by www.osservatoriosullalegalita.org

legnostorto



se non fosse una tragica realtà per migliaia di donne, sembrerebbe una barzelletta.

E questo sarebbe il faro di luce che dovrebbe illuminare anche l'Occidente, grazie tanto preferisco la nostra candela...Santa donna la Fallaci e come ha ragione
 
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valmont74
view post Posted on 5/6/2005, 17:11






Certo che c'è tanto razzismo contro le donne nell'Islam ma da noi chi può dire che non ci sia discriminazione DI FATTO delle donne? Specie in certa sinistra che le accetta solo se fanno le oche a tempo pieno?
La Faranda a suo tempo disse che le BR aveva questo atteggiamento di disprezzo e discriminazione delle donne del loro gruppo che di fatto erano considerate come "vivandiere" nel pieno significato del termine credo..e allora perchè ci meravigliamo?
La discriminazione esiste ovunque: se parla un maschio , cretino eccome, lo si ascolta e gli si risponde, se parla una donna, puo' pittare il cielo, la luna e le stelle, sempre un essere inferiore è che si ascolta con degnazione..se si ascolta..
Felice di essere smentito da chi vuole
 
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Rachael
view post Posted on 8/6/2005, 08:41




Anche i Paesi arabi iniziano a limitare l’uso di alcuni abbigliamenti islamici Abu Dhabi vieta il velo alle impiegate Lo scopo è battere l’assenteismo negli uffici pubblici: molte dipendenti grazie all’anonimato lasciano il lavoro

A volte il mondo gira proprio alla rovescia. Mentre nell'emancipatissimo Occidente il velo islamico, anche nella versione integrale castigatissima, attrae una fetta di donne musulmane, tra cui delle convertite, nel maschilissimo mondo islamico cresce la denuncia e la diffidenza nei confronti di un abbigliamento che celando l'identità di chi lo indossa crea seri problemi sul piano della sicurezza e del controllo sociale.
Paradosso nel paradosso è il fatto che oggi sono gli uomini, detentori e gestori del potere nei Paesi islamici, a scagliarsi contro il velo integrale nel nome della realpolitik a dispetto della loro cultura misogina.
Per contro sono talune donne velate, anche le più istruite e socialmente altolocate, a battersi per la salvaguardia di un costume percepito come un dovere prescritto dal Corano e un diritto sancito dalla libertà individuale. Questo scontro sul velo integrale, chiamato burqa in Afghanistan ma che nella versione più diffusa è noto come niqab, era esploso già anni fa in Egitto all'interno delle università, dove i rettori e i presidi si sono trovati costretti a reagire di fronte all'impossibilità di verificare l'identità reale delle studentesse che si presentano a sostenere gli esami.
Così come c'è stata la decisione delle autorità del Kuwait di vietare la guida alle donne con il niqab, per ragioni legate esclusivamente alla sicurezza stradale, dato che l'unica fessura all'altezza degli occhi impedisce la visuale a 180 gradi, in aggiunta al fatto che in caso di infrazione al codice è impossibile individuare i tratti somatici della donna. Più recentemente i responsabili della sicurezza in Arabia Saudita hanno lanciato un'offensiva contro il niqab dopo la scoperta che diversi terroristi islamici lo usano per camuffarsi e eludere indenni i posti di blocco o le perquisizioni negli edifici sospetti che si sono intensificate parallelamente all'aumento degli attentati terroristici nel Paese.
Ed è di qualche settimana fa la decisione dell'Ente di gestione dell'amministrazione pubblica di Abu Dhabi, la capitale degli Emirati Arabi Uniti, di proibire il niqab in tutti gli uffici della pubblica amministrazione. Ufficialmente per combattere la piaga dell'assenteismo incontrollabile. Le impiegate, dopo aver timbrato il cartellino, si dileguano nel nulla avvolte e protette dal niqab. Una decisione che è stata avallata dallo sheikh Ahmad al-Kabisi tramite una fatwa, un responso giuridico, in cui il dignitario islamico spiega che il niqab sarebbe prescritto alle sole donne del profeta Mohammad (Maometto): «La gente ha il diritto di riconoscere l'identità della persona con cui deve trattare affinché non si senta ingannata. L'obbligo del niqab ricadeva solo sulle mogli del profeta perché loro sono le madri di tutti i fedeli. Manessun'altra donna ha questi requisiti ».
La conclusione del giureconsulto islamico è netta: «Il mostrare il proprio volto al pubblico è consentito dall'islam ed è imposto dalle esigenze del lavoro. Le donne che non sono d'accordo si cerchino un altro lavoro in cui non siano costrette a mostrare il volto». Il settimanale femminile saudita Sayidaty ha raccolto il parere critico di alcune avvocatesse di Abu Dhabi. Laila Issa al-Mahri ha confessato di essere rimasta scioccata: «La gran parte delle donne degli Emirati indossa il niqab. Si tratta di una violazione della libertà individuale. Che differenza c'è tra l'interdizione del niqab negli Emirati e il divieto del hijab (un semplice copricapo) in Francia?».
Riemerge la disputa teologica sulla prescrizione del velo basata su interpretazioni differenti dei versetti coranici. Ad esempio Bausani, il maggior islamologo italiano, traduce così il versetto XXIV, 30-31: «E dì alle credenti che abbassino gli sguardi e custodiscano le loro vergogne e non mostrino troppo le loro parti belle, eccetto quel che di fuori appare e si ricoprano i seni d'un velo (khumur)». Viceversa nel Corano dell' Ucoii (Unione delle comunità e delle organizzazioni islamiche in Italia) si legge: «E dì alle credenti di abbassare i loro sguardi ed essere caste e di non mostrare, dei loro ornamenti, se non quello che appare; di lasciar scendere il loro velo fin sul petto».
Si nota la differenza tra un velo che ricopre solo i seni e un velo che avvolge dalla testa fino ai seni. Maal di là dell'annosa e irrisolta disputa teologica si sta affermando, all'interno stesso dei Paesi musulmani, una corrente di pensiero che fa prevalere il pragmatismo sull'ideologismo, l'interesse della collettività sulla faziosità confessionale. Ebbene se sono gli stessi musulmani che a casa loro tendono a far proprio lo stato di diritto, perché mai l'Occidente dovrebbe derogare sul rispetto delle sue leggi nel nome di una presunta diversità dei musulmani? Magdi Allam
08 giugno 2005
Corriere.it

