Il sofà delle muse

Week-end al cinema, i film della settimana

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antoine doinel
view post Posted on 2/7/2005, 06:45




Spero di vederlo stasera.Un film di spielberg è sempre un grande evento
Ah sono nuovo..ho letto il vostro forum e mi è piacuto per la pacatezza dei toni e per l'assoluta mancanza di becera aggressività
 
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Rachael
view post Posted on 2/7/2005, 13:26




Ciao Antoine e grazie
Mi sembra che interloquire con le persone con pacatezza e rispettando l'altrui pensiero, sia il minimo...qui nessuno "fa la voce grossa" solo perchè crede di essere superiore.
 
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antoine doinel
view post Posted on 3/7/2005, 07:42




Grazie per l'accoglienza.
Come potrete intuire dal mio nick adoro Truffaut, uno che viveva di cinema e per il cinema ma rendendo partecipi anche gli altri con storie dolci, malinconiche,amare,tristi, belle...ma universali, senza masturbazioni mentali .
Cinema per sè e er la gente ecco..Per questo mi piace molto anche Spielberg
 
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Pontormo
view post Posted on 16/7/2005, 07:28





I film di questo we sono qui

da cinematografo.it

 
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verbenasapiens
view post Posted on 16/7/2005, 10:49






Per gli sfaticati..

Weekend al cinema
Di Cinematografo.it



BUFFALO SOLDIERS
genere: western
di Gregor Jordan
con Joaquin Phoenix, Anna Paquin

distrib. Buena Vista

Ray Elwood viene condannato a effettuare il servizio militare, altrimenti dovrà farsi qualche
anno di prigione. Arriva così in una base americana stanziata in Germania e viene messo alle dipendenze del colonnello Berman. Siamo nel 1989 e il muro di Berlino deve ancora essere abbattuto, così Ray sfrutta la sua esperienza di uomo della strada per guadagnarsi qualche soldo extra con il mercato nero e con il traffico di armi e droga. Le cose si mettono male quando un soldato della base viene trovato morto per overdose, si apre un'inchiesta e le indagini vengono affidate al sergente Lee, giunto nella base in compagnia della figlia Robyn.

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BLUEBERRY
genere: avventura/western
di Jan Kounen

con Vincent Cassel, Juliette Lewis, Michael Madsen
distrib. Moviemax

Mike Blueberry, sceriffo nella città di Palamito, con l'aiuto del fratello sciamano Runi, si prepara a fronteggiare il misterioso killer Wally Blount giunto in citta' per ritrovare un tesoro appartenente ai pellerossa. Attraverso una dura battaglia, Blueberry cercherà di sconfiggere non solo il
malvivente ma anche i suoi demoni personali, e ritrovare così le proprie radici.

IL QUINTO IMPERO

genere: drammatico
di Manoel De Oliveira
con Ricardo Trepa, Luis Miguel Cintra
distrib. Mikado

Nel
1578, il 24enne re Sebastiano, sovrano del Portogallo, organizzò una lussuosa spedizione verso il Marocco per combattere gli "infedeli". Fu l'ultima crociata: il 4 agosto l'esercito portoghese fu distrutto dai Mori ad Alcazarquivir. Tutti i nobili morirono sul campo e il corpo del re non fu mai più ritrovato. Il regno sprofondò in una desolazione insopportabile e da allora colui che era stato "il desiderato" per la sua nascita tanto attesa, divenne "il nascosto", un messia che sarebbe dovuto tornare a riportare pace e gloria alla sua terra.

LAND OF THE DEAD
genere: horror
di George A. Romero
con Dennis Hopper, John Leguizamo, Asia Argento
distrib. Uip

I morti viventi hanno invaso il mondo. I pochi esseri umani sopravvissuti si sono rifugiati in una città fortificata dove i ricchi abitano in alti grattacieli difesi e sigillati, mentre i più poveri combattono per la sopravvivenza nelle strade, protetti solo da un enorme carro armato in grado di intercettare e distruggere gli zombie, che nel frattempo si stanno organizzando in un pericoloso esercito.

LORDS OF DOGTOWN

genere: azione
di Catherine Hardwicke
con Heath Ledger, Nikki Reed
distrib. Sony

Una docu-fiction che narra la storia dei celebri skateboarders noti come Z-Boys, un gruppo di adolescenti di Venice, in California, entrati nella
leggenda degli sport estremi. Tony Alva, Jay Adams, Stacy Peralta, i ragazzi dello Zephir Shop e il loro mentore Skip Engblom, negli anni '70 decisero di unire le straordinare evoluzioni fatte con la "tavola da surf" all'arte metropolitana della "tavola a rotelle", utilizzando come piste le piscine vuote degli ignari abitanti della zona chiamata Dogtown.

HOTEL

genere: drammatico
di Jessica Hausner
con Franziska Weiss, Rosa Waissnix
distrib. EP Production


Irene trova lavoro al ricevimento di un albergo nelle Alpi austriache e dopo qualche tempo scopre di essere stata assunta per sostituire una ragazza scomparsa in circostanze misteriose. Ogni suo tentativo di scoprire la verità si scontra con
l'indifferenza e l'ostilità dei colleghi. Il sospetto che le si nasconda la realtà dei fatti viene sostituito dalla sensazione di essere minacciata.

Per ulteriori informazioni visita Cinematografo.it

link
 
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verbenasapiens
view post Posted on 11/11/2005, 20:31




Nelle sale il favoloso Terry Gilliam, "La seconda notte di nozze",
la commedia "In her shoes", corruzione e razzismo in "Edison City" e "Crash"
La strega Bellucci coi fratelli Grimm
il dopoguerra secondo Pupi Avati


COMMEDIE, intrighi, corruzione e favole. Come quella raccontata da Terry Gilliam in I fratelli Grimm, con una spaventosa Monica Bellucci nei panni di una strega. Arrivano nelle sale anche La seconda notte di nozze di Pupi Avati, la commedia al femminile In her shoes con Cameron Diaz e Toni Collette, la difficile convivenza razziale in Crash, poliziotti corrotti in Edison City, il francese Tutti i battiti del mio cuore.

Tra la miseria e le devastazioni dell'immediato dopoguerra, una vedova è costretta a lasciare Bologna e si trasferisce con suo figlio in Puglia, dal cognato, da sempre innamorato di lei. Il suo arrivo porta scompiglio nella vita quotidiana della masseria, tra vecchi rancori e nuovi sentimenti. Pupi Avati racconta un'Italia affamata, ingenua e imbrogliona in La seconda notte di nozze (01Distribution), interpretato da Katia Ricciarelli, Neri Marcoré, Antonio Albanese.

