La cura del gorilla
di Carlo A. Sigon
con Claudio Bisio, Stefania Rocca, Ernest Borgnine, Antonio Catania, Fabio Cavilli, Bebo Storti, Gisella Sofio, Kledi Kadiu, Gigio Alberti (Italia 2006)
La riuscita a metà di questo film dovrebbe spingere a riflettere sui rapporti tra cinema e pubblicità e soprattutto sull'idea, sempre più fallace, che un bravo regista di spot (Sigon è considerato tale) possa essere per questa stessa ragione un bravo regista di film.
Che cosa non funziona nel film tratto dall'omonimo romanzo di Dazieri? Per prima cosa mi verrebbe da dire proprio l'idea di cinema, la convinzione che un primissimo piano sia più efficace di un piano medio, che la voce fuori campo possa “spiegare” e non solo limitarsi a “far capire” un po' meglio la trama, che la sottolineatura sia da preferire all'allusione o alla sorpresa, che la citazione cinefila crei con lo spettatore una qualche forma produttiva di complicità…
Il vero difetto del film mi sembra infatti quello di non credere fino in fondo al materiale di partenza e nel volerlo "abbellire" con tutta una serie di stereotipi cinematografici che dovrebbe fare tanto noir-post-moderno-ma-impegnato-politicamente secondo una logica di prodotto che pensa prima al suo potenziale pubblico e poi a quello che dovrebbe o potrebbe dire.
Perché elementi interessanti ce ne sono e non solo nell'idea della doppia personalità (bonaria e un po' masochista l'una, aggressiva e decisamente sadica l'altra) del guardaspalle con aspirazioni da detective che è al centro della storia. L'idea di radicarlo all'interno di una realtà provinciale avrebbe potuto produrre ben di più che qualche frase fatta sulla borghesia che si chiude dentro le villette o sui razzisti che raccolgono firme sotto i portici.
Il passato “extraparlamentare” del protagonista è lo spunto per una delle scene più riuscite (quella dello spinello "come ai tempi del liceo" con l'hacker e il commissario) ma perché far fare a Gigio Alberti l'ennesima parte di freak fumato e leoncavallino e all'impettito Bebo Storti quella del poliziotto con qualche scrupolo? Non sarebbe stato meglio - per gli attori, per il film, per il pubblico - invertire i ruoli in nome di una minor prevedibilità? È vero che Orson Welles sosteneva che ci sono attori destinati a interpretare i re (cioè che ci sono dei ruoli che si adattano "d'istinto" alle facce delle persone) ma poi invece dei re interpretava, e forse meglio, i buffoni, i poliziotti alcolizzati, i nazisti in incognito.
Perché il cinema può e deve andare contro la prevedibilità. A differenza della pubblicità che invece sulla prevedibilità e sulla facilità di identificazione ha costruito la forza del suo linguaggio. Ma La cura del gorilla dovrebbe essere cinema, non pubblicità… Si potrebbe continuare con la parrucca troppo parrucca di Catania (pensate a cosa faceva Danny DeVito con un personaggio simile in L'uomo della pioggia), con l'eccessivo schematismo in cui è costretta Stefania Rocca (che pure, da un po' di film a questa parte, sta dimostrando notevoli potenzialità espressive), con il grande Ernest Borgine, obbligato dentro una parte che lui stesso, ai tempi d'oro di Hollywood, avrebbe fatto completamente riscrivere…
Certo, Bisio ha una comunicativa immediata e una varietà espressiva capace di tenere sulle spalle buona parte del film, l'idea di un noir padano che scava nelle contraddizioni del nostro sviluppo e della nostra idea di modernità è stimolante, mescolare la commedia al giallo può anche funzionare, ma quando il cattivo si arrende e nell'inquadratura spuntano due cactus mentre la colonna sonora scimmiotta la musica di Morricone, allora le braccia cadono rumorosamente, e definitivamente, per terra.
Per sesso o per amore?
di Bertrand Blier
con Monica Bellucci, Bernard Campan, Gérard Depardieu, Jean-Pierre Daroussin, Edouard Baer, Farida Rahouadj, Sara Forestier (Francia/Italia 2005)
L’ultimo film di Bertrand Blier, un regista che in Francia gode di una fama insospettata in Italia, è costruito su una scommessa: è possibile raccontare oggi, in pieno postmoderno, una storia d’amore cose sembra uscita da un melodramma lirico ottocentesco? Mi spiego meglio: il film racconta la storia di un piccolo borghese che si innamora di una prostituta e le chiede, a pagamento, di andare a vivere con lui. Ricorda molto la Traviata, vero?
E come un'opera lirica è costruito il film, con la medesima ingenuità melodrammatica, la stessa dose di irrealtà nel descrivere i personaggi, nel usare le luci, i colori. Poi, all'improvviso, i dialoghi diventano improvvisamente moderni, anzi, post moderni, ironici, taglienti: si capisce che il regista sta giocando con gli stereotipi (dell'amor sacro e dell'amor profano, del sesso e della passione) su cui ha costruito il film. Come a voler prenderne le distanze, a volerci scherzare sopra, a innescare una riflessione sulla riflessione. Salvo poi tornare all'ingenuità melodrammatica dell’opera lirica, quella dove le passioni non si possono combattere, i destini sono sempre incombenti, lo strazio sembra senza rimedi. Un giochino, insomma, che va bene per dieci minuti ma poi francamente stanca e che nemmeno la bellezza matriarcale della Bellucci, nuda sì ma non troppo, riesce a far digerire.
Bambi 2 – Bambi e il grande principe della foresta
di Brian Pimental
(Usa 2005)
Più che un remake, questo numero due sembra una specie di rifacimento sessant'anni dopo. Certo, qui la scena della morte della madre da parte dei cacciatori è ricordata all'inizio del film e Bambi deve fare i conti con un padre più preoccupato dei propri compiti di capobranco che dei doveri di genitore. Ma il percorso di maturazione è sempre lo stesso raccontato nel libro di Felix Salten, scandito dal susseguirsi delle stagioni e intervallato dalle avventure con gli amici Tippete e Fiore. E anche il nuovo venuto, l'irruente e aggressivo Ronno, non serve a innescare nuove e originali avventure ma piuttosto a misurare il livello di autonomia e di maturità conquistato da Bambi.
Piuttosto è curioso lo stile con cui il film è realizzato: invece della tecnologia digitale che tende a dare a tutto un tocco un po' plasticoso, questo Bambi 2 è stato disegnato interamente a mano (con l'esclusione di qualche fondale), come si faceva una volta. E infatti il disegno è più morbido, più tradizionale forse ma anche molto più gradevole. E per i bambini che andranno a vederlo potrà essere una salutare tuffo dentro uno mondo figurativo finalmente non standardizzato.
di Paolo Mereghetti
nel link ci sono anche i trailer
http://www.corriere.it/Rubriche/Cinema/?fr=tcol