Ah se fosse successo qui, i soliti tromboni dallla carità pelosa, avrebbero gridato al razzismo
 
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verbenasapiens
view post Posted on 8/6/2005, 14:48





Beh Castelli ha detto una cosa simile qualche giorno fà..lo hanno quasi linciato..
 
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Rachael
view post Posted on 8/6/2005, 18:23




Castelli si riferiva alla legge che vieta di coprire il volto per ragioni di sicurezza... non ha detto chissà cosa.
Il fatto, che come fa notare Magdi Allam, che è islamico e non leghista, se sono gli stessi musulmani che a casa loro tendono a far proprio lo stato di diritto, perchè mai l'Occidente dovrebbe derogare sul rispetto delle sue leggi nel nome di una presunta diversità dei musulmani?

Mi sembra una cosa tanto lapalissiana...bisogna avere un micro-encefalo per tacciare di razzismo chi si attiene al rispetto della legge.
 
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verbenasapiens
view post Posted on 8/6/2005, 20:19






Rach ma lo sai che tutto in Italia è strumentalizzato..non sarà parso vero ai soliti, dare addosso a Castelli...
 
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Rachael
view post Posted on 19/6/2005, 18:30





Submission 2

Nonostante abbia ricevuto minacce di morte e sia quindi costretta a vivere in clandestinità sotto stretta protezione, Ayaan Hirsi Ali ha deciso di sfidare gli integralisti islamici girando la seconda parte del cortometraggio Submission.
“Non girare la seconda parte del film perché Theo van Gogh è stato assassinato sarebbe uno sbaglio”, ha detto la Ali ai microfoni della BBC.
Molti intellettuali olandesi accusano la deputata di avvelenare l’atmosfera politica con le sue dichiarazione non politically correct sulla religione islamica e sul profeta. Tale comportamento sconsiderato, sostengono, contribuisce a fomentare quella violenza che lei stessa cerca di combattere. Per inciso: denunciare le discriminazioni e la violenza perpetrate da alcuni islamici, sia nei paesi governati dalla Sharia che in Occidente, provoca la suscettibilità di alcuni musulmani, obbligati poi a ricorrere alle intimidazioni e alla morte pur di difendere il loro credo.
Nel 2003, in un’intervista, Ayaan Hirsi Ali affermò che “secondo l’odierno senso della morale occidentale, Muhammad è da considerarsi un tiranno e un pervertito avendo sposato una bambina di otto anni”. Queste dichiarazioni scatenarono l’ira delle comunità islamiche, alimentate in seguito da Submission, considerato osceno e non corrispondente alla realtà, e sfociate in un omicidio.
Con tali presupposti, ha senso girare la continuazione del cortometraggio?

link

Per me ha senso eccome, non farlo equivarrebbe a dimostrare che la "politica" della violenza funziona, e saremmo sempre soggetti al ricatto.
Inoltre é giusto che l'Occidente non volti la testa dall'altra parte di fronte a ciò che succede nell'Islam radicale, é giusto aiutare chi rischia la vita per denunciare violenza e la discriminazione.
 