In her shoes - Se fossi lei
Maggie e Rose (Cameron Diaz e Toni Collette) sono due sorelle completamente diverse, che hanno in comune solo il numero delle scarpe. Dopo un terribile litigio, le due devono percorrere la difficile strada che le porterà a riscoprirsi, aiutate da una nonna (Shirley MacLaine) che credevano di aver perso per sempre. In her shoes (20th Century Fox) è una commedia dolce e amara diretta da Curtis Hanson ("L.A. Confidential" e "8 Mile"), tratta dal best seller di Jennifer Weiner.

Crash - Contatto fisico
A Los Angeles, tra solitudini, pregiudizi, piccole e grandi tragedie, tutti sono destinati a incontrarsi o meglio a scontrarsi. Crash - Contatto fisico (Filmauro) è un'istantanea provocatoria e ruvida della complessità del conflitto razziale nell'America del dopo 11 settembre. Il film è interpretato da Sandra Bullock, Matt Dillon, Don Cheadle, e segna l'esordio dietro la macchina da presa per Paul Haggis, già candidato all'Oscar per la sceneggiatura di "Million Dollar Baby".

Tutti i battiti del mio cuore
Tom è un ragazzo costretto a sbrigare affari loschi per il padre, ma un incontro casuale lo spinge a credere che potrebbe essere il pianista di talento che ha sempre sognato di diventare, seguendo le orme della madre concertista. Romain Duris (in questi giorni nelle sale anche nella commedia "Bambole russe") è il protagonista di Tutti i battiti del mio cuore (Bim) di Jacques Audiard, Orso d'argento a Berlino, ispirato a "Rapsodia per un killer" (1978) di James Toback.

Ogni cosa è illuminata
Jonathan (l'ex hobbit Frodo Baggins - Elijah Wood) è un ragazzo ebreo americano che decide di partire per l'Ucraina per cercare la persona che, durante la seconda guerra mondiale, aveva salvato suo nonno da un rastrellamento dei nazisti. Un viaggio sgangherato tra dramma e ironia in Ogni cosa è illuminata (Warner) di Liev Schreiber, tratto dal romanzo di Jonathan Safran Foer.

I fratelli Grimm e l'incantevole strega
L'eccentrico e visionario Terry Gilliam torna dietro la macchina da presa e racconta la sua favola ispirata ai fratelli Grimm e ai protagonisti delle loro celebri fiabe. Will e Jake Grimm, cantastorie cialtroni e truffaldini, approfittano della povera gente fingendo di liberare la terra da demoni e maledizioni. Finché non arrivano in un villaggio dove i bambini spariscono veramente in una foresta incantata, senza fare più ritorno a casa. Heath Ledger e Matt Damon sono i protagonisti di I fratelli Grimm e l'incantevole strega (Buena Vista) con Monica Bellucci nei panni dell'orribile e mostruosa strega.

Edison City
Storia di ordinaria corruzione nei distretti di polizia di una città americana. Un giornalista, un reporter e un investigatore di un importante ufficio di Stato instaurano un'insolita alleanza per smascherare un gruppo di poliziotti corrotti. Edison City (Andrea Leone Films) diretto da David J. Burke, è interpretato da Morgan Freeman, Ll Cool J., Kevin Spacey, e segna il debutto al cinema della popstar Justin Timberlake.
http://www.repubblica.it/2005/k/sezioni/sp...e52/cine52.html
 
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verbenasapiens
view post Posted on 18/11/2005, 21:44




La marcia dei pinguini
di Luc Jacquet
(Francia 2005)
Non è un documentario. E’ un film di finzione perché i pinguini soffrono, si emozionano, soprattutto parlano (in italiano con la voce di Fiorello, in originale grazie addirittura a tre attori, che prestano le loro voci a tutta la famiglia, al padre, alla madre e al piccolo). Ma questo non impedisce che di fronte alle titaniche peripezie che i pinguini imperatore – i più grandi fra le diciassette famiglie di pinguini - devono affrontare per poter portare a buon fine il loro ciclo vitale si rimanga a bocca aperta. Come davanti alla scoperta di un mondo ignoto che ci viene rivelato per la prima volta (che poi dovrebbe essere lo scopo di un documentario, il che torna a ingarbugliare le carte nel definire questo film…).


A essere raccontata è l’incredibile odissea che i pinguini imperatore compiono ogni anno, verso febbraio (quando cioè termina pressappoco la loro estate: non dimentichiamo che vivono in Antartide, nell’emisfero dove le stagioni sono all’opposto delle nostre) e lasciano i mari pescosi in cui vivono per dirigersi lungo il pack in un posto "sicuro" a cui li indirizza il loro istinto e dove potranno riprodursi. Un posto, va notato, che spesso dista anche più di cento chilometri dal mare e che i pinguini raggiungono con il loro passo caracollante. All’inizio di aprile, quando finalmente i pinguini hanno raggiunto l’oamok (una zona della banchisa relativamente protetta dai venti dominanti di sud-est che battono in permanenza la regione) cominciano i corteggiamenti e gli accoppiamenti. Ci vogliono un paio di mesi perché nasca un solo uovo da ogni femmina, che a questo punto lascia il compito della cova al maschio e torna sui suoi passi (rifacendo i cento/centocinquanta chilometri dell’andata) per tornare al mare e mangiare, visto che da quando ha abbandonato il mare è a digiuno. Così come è a digiuno il maschio che però non può abbandonare l’uovo. Non solo, deve tenerlo costantemente sollevato dal ghiaccio, sopra le zampe, e coperto dalle calde piume dell’addome. Una posizione scomodissima, resa ancora più difficile dal freddo che scende e dai venti che nonostante i ripari naturali arrivano fin qui. Unica difesa, lo stringersi di tutti contro tutti così da offrire il minor spazio possibile al freddo e proteggere le uova. Quando il piccolo rompe l’uovo e il padre è ormai digiuno da quattro mesi ecco che la madre come per miracolo riappare, sfamata al punto da poter rigurgitare il cibo e nutrire il piccolino, lasciando finalmente al maschio la libertà di rifare il percorso all’inverso (si tratta sempre di cento/centocinquanta chilometri) per arrivare finalmente al mare e nutrirsi. E così di seguito, con un genitore che accudisce il piccolo e l’altro che torna a cibarsi, fino a dicembre quando il duro inverno polare finisce, la banchisa si scioglie e tutta la famiglia può tornare all’acqua per permettere al piccolo pinguino imperatore di misurarsi finalmente con il mare aperto. Una storia incredibile che Luc Jacquet e due operatori davvero eroici (Laurent Chalet e Jerôme Maison) hanno filmato con un coraggio e una costanza invidiabili (il freddo, che può toccare anche i meno sessanta gradi, c’era evidentemente anche per loro, non solo per i pinguini) e che ci torna sullo schermo sotto forma di favola naturalistica. Per i nostri gusti un po’ troppo "ingabbiata" dentro un commento emotivo e non solo esplicativo, ma indubbiamente capace di tenerci con gli occhi incollasti allo schermo per tutta l’ora e mezza della sua durata.

Lord of War
di Andrew Niccol
con Nicolas Cage, Ethan Hawke, Jared Leto, Bridget Moynahan, Ian Holm (Usa 2005)
Basta mettere in fondo al film una didascalia dove si dice che i cinque maggiori produttori di armi al mondo sono i cinque Paesi che siedono nel consiglio di sicurezza dell’Onu? Basta per sentirsi a posto dopo due ore in cui un venditore di armi, anzi «un signore della guerra» come dice il titolo, è stato descritto con un simpatico mascalzone, che non può fare a meno di fare quel mestiere perché «non si combatte contro la propria natura»? No, decisamente no! La logica del film di Andrew Niccol è quella del siamo tutti nella stessa barca, siamo tutti mascalzoni e quindi nessuno è mascalzone davvero: non è denuncia questa, è complicità!

Per due ore il film racconta le straordinarie avventure di un ucraino emigrato a New York che scopre (dopo un assassinio in un ristorante) che le persone hanno più bisogno di armi che di cibo. Così lascia il ristorante dei genitori e si mette a vendere armi. Senza nessun problema: né di logica (certe trovate per aggirare la legge fanno sorridere finchè non ci si domanda della loro credibilità) né di morale (anzi, certe scene, come quella della bambina senza braccio che chiede se le ricrescerà, sembrano fatte apposta per mettere in burla certi temi). Vendere armi in Africa o far la corte a una modella alle Barbados richiede la medesima qualità: un po’ di faccia tosta e tanta abilità nel raccontare balle! Ne esce uno di quei film ricchi solo di cinismo, dove alla fine qualcuno ci rimette la vita perché ha un sussulto di moralità ma senza che il film aiuti davvero lo spettatore non dico a prendere una posizione sul tema ma almeno a capirne un po’ di più, se si eccettuano i soliti luoghi comuni sul fatto che tutti sono complici di tutti e quindi tutti possono dichiarsi innocenti. Per continuare imperterriti a fare quello che hanno sempre fatto. Grazie, ma di un film così ne facciamo volentieri a meno.

L’ignoto spazio profondo
di Werner Herzog
con Brad Durif e i membri di una spedizionescientifica della Nasa (Germania/Francia/Gran Bretagna 2005)
Che dire di un film che si conclude ringraziando la Nasa “per il suo valore poetico”? Per lo meno che si tratta di un film fuori dall’ordinario. E “L’ignoto spazio profondo” è proprio un film inclassificabile, magico, unico. A rigor di logica dovrebbe essere un film di fantascienza: c’è un alieno (con la faccia un po’ triste di Brad Dourif) che si rivolge allo spettatore e gli racconta da una parte il fallimentare tentativo, suo e dei suoi simili, di installarsi sulla Terra e dall’altra l’altrettanto fallimentare tentativo di una spedizione scientifica terrestre di trovare un qualche ambiente vivibile nello spazio.
Ma la logica di questo racconto finisce ben presto per ingarbugliarsi e sparire, per lasciare spazio a una serie di immagini e suoni assolutamente insoliti e inaspettati, dove quelle che dovrebbero essere riprese sotto il pack polare diventano le immagini di un pianeta coperto di elio liquido dove il cielo è ghiacciato (!) mentre i resti disabitati di un mall sarebbero gli edifici creati dagli alieni per “comunicare” con gli umani. A Herzog evidentemente non interessa immaginare il nostro prossimo futuro con un qualche elemento di credibilità: lui vuole solo trasformare in immagini una serie di fantasie personalissime che ha coltivato negli anni. E la cosa straordinaria è che ci riesce, grazie anche a una colonna sonora ipnotica e affascinante dove nenie senegalesi si alternano a cori popolari sardi. Certo, lo spettacolo non è certo per tutti, ma se si è disposti a farsi condurre per mano dalla fantasia di Herzog, senza voler ad ogni momento far ricorso alla propria razionalità, la visione di questo film può riservare molte sorprese.

Il sole
di Aleksandr Sokurov
con Issey Ogata, Robert Dawson, Kaori Momoi, Shiro Sano, Gregory Pitskhelauri (Russia/Francia/Italia/Svizzera 2005)
Per Sokurov la Storia assomiglia a una lente che mette a fuoco un particolare e ci aiuta a vederlo meglio più che a un flusso temporale che scorre davanti ai nostri occhi. Lo si era intuito con «L'arca russa» dove due secoli di storia finivano per essere «congelati» e imprigionati dentro le stanze dell’Ermitage di San Pietroburgo.
Alla stessa logica sembra rispondere anche il trittico di film dedicati ai grandi dittatori del Novecento che dopo l’Hitler di Moloch e il Lenin di Taurus (quest’ultimo inedito in Italia) si conclude adesso con Il sole dedicato all’imperatore Hiroito. Il titolo si riferisce all’ascendenza divina di cui poteva fregiarsi il sovrano assoluto del Giappone, a cui rinunciò proprio nei giorni in cui si svolge il film: quelli della capitolazione definitiva alla fine della seconda guerra mondiale e del confronto con il comandante delle truppe nemiche, il generale americano MacArthur. Scegliendo di immergere tutto il film in un’atmosfera livida e nebbiosa, dove i confini della realtà sembrano pian piano svanire davanti ai nostri occhi (ma senza nascondere la tragicità di un Paese ridotto letteralmente a un cumulo di macerie), Sokurov finisce per svilire ogni possibile rimando all’attualità storica, a favore del ritratto di un uomo schiacciato sotto responsabilità non interamente sue. La tragicità di Hiroito, per la quale il film dimostra comprensione se non addirittura ammirazione, è proprio quella di un uomo che vorrebbe occuparsi solo degli amati studi di biologia marina e che invece deve affrontare una realtà che tutti hanno cercato di tenergli lontano. Così che quando deve sottomettersi alla cerimonia delle fotografie da parte dei giornalisti americani dà l’impressione di non capire nemmeno l’umiliazione (e il disprezzo) a cui deve sottoporsi. Ne esce un ritratto totalmente tragico, dove la “stanchezza” di sentirsi dio si intreccia con la pesantezza di un mondo schiacciato dalla cupezza, che Sokurov rende con pochi, precisi elementi estetici: la scarsità di illuminazione, la povertà di dialoghi, la visionarietà della ricostruzione (i pesci gatto che diventano bombardieri ostili, i cumuli di macerie e i fuochi che segnano i viaggi in macchina dalla dimora imperiale al quartier generale americano) e un senso di stanchezza esistenziale che sembra contagiare tutti, vincitori e vinti.
http://www.corriere.it/Rubriche/Cinema/
ci sono pure i trailer nel link...certo che ci sono firme importanti... smile.gif
 