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verbenasapiens
view post Posted on 20/6/2005, 06:49




Arabia Saudita e dintorni: donna al volante...

Uno dei cardini su cui si fondano le società islamiche tradizionali è lo stato di assoggettamento delle donne. Ogni minimo cambiamento che riguardi la condizione femminile merita quindi la massima attenzione.
Di notevole rilevanza sono una serie di notizie giunte dal Kuwait negli scorsi giorni. A sorpresa, a maggio, il Parlamento ha approvato, con 35 voti a favore, 23 contro e un'astensione, una legge che riconosce alle donne i diritti elettorali passivi e attivi di cui erano state private nel 1967 con l'indipendenza del Paese. Dovranno attendere le legislative del 2007 per poterli esercitare, perché non è stato possibile renderli effettivi per l'appuntamento elettorale del 2 giugno, con il quale i kuwaitiani hanno scelto 10 dei 16 componenti dell'unico consiglio municipale dell'emirato. Però sono donne, entrambe ingegneri, due dei sei membri del consiglio nominati dal governo. Infine, l'11 giugno, per la prima volta una donna ha ottenuto la carica di ministro. Si chiama Massouma Mubarak, è docente universitaria, si batte per i diritti delle donne e dirigerà il ministero della pianificazione e dello sviluppo degli affari amministrativi.

In Qatar è entrata in vigore il 9 giugno la nuova Carta costituzionale permanente che era stata approvata a maggio con un referendum popolare. Sostituisce finalmente quella transitoria in vigore dal 1972 e tra le innovazioni più significative annovera la separazione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. Inoltre introduce la parità di diritti e doveri tra uomo e donna, principio reso possibile dal fatto che la religione islamica e il diritto coranico, la shari'a, sono indicati come i principali - ma non unici - fondamenti del diritto. Come ha sottolineato Gamal Yahya, l'esperto egiziano di diritto costituzionale che ha collaborato alla stesura del testo della Carta, l'acquisizione di pari diritti da parte delle donne differenzia ora il Qatar da tutti gli altri Stati arabi: la nuova Costituzione apre ai cittadini del Qatar l'accesso a «una nuova era di democrazia basata sulla libertà d'espressione, sul potere della legge e sull'uguaglianza tra tutti i cittadini, indipendentemente da razza, colore, origine e sesso» (MISNA, 10/6/2005).

Meno elevati intenti hanno ispirato un provvedimento preso qualche settimana fa negli Emirati Arabi Uniti, dove l'amministrazione pubblica della capitale, Abu Dhabi, ha proibito alle proprie impiegate di indossare il niqab, il velo integrale simile al burqa afghano: affinchè gli utenti sappiano con chi stanno parlando, ma soprattutto per combattere la piaga dell'assenteismo che il velo rende incontrollabile.
Per questioni di sicurezza stradale, ancora in Kuwait, alle donne che indossano il niqab invece è stato proibito di guidare perché la sottile fessura all'altezza degli occhi non consente una visuale di 180 gradi, senza contare che in caso di infrazione al codice stradale non è possibile identificare la responsabile.

Il problema non si pone affatto in Arabia Saudita dove, nonostante un acceso dibattito, le autorità non hanno accettato di eliminare la norma che proibisce alle donne di guidare l'automobile. In compenso il gran mufti Sheik Abdul al Sheik, massima autorità religiosa del Paese, ha dichiarato che non è lecito costringere una donna a sposarsi contro la sua volontà e anche impedirle di unirsi a un marito di sua scelta, con ciò delegittimando i matrimoni forzati che sono pratica tradizionale in gran parte del mondo non solo islamico. A marzo, inoltre, il capo del dipartimento di stato civile ha annunciato che entro il 2006 tutte le donne dovranno avere una carta d'identità con la loro fotografia: un passo avanti enorme, se si considera che adesso a provare l'identità di una donna, posto che la sua nascita sia stata registrata, sono solo il passaporto, riservato a pochissime, e una carta di famiglia indicante unicamente il suo nome. Va ricordato, per capire l'arretratezza dello Stato saudita in fatto di diritti umani, civili e politici, che a febbraio si sono svolte, ovviamente riservate alla popolazione maschile, le prime elezioni nella storia del Paese.