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verbenasapiens
view post Posted on 26/11/2005, 20:16




Cinema: tutte le uscite del week end dominato da Harry Potter

A cominciare dal torbido "L'educazione fisica delle fanciulle"
Gassman, Bernal, Jacqueline Bisset
ecco i divi che sfidano Harry Potter
L'attore italiano protagonista di "Transporter Extreme", prodotto
da Besson. Da segnalare anche il melò familiare "The King"
di CLAUDIA MORGOGLIONE


Nel fine settimana dominato dall'uscita dell'Harry Potter numero quattro, lo spettatore disinteressato alle avventure del giovane mago può scegliere tra le torbide atmosfere di un collegio per signorine (L'educazione fisica delle fanciulle), un inedito Alessandro Gassman tutto azione e adrenalina (Transporter: extreme), il sexsymbol Gael Garcia Bernal impegnato in un drammone familiare (The King), l'avventura spaziale raccontata da Werner Herzog (L'ignoto spazio profondo). E altro ancora.

L'EDUCAZIONE FISICA DELLE FANCIULLE. Genere: drammatico. La storia, diretta da John Irvin e tratta dal romanzo di Wedekind, è ambientata in Turingia tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento. Tutto ruota intorno a sei fanciulle sedicenni, ospiti fin dall'infanzia in un lussuoso collegio dove apprendono danza, musica e buone maniere, sotto la guida di istitutrici intransigenti e severe. Ma alcuni episodi inquietanti squarceranno il velo sui torbidi segreti custoditi dall'istituzione. Protagonista una sempre bellissima Jacqueline Bisset. Per voyeur più o meno raffinati.

TRANSPORTER: EXTREME. Genere: azione. Alessandro Gassman è tra i protagonisti di questo film prodotto da Luc Besson e diretto da Louis Leterrier (la stessa accoppiata di Danny the Dog), che a sorpresa è stato campione d'incassi negli Usa. Trama: un ex mercenario scorta a scuola il figlio di un boss dell'antidroga; quando il piccolo viene rapito, farà di tutto per ritrovarlo, in una classica corsa contro il tempo. Per adrenalici impenitenti.

THE KING. Genere: drammatico. Il divo latino più emergente, Gael Garcia Bernal, è l'interprete principale - col veterano Wiliam Hurt - di questo melò diretto da James Marsh. Al centro della vicenda un giovane ex marine che va alla ricerca del padre, scopre che è un pastore battista, conosce la sorellastra sedicenne... Per amanti delle storie a tinte forti.

IL GUSTO DELL'ANGURIA. Genere: drammatico. Pellicola cinese diretta da Tsai Ming Liang. Tutto ruota intorno a una grave siccità, che costringe i protagonisti della vicenda a barcamenarsi in maniera differenti: la tv consiglia di bere succ d'anguria; chi ruba acqua dai bagni pubblici... Per esteti filo-asiatici.

... E DOPO CADDE LA NEVE. Genere: documentario. Il 23 novembre del 1980, un devastante terremoto colpì l'Irminia, provocando migliaia di morti e la distruzione di interi paesi. Venticinque anni più tardi, un documentario girato da Donatella Baglivo, e con al centro la vicenda di due ragazzi, permette di ripercorrere questa grande tragedia italiana. Per appassionati di storie vere.

SERENITY. Genere: fantascienza. Il film si basa sulla serie televisiva Firefly, trasmessa dalla Fox, creata dallo stesso autore di cult come Buffy e Angel. Protagonista la truppa spaziale della Serenity, disposta - dopo la guerra galattica - ad accettare qualsiasi incarico. E così si ritrova a bordo due fuggitivi... La regia è di Joss Whedon. Per adolescenti "stellari".

NOME IN CODICE: ENIGMISTA. Genere: horror. Ancora una volta, una storia di serial killer.Un gruppo di ragazzi, dopo la morte di una donna, per gioco fornisce l'elenco di una serie di persone che sarebbero nel mirino dello stesso assassino; ma poi queste persone cominciano a morire sul serio... dirige Jeff Wadlow. Per paura-dipendenti.

L'IGNOTO SPAZIO PROFONDO. Genere: fantascienza. Il cineasta tedesco Werner Herzog alle prese coi misteri del cosmo. Il film narra di una missione di astronauti in una navetta che gira intorno alla Terra, e che non può più tornare... Per nostalgici delle odissee spaziali.

HARRY POTTER E IL CALICE DI FUOCO. Genere: fantastico. Quarta puntata delle avventure dell'ex maghetto (ormai è cresciuto, e col lui l'attore Daniel Radcliffe che lo interpreta) creato da J.K. Rowling. Insieme ai soliti amici Hermione e Ron, il giovane Potter si iscrive a un torneo di Quidditch... ma finirà faccia a faccia col suo nemico più inquietante, il perfido Voldemort (Ralph Fiennes). Per adolescenti un po' esoterici.

ZUCKER! - COME DIVENTARE EBREO IN 7 GIORNI. Genere: commedia. Dani Levy prende in giro usi, costumi e manie del suo popolo, e insieme fornisce un ritratto della Germania dei nostri giorni. Trama: un uomo sull'orlo del fallimento, per ricevere l'eredità della madre ebrea e da lui ripudiata, dovrà fingersi osservante e riconciliarsi col fratello ortodosso. Per umoristi politicamente scorretti.
http://www.repubblica.it/2005/k/sezioni/sp...e54/cine54.html
Io spero di vedere Harry Potter wink.gif
 
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Rachael
view post Posted on 26/11/2005, 21:06




Anche a me attira solo Harry Potter smile.gif
 
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verbenasapiens
view post Posted on 2/12/2005, 21:21




Mr. & Mrs. Smith
di Doug Liman
con Brad Pitt, Angelina Jolie, Adam Brody, Kerry Washington, Stephanie March, Jennifer Morrison, Chris Weitz (Usa 2005)

Nel gergo dei critici si chiamano "commedie di rimatrimonio" e il termine, coniato da Stanley Cavell (apprezzato professore di filosofia con una passione per il cinema), serve a indicare quel sottogenere della commedia, frequentato soprattutto negli anni Quaranta e Cinquanta, dove una coppia in crisi e in procinto di separarsi, attraverso una susseguirsi di schermaglie più o meno esplosive, finiva per rimettersi insieme. Si ri-sposavano.

Qualche titolo? L’orribile verità di Leo MacCarey con Cary Grant e Irene Dunne, Scandalo a Filadelfia di George Cukor con Katherine Hepburn e Cary Grant (e James Stewart come terzo incomodo) e il suo remake musicale Alta Società (di Charles Walter con Bing Crosby, Grace Kelly e, terzo incomodo, Frank Sinatra), La costola di Adamo di George Cukor con Katherine Hepburn e Spencer Tracy. O anche Il signore e la signora Smith di Alfred Hitchcock con Robert Montgomery e Carole Lombard. Se anche nel titolo, lasciato in originale dal distributore italiano esattamente com’era il titolo originale del film di Hitchcock, si "cita" quel piccolo gioiello, qualcuno dubita che ci troviamo di fronte a una “commedia di rimatrimonio”?
E infatti il film di Doug Liman comincia proprio davanti a un consulente matrimoniale, con i due coniugi Smith intenti a raccontare lo stato (periclitante) della loro unione. A far precipitare il matrimonio arriva poi la scoperta – reciproca – dei lavoro che marito e moglie svolgono l’uno all’insaputa dell’altro: entrambi killer professionisti, finiti in rotta di collisione quando i rispettivi datori di lavoro danno a ognuno l’ordine di eliminare l’altro. Nelle vecchie commedie con Katherine Hepburn e Spencer Tracy i coniugi si affrontavano a suon di battute e occhiatacce; oggi Brad Pitt e Angelina Jolie si scaricano addosso un intero arsenale di armi automatiche (e non solo), ma il resto non cambia molto e non sveliamo niente se diciamo che alla fine l’uno cade nelle braccia dell’altra, anteponendo l’amore coniugale al dovere professionale (con un tocco in più per gli amanti dei rapporti tra cinema e vita, dal momento che arrivati scapoli alle riprese, Brad Pitt e Angelina Jolie ne sono usciti come la nuova coppia alla moda di Hollywood). Certo, la trama non è certo nuova, il finale anche prevedibile, ma il ritmo non perde quasi mai un colpo, le battute strappano più di un sorriso e i due attori mettono in gioco una certa piacevole dose di autoironia, capaci di far passare senza problemi le quasi due ore del film.
Chicken Little – Amici per le piume
di Mark Dindal (Usa 2005)

Diciamo subito: il primo film completamente animato digitalmente della Disney (che fino a oggi aveva solo distribuito film realizzati con questa tecnologia, come quelli della Pixar) non è certo un capolavoro. Anzi, lascia molto a desiderare.


La storia è sfilacciata e stranamente composita, l’animazione non proprio indimenticabile, il disegno a volte un po' spigoloso e frettoloso (il sindaco-tacchino, che nell’edizione italiana ha la voce del sindaco di Roma Walter Veltroni, ne è uno degli esempi). In compenso il piano di marketing è capillare, la pubblicità ramificatissima e il successo al botteghino praticamente sicuro.
Anche perché il film è costruito sulla speranza di identificazione che può scattare tra il pubblico e i complessi che mettono in scena i vari protagonisti. Sembra questa, infatti, la nuova strategia Disney: non tanto inventare una nuova, avvincente storia ma cercare il problema psicologico che possa accendere la simpatia (e se possibile l’identificazione) del pubblico. Infatti l'occhialuto polletto Chicken Little non ha particolari qualità o difetti se non quello di soffrire per la mancanza di fiducia del padre. Mentre i suoi amici sono la messa in scena della paura di non essere bella (per Alba Papera) o di avere gusti non proprio maschili (per Aldo Cotechino). Una specie di campionario di complessi e problemi adolescenziali, che la storia (davvero il cielo sta cadendo sulla testa degli abitanti di Querce Ghiandose?) si incaricherà di risolvere. Ricorrendo all’immancabile partita di baseball e a un’invasione di alieni che sembra sfruttare un po’ troppo la popolarità del film di Spielberg sulla guerra dei mondi. Se il pubblico (e i dirigenti Disney) avessero voglia di confrontarlo con il dvd di Cenerentola appena uscito, il risultato sarebbe a tutto vantaggio del film vecchio di 55 anni!
Broken Flowers
di Jim Jarmush
con Bill Murray, Jeffrey Wright, Julie Delpy, Sharon Stone, Alexis Dziena, Frances Conroy, Christopher McDonald, Jessica Lange, Chloë Sevigny, Tilda Swinton, Mark Webber (Usa 2005)
Raramente ricordiamo al cinema una tale sintonia tra attore e regista, tra stile del film e recitazione del suo protagonista: sembra che non ci sia nessuna interruzione, nessuno iato, tra il volto disincantato e rassegnato di Bill Murray, con quel sorriso appena accennato di chi vorrebbe ridere ma cerca in tutti i modi di trattenersi, con quelle spalle un po’ cadenti, con i capelli che ogni tanto si ribellano al pettine, e, dall’altra parte, lo stile con cui film Jim Jarmush la ricerca "sentimentale" del suo protagonista: con uno stile piano e distaccato (viene da fare un paragone con lo stato mentale di chi si è appena fumato un joint), fatto anche di tempi morti e pause narrative (quelle riprese nello specchietto retrovisivo dell’auto).