Per finire, due notizie dal Pakistan. La prima è negativa: il Parlamento ha respinto, definendola anti-islamica, la proposta di inasprire, e soprattutto rendere più certe, le sanzioni per chi commette omicidi d'onore, escludendo la possibilità di conciliazione e compromesso. L'aspetto positivo della seconda notizia è che a Lahore, il 14 maggio, è stata organizzata una pubblica protesta contro le violenze istituzionalizzate inflitte alle donne; quello negativo però è che la polizia ha reagito violentemente, arrestando anche alcuni partecipanti, non per porre fine alla manifestazione, ma per impedire alle numerose donne che vi hanno aderito di sfilare per le strade della città, mescolate agli uomini.
Vale la pena di porsi una domanda non oziosa: se in Afghanistan comandassero ancora i talebani e in Irak Saddam Hussein, si sarebbero comunque intrapresi questi passi avanti verso istituzioni più democratiche e rispettose dei diritti della persona?

da legnostorto

Il mondo si evolve e la civiltà pure( insomma) Direbbe Bassolino passo dopo passo..e allora seguiamo con fiducia questi fatti anche se il cammino è lungo, impervio e pieno di insidie
 
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Rachael
view post Posted on 22/6/2005, 14:08




Sherazade, ventuno anni
perseguitata dalla nascita


SHERAZADE. Così la chiamano gli amici italiani quando vogliono evitare di usare il suo vero nome, che è molto più breve, molto meno evocativo. Accade spesso perché Sherazade, nonostante i suoi ventuno anni, è un nemico del governo iraniano. Oltre ad essere una donna, e questa è un'aggravante.

Ma anche se non avesse questo nickname da “Mille e una notte”, sarebbe difficile vedere in Sherazade una militante politica clandestina. Non l'ha scelto. Altri lo fecero per lei quando ancora non era venuta al mondo e suo fratello - che aveva diciotto anni - fu condannato a morte.

Sherazade lo seppe non appena fu in grado di capire. Ma, ancora prima di capire, di quella morte respirò l'aria. Erano stati una famiglia normale. Il padre ufficiale dell'esercito, la madre casalinga. Buoni rapporti con i vicini, una certa vita sociale. Anche il benessere. Era stato l'arresto di Sayed a distruggere tutto quel mondo e a creare quello che lei aveva trovato.

I genitori separati, le sorelle maggiori senza sorriso. Alcune cose le seppe subito. Per esempio che il padre, quattro mesi dopo l'esecuzione di Sayed, aveva perso la divisa e il grado ed era per questo che quando lei l'aveva conosciuto faceva, senza alcun entusiasmo, l'ingegnere. Era la sua laurea, e aveva dovuto metterla a frutto per mandare avanti la famiglia.

Altre cose le seppe dopo, e le confermarono quello che, in effetti, aveva sempre pensato: era nata con un peso gigantesco da sostenere. Il peso di rancori che, quando va male, si ha alla fine della vita, lei se l'era trovato bello e pronto fin dall'infanzia. Il padre era stato obbligato ad assistere all'esecuzione di Sayed. La madre no, ma solo perché era incinta. La vendetta non era stata una scelta, ma un dovere di sopravvivenza.

Così quando Azar, che ha appena un anno più di lei, improvvisamente scomparve da casa, fuggì dall'Iran e dopo molti giorni le scrisse d'essere arrivata in un paese europeo, l'Austria, dove sarebbe rimasta per sempre, Sherazade capì che toccava a lei e prese il posto della sorella.

Piccole missioni. Un mazzo di volantini da lasciare in un angolo della strada, qualche cauto sondaggio tra le amiche per capire se c'era la possibilità di reclutarne qualcuna. Poi la scuola, i giorni passati a studiare con rabbia. Era una delle migliori della classe, ma le negarono, senza spiegazioni, l'iscrizione all'università.

Ancora non ha capito se fu una spiata. Sa solo che stava per rientrare come al solito a casa quando un amico del padre la fermò per strada e le disse di tornare indietro. C'era stata una perquisizione, avevano trovato i volantini, e l'altra sorella, Manna, era stata arrestata.