Una simbiosi perfetta, da cui nasce il fascino e la bellezza di un film godibilissimo, che racconta la ricerca un po' controvoglia di uno scapolo cinquantacinquenne, spinto dall’invadente vicino eritreo (!) con il pallino delle storie gialle, a cercare chi sia mai la donna che, vent’anni prima, gli avrebbe dato un figlio. E che glielo ha fatto sapere con una lettera anonima scritta su carta rosa. Don Giovanni in disarmo, come gli dice l’ultima fidanzata che lo lascia all’inizio del film, e come ricorda allo spettatore il film che il protagonista sta vedendo alla televisione – Le ultime avventure di Don Giovanni di Alexander Kord (ma in originale è, significativamente: The Private Life of Don Juan) – Bill Johnston usa auto e aereo per andare a trovare le possibili madri del suo possibile figlio: quattro incontri, più uno al cimitero, a loro modo strazianti e divertentissimi, ognuno con una sorpresa finale, tutti indimenticabili grazie anche alla prova delle quattro straordinarie attrici che interpretano le ex amanti:la "squinternata" Sharon Stone, la "compunta" Frances Conroy, la "rinata" (anche sessualmente) Jessica Lange e la "arrabbiata" Tilda Swinton. Un viaggio dentro quello che non è più (e forse non è mai stato) il sogno americano, un viaggio dentro i misteri dell’animo umano e dei rapporti d’amore, per arrivare a un finale dove il protagonista può solo dire che il passato è passato, il futuro deve ancora venire e quello che conta, casomai, è il presente. Un film da non perdere. Un piccolo capolavoro.
http://www.corriere.it/Rubriche/Cinema/
nel link ci sono pure i trailer
 
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Maximus05
view post Posted on 10/12/2005, 18:07




L'enfant – Una storia d'amore
di Jean-Pierre e Luc Dardenne
con Jérémie Renier, Déborah Francois, Jérémie Segard, Fabrizio Rongione, Olivier Gourmet (Belgio/Francia, 2004)

Non sono mai film «come gli altri» quelli dei fratelli Dardenne. Né per lo stile né per le storie che raccontano. E si sbaglierebbe a considerare i loro film delle specie di evoluzioni del loro primitivo lavoro sul documentario. L'uso della macchina a mano (comunque non digitale) e la scelta di argomenti presi dalla vita di tutti i giorni potrebbero trarre in inganno. Ma poi, a guardarli bene, ti accorgi che di «improvvisato», di «rubato alla vita» non c'è quasi niente. Forse niente del tutto.

Il lavoro sul montaggio su cui è costruito per esempio il film Rosetta è straordinario. Straordinario almeno quanto è «invisibile». I due fratelli belgi sono «metteurs en scène» nel vero senso della parola, perché decidono ogni minimo dettaglio di quello che arriverà sullo schermo. Controllano tutto, a partire dalla sceneggiatura che prevede ogni cosa (leggere quella dell'Enfant pubblicata nel libro Au dos de nos images, Editions du Seuil 2005, per l'ennesima conferma). La stessa cosa si potrebbe dire per i loro soggetti, che pescano nella realtà per poi trasfigurarla con una evidente ambizione morale. Di simile c'è, al massimo, la scelta di raccontare la vita stando dalla parte degli emarginati, degli sconfitti, dei deboli. Ma l'importante non è certo questo «contenutismo» sociale, l'importante nel cinema dei Dardenne è lo sforzo di scavare dentro le evidenze delle azioni per capirne le motivazioni vere, per misurarsi con l'animo delle persone.
Succedeva in Rosetta dove la rabbia e l'egoismo della protagonista erano gli strumenti con cui la ragazza pensava di dover affrontare la vita di tutti i giorni. Succedeva nel Figlio, dove i dubbi e le pene del falegname si rivelavano poi come percorsi obbligati per traghettare un padre senza più figlio verso l'assunzione delle proprie responsabilità di educatore (un po' come era successo, in un percorso inverso, anche in La promesse). Con L'Enfant la scommessa dei due registi belgi si fa più alta e azzardata: misurarsi con la vita stessa in uno dei suoi aspetti più assolutie diretti, il rapporto filiale. E metterla a confronto con alcuni dei (dis)valori che la società contemporanea ha finito per privilegiare, come il denaro.
Perché Bruno vuole vendere il figlio che ha appena avuto dalla sua compagna Sonia? Può bastare la risposta che «tanto ne possiamo fare subito un altro»? Può bastare la mazzetta di euro che trova al posto del piccolo dopo averlo abbandonato in una stanza? Per una buona parte del film i Dardenne imprigionano lo spettatore dentro il «ritratto» di questo delinquentello disadattato, privo di morale ma anche di autentica cattiveria, che sembra guidato dai propri istinti animaleschi (di sopravvivenza, di consumismo, di elementari soddisfazioni) più che da una autentica malvagità. Poi però, per la prima volta nella loro carriera, il percorso del film sembra incepparsi, arrancare, esitare. Il pentimento che alla fine tocca Bruno e lo costringe a un pianto liberatorio (dopo averlo spinto a confessare un furto e a finire in carcere) non ci sembra completamente giustificata dal percorso precedente del protagonista. E nemmeno dalla «gratuità» di una eventuale grazia. Per una volta gli elementi di religiosità che erano già affiorati nei film precedenti (specie nel Figlio) ci sembrano un po' troppo metaforici, sottolineati, esibiti. Come se la storia non potesse che concludersi con una specie di «colpo di scena spirituale», solo modo per trarre finalmente d'impaccio un film che aveva spinto verso conseguenze troppo estreme un metodo di lavoro straordinario.
http://www.corriere.it/Rubriche/Cinema/
ci sono i trailer nel link
 
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Maximus05
view post Posted on 17/12/2005, 18:29




King Kong
di Peter Jackson
con Naomi Watts, Jack Black, Adrien Brody, Andy Serkis, Jamie Bell, Kyle Chandler, Thomas Kretschmann, Lobo Chan (Nuova Zelanda/Usa 2005)

Forse non bisogna aver perso lo sguardo un po’ innocente della fanciullezza. Forse bisogna credere ancora nelle favole, del tipo che la Bella possa davvero innamorarsi della Bestia (e non solo viceversa) ma con queste premesse, praticamente obbligatorie per chi ama il cinema, la nuova versione di King Kong di Peter Jackson può essere una bella sorpresa. Jackson ha dichiarato da sempre la sua ammirazione per il film del 1933 di Cooper e Schoedsack e, almeno all’apparenza, gli resta molto fedele: stesso prologo nella New York ferita dalla Depressione, stesso incontro casuale grazie a una mela galeotta (nel 1933 solo sfiorata, qui decisamente rubata) tra il regista Carl Denham (Jack Black) e l’attrice disoccupata Ann Darrow (Naomi Watts), stesso viaggio sulla nave Venture verso una destinazione sconosciuta. Di diverso, e significativo, c’è la caratterizzazione dei due personaggi: Denham è un regista che non ha più la fiducia dei suoi produttori e che sembra infiammato da una passione a metà cinefila a metà mercantile; la Darrow è un’attrice del vaudeville con qualche abilità di ballerina e di comica. Ma soprattutto di nuovo Jackson (e i suoi cosceneggiatori Fran Walsh e Philippa Boyens) inventano il personaggio dello sceneggiatore Jack Driscoll (Adrien Brody), costretto a viaggiare con la troupe verso l’isola misteriosa, destinato a innamorarsi di Ann e decisissimo a salvarla (nel film del '33 Driscoll era il vicecomandante della nave).

Con questi aggiustamenti curiosi (visto che lo sceneggiatore impersona il buono e il regista invece è più vicino al cattivo di turno. O meglio all’affarista egoista), il film riprende i binari della vecchia edizione con l’arrivo nell’Isola del teschio, l’incontro con la popolazione nativa (qui decisamente aggressiva, a differenza di quella del '33), il rapimento di Ann per essere offerta al mostro Kong, con Denham, Driscoll e una parte dell’equipaggio che si mettono sulle sue tracce scoprendo di essere finiti in un’isola popolata da mostri preistorici. È a questo punto che il film di Jackson gioca i suoi due «assi», imprimendo al film una lettura decisamente più personale: da una parte sfrutta fino in fondo tutte le possibilità offerte dall’accoppiata tecnologia digitale/cinefilia, dall’altra ribalta i termini dell’attrazione tra la Bestia e la Bella facendo «innamorare» la donna della scimmia.

La fauna preistorica dell’Isola è il pretesto perfetto per mettere in campo un armamentario di tecnologie digitali davvero straordinarie, ai limiti quasi dell’incredulità (la fuga tra le gambe dei brontosauri pur realizzata perfettamente spinge troppo il pedale dell’avventura «impossibile»), con combattimenti di ogni tipo, strizzatine d’occhio a mezza storia del cinema ma anche la dichiarata volontà di non fermarsi alla «citazione» ma di portare lo spettatore su un terreno «già visto» per poi sorprenderlo con un inaspettato colpo di scena. Come nel combattimento con i tirannosauri che da «clone» kolossal di Jurassic Park diventa qualcosa di completamente diverso nella scena in mezzo alle liane del burrone. È l’anima della megaproduzione che si fa largo in queste scene e conquista la ribalta, superando per perfezione tecnica quanto si era visto fino a ieri e imprimendo alla storia un’andatura da film di avventure (più che da film fantastico/horror come era il King Kong del '33). Svelando così le preoccupazioni produttive e di marketing dell’operazione, tesa a catturare un pubblico anche più giovane (e più vasto) di quello che aveva fatto la fortuna della trilogia tolkeniana (pur con qualche concessione quasi-splatter, come nel primo incontro con la tribù nativa e nello scontro tra il gruppo degli inseguitori e gli insettoni giganti).

L’altra, sostanziale, differenza rispetto al film del 1933 è nel rapporto tra Kong e Ann che evolve quasi subito dall’attrazione provata dallo scimmione per la sua prima vittima bianca (e bionda) a un rapporto di reciproca tenerezza che trova la sua giustificazione nel bisogno di protezione della donna, accortasi che solo Kong può salvarla da tutti i pericoli dell’isola. Tanto che invece di attraversare il film mezza svenuta come faceva nel 1933, questa Ann Darrow finisce per condividere con il mega-gorilla anche un abbozzo di sentimento: per la bellezza del tramonto ma evidentemente anche per la sicurezza che la Bestia riesce a far provare alla Bella. Con una perdita irrimediabile, però: in questo modo sparisce dal film qualsiasi pulsione sessuale tra Kong e Ann, che nel romanzo di Wallace era esplicitato più volte, con scene addirittura di spoliazione, che nel film di Cooper e Schoedsack era fatta intuire in maniera piuttosto chiara ma che qui viene negata a ogni livello, compreso quello più banalmente visivo: sottoveste rigorosamente intatta (spalline comprese) e vestito che deve aver perso solo qualche bottone ma che continua a coprire pudicamente la protagonista. Le conseguenze di queste due scelte artistico/produttive si faranno sentire pesantemente nella parte finale, quando la troupe torna a New York con il gorillone cloroformizzato per esporlo come «l’ottava meraviglia del mondo». La liberazione dalle catene e la fuga per le strade di New York è più lunga e complessa di quella del film di Cooper e Schoedsack, con una precisione nella ricostruzione ambientale che ha del maniacale (le auto usate sono per la maggior parte autentiche e perfettamente funzionanti, i biplani della scena finale sono stati ricostruiti usando i progetti originali dell’epoca, conservati allo Smithsonian Institute) e l’intermezzo sentimental-comico sul laghetto ghiacciato di Central Park è la conferma obbligata del rapporto che esiste tra i due e la premessa necessaria allo straziante finale sul tetto dell’Empire State Building, dove la fuga con la propria preda (com’era nel film del 1933) diventa il combattimento per difendere la propria donna.

In questo modo, il film finisce quasi per prendere la forma di un melodramma, una specie di riflessione disperata sulla forza dell’amore e sull’impossibilita dello stesso, capace di rendere credibile il nuovo coinvolgimento dell’eroina nel già annunciato sequel (che dovrebbe essere un remake molto, molto libero di «Il figlio di King Kong», ambientato durante la seconda guerra mondiale). La versione di Peter Jackson finisce così per mettere in secondo piano la riflessione sul mondo del cinema e dello spettacolo, nonostante il personaggio più caratterizzato di Carl Denham, che però riduce praticamente tutto al diktat The Show Must Go On (e soprattutto la gente deve pagare un biglietto per vederlo), mentre mantiene le sue promesse sul piano dello spettacolo e dell’avventura, aggiungendo nel finale una capacità di commuovere che sicuramente avrà il suo effetto sull’andamento del botteghino.
Memorie di una geisha
di Rob Marshall
con Ziyi Zhang, Ohgo Suzuka, Ken Watanabe, Michelle Yeoh, Gong Li, Koji Yakusho, Mako, Samatha Futerman, Momoi Kaori (Usa 2005)
Esotismo da esportazione, della peggior specie, fatto tutto di controluce, paesaggi multicolori, musiche insinuanti (con Yo Yo Ma al violoncello e Itzhak Perlman al violino) e tutto quel folclore pseudo-orientale che speravamo dimenticato per sempre. Invece qui torna a piene mani per raccontare, sulla base del best seller di Arthur Golden, le disavventure di una ragazzina, Chiyo (Ohgo Suzuka), venduta dal padre a una casa di geishe. Che naturalmente dovrà affrontare le cattiverie del mondo, le gelosie delle donne e le passioni degli uomini per poter coronare il suo sogno d’amore.
Coreografo passato alla regia con Chicago, Rob Marshall cerca di trasformare tutto in un balletto, di caratteri o di numeri musicali poco importa. In questo lo aiuta il «misterioso» mondo delle geishe, di cui non dice praticamente niente (se non le crudeltà che – per soldi – si impongono l’un l’altra) e che ci racconta in uno stato di continua trans estetica, affascinato ora dall’acqua che scende da una grondaia, ora da un giardino in fiore, ora dal fumo di una sigaretta. Come se stesse girando uno spot per la Ridley Scott e C. Che però non dura 90 secondo ma due ore e venti minuti. Decisamente troppo, nonostante la bellezza incontestabile delle protagoniste: Ziyi Zhang nel ruolo di Chiyo da adulta, Michelle Yeoh in quella della «sorella» protettiva e Gong Li in quella della acerrima nemica.
Shanghai Dreams
di Wang Xiaoshuai
con Li Bin, Gao Yuanyuan, Tang Tang, Wang Xueyang, Yao Anlian (Cina 2005)
Forse per evitare di incorrere nelle censure che gli avevano bloccato il precedente «Le biciclette di Pechino», Wang sceglie di dire le cose in maniera non esplicita e di raccontare con meno cattiveria del prevedibile la crisi familiare e professionale di una famiglia «deportata» da Shanghai nel centro della Cina per lavorare in una fabbrica. Era successo negli anni Sessanta, quando la paura di un attacco sovietico aveva consigliato di decentrare alcune industrie essenziali ma quando comincia il film, all’inizio degli anni Ottanta, quel pericolo non c’è più e gli adulti si chiedono come poter tornare a Shanghai e assicurare un futuro migliore ai loro figli. Mentre i figli si chiedono come evitare le rigide regole educative dei genitori e conquistare quella libertà che la musica pop sta facendo loro conoscere. Il tema centrale del film è evidentemente il fallimento dei modelli maoisti di organizzazione sociale ma anche di educazione personale: un soggetto ancora tabù in Cina, che Wang affronta con mano leggera, sfumando le contraddizioni e distribuendo le colpe un po’ per uno, tra le vecchie e le nuove generazioni.

http://www.corriere.it/Rubriche/Cinema/?fr=tcol
King Kong è da VEDERE wink.gif
 
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*Ishtar*
view post Posted on 19/12/2005, 21:14




Appeno posso vedo King Kong che mi hanno detto essere molto lungo ma molto bello..insomma Jackson ha colpito ancora: gran bel regista wink.gif
 
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salvatores
view post Posted on 22/12/2005, 21:04




Feste al cinema, tra nozze gay
e la Aniston versione "Laureato"
di CLAUDIA MORGOGLIONE


Jennifer Aniston
Sullo schermo già ci sono un classico Pieraccioni, l'immancabile Boldi-De Sica, un kolossal come King Kong. Ma adesso, a ridosso di Natale, arrivano altre cinque pellicole a caccia del pubblico delle feste: da segnalare una Jennifer Aniston in ottima forma, protagonista di una commedia Vizi di famiglia, ispirata al cult Il laureato; i matrimoni gay spagnoli di Reinas; l'epica e l'avventura delle Cronache di Narnia; il cartoon d'autore Kirikù e gli animali selvaggi; la coppia di star Richard Gere-Juliette Binoche in Parole d'amore.

VIZI DI FAMIGLIA. Genere: commedia. Torna alla grande, Jennifer Aniston, diretta da un veterano del cinema brillante come Rob Reiner, in una storia che - come recita ironicamente il sottotitolo - è "tratta da un vero pettegolezzo". Lei infatti interpreta una giovane donna, giornalista per nulla in carriera con fidanzato al seguito (Mark Ruffalo), che torna a casa per il matrimonio della sorella (Mena Suvari, la Lolita di American Beauty). E qui comincia a credere di essere la nipote della mitica Mrs Robison del mitico film Il laureato: si convince, in pratica, che sua nonna (Shirley McLaine) aveva sedotto un giovane uomo, poi fuggito con sua madre. Da qui la ricerca del presunto padre, che si rivela essere un affascinante manager. Incarnato da Kevin Costner... Per cinefili ridanciani.

REINAS - IL MATRIMONIO CHE MANCAVA. Genere: commedia. Questo film spagnolo, diretto da Manuel Gòmez Pereira, affronta in chiave leggera un tema di grande attualità: i matrimoni gay. Protagoniste cinque donne (tra cui le almodovariane Carmen Maura e Marisa Paredes), alle prese con le nozze omosex dei rispettivii: c'è chi ne vuole approfittare per fare pubblicità al proprio albergo, chi dovrà anche celebrare i lieti eventi... una carrellata si personaggi e situazioni sempre un po' sull'orlo di una crisi di nervi. Per filo-zapateriani ironici.

KIRIKU' E GLI ANIMALI SELVAGGI. Genere: animazione. E' l'unica alternativa natalizia al cartoon Disney Chicken Little (nelle sale già da qualche settimana): un prodotto made in France, sicuramente raffinato, che riporta sullo schermo il piccolo eroe africano già visto in un'altra pellicola di successo, Kirikù e la strega Karabà. Entrambe frutto della fantasia dello scrittore e regista Michel Ochelot. Qui il bambino si trova ad affrontare diverse emergenze: una grande iena, un bufalo stregato, l'avvelenamento di tutte le donne del villaggio, compresa sua madre. Le musiche originali portano la firma di Youssou N'dour : nella versione italiana, l'esecuzione è del Coro dei Minisingers diretto Da Silvano Polidori. Per bambini curiosi del mondo.

LE CRONACHE DI NARNIA - IL LEONE, LA STREGA E L'ARMADIO. Genere: fantastico. Tratto da un classico della letteratura di genere inglese, scritto da C.S. Lewis, il film narra la storia di quattro ragazzini, tutti fratelli, che durante la Seconda Guerra mondiale scoprono di poter accedere a un mondo governato dalla magia (chiamato Narnia, appunto) attraverso l'armadio di una villa di campagna. Una volta entrati nel regno incantato, però, sono chiamati a sconfiggere la perfida strega bianca (Tilda Swinton); alleati al leone buono Aslan, che si sacrificherà per loro. Una trama che a molti è sembrata una celebrazione dei valori cristiani tradizionali. Ma sullo schermo a prevalere sono l'avventura e gli effetti speciali: a dirigere è uno specialista come Andrew Adamson, già regista dei due Shrek. Per adolescenti sognatori.

PAROLE D'AMORE. Genere: drammatico. Un film sofferto, intimista, interpretato dai divi Richard Gere e Juliette Binoche. Al centro della vicenda