Di quel che accadde dopo, Sherazade conserva nella memoria frammenti confusi. La cosa che ricorda di più è il buio di un camion pieno di scatoloni di cartone. Era parcheggiato in qualche punto del confine turco, dove era arrivata assieme ad un uomo e ad una donna fuggiti assieme a lei dopo aver attraversato l'Azerbajan iraniano prima in macchina e poi a cavallo. Ricorda che ogni tanto il camion si muoveva, poi si fermava. Fece una sosta più lunga e, improvvisamente, si rimise in moto. Per pochi minuti. Poi il rumore del motore cessò. Ma ugualmente il camion si muoveva: in modo strano, come se dondolasse. Ricorda la paura d'essere scoperta, il respiro trattenuto mille volte.

Erano passati quattro giorni quando vide la luce del sole e le dissero che si trovava in Italia. Quelle oscillazioni erano il movimento del traghetto dove il camion era stato caricato per compiere l'ultima parte del viaggio.

Poco meno di un anno fa, Sherazade ha avuto l'asilo politico. E' uno dei 15.000 rifugiati che si sono fermati da noi. Uno dei più giovani. Vive a Roma, si è fidanzata con un ragazzo iraniano. Sente la musica che vuole, vede la tv satellitare. Apprezza cose delle quali non aveva neanche avuto modo di sentire la mancanza. Chi conosce “Leggere Lolita a Teheran” di Azar Nafisi, ha un termine di paragone per comprendere la situazione di Sherazade: a lei nemmeno quella condizione di clandestinità dei sogni era concessa.

(La storia di Sherazade ci è stata raccontata dall'ufficio italiano dell'Unhcr, l'Agenzia dell'Onu per i rifugiati)

Repubblica.it
 
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Rachael
view post Posted on 1/7/2005, 11:26




Come vivono le donne in Arabia Saudita

A Riad, nell'Arabia Saudita, le donne non godono certo di privilegi.
Non possono guidare l'automobile, non possono votare, non possono partecipare alla vita pubblica del Paese, devono rispettare severe regole di abbigliamento, per viaggiare devono avere il permesso scritto di un parente maschio, non hanno diritto ad avere una carta d'identità personale.
Riad ha sottoscritto solo nel 2000 la Convenzione ONU sui Diritti delle Donne, ratificata con riserve, ma le donne di fatto sono tuttora soggette ad una serie di restrizioni.
Ora è arrivato il decreto per consentire solo alle donne di vendere biancheria intima femminile e lo ha deciso il Ministro del Lavoro Ghazi al-Qosaibi, decretando la rimozione di tutto il personale maschile dai negozi che trattano articoli di intimo femminile.
I commercianti dovranno inoltre sistemare i negozi allo scopo di prevenire sguardi di chi è fuori verso l'interno e per prevenire qualsiasi interazione con gli uomini. Inoltre l'imposizione agli esercizi commerciali di approntare speciali entrate separate per le donne.

In Iran, invece, dopo la vittoria di Ahmadinejad, che ha dichiarato : "la rivoluzione sono io ", per prima cosa ha fatto chiudere i fast food e ha chiesto agli impiegati maschi di farsi crescere la barba e indossare abiti con maniche lunghe, e gli ascensori dovranno essere divisi , uno per sole donne, l'altro per solo uomini, così non cederanno alle tentazioni sessuali.
E così l'ayatollah Khomeini comanda anche da morto. Lui voleva riportare il suo paese al medioevo è c'è riuscito.
Trionfa l'Islam che è da temere perché il nuovo leader ha detto sì al fondamentalismo e all'atomica e nessuna ingerenza da parte degli USA. Addio alle riforme e all'islam moderato, avanti con le atomiche e col sostegno al terrorismo in medio Oriente.
Sarà favorito il rapporto già avviato con Mosca e Putin, congratulandosi con il neo presidente iraniano, ha detto di essere pronto ad ampliare la sua cooperazione con l'Iran nel settore nucleare. La Russia ha già contribuito alla realizzazione di un impianto nucleare nella città portuale di Busher, nell'Iran meridionale.
Tali dichiarazioni non mancheranno di suscitare lo scontento di Washington e Bush , nella tarda serata di lunedì ha dichiarato: " le ambizioni nucleari di Teheran sono inaccettabili ".
Dovremo affrontare un'altra guerra ? Tutto è possibile !
Ercolina Milanesi


legnostorto


Queste sono notizie veramente scoraggianti, e il comportamento di Putin pericoloso.
 
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verbenasapiens
view post Posted on 1/7/2005, 14:17




Scusate..ma in queste condizioni un maschio normale come campa?
Già perchè povere donne, ma pure poveri uomini a questo punto..Appena vedranno una donna meno abburquata o intabbarrata che fanno? Le zompano addosso?
Oppure ci sono anche lì, e sono ammesse, cause chiuse?
 
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37 replies since 24/5/2005, 07:15   401 views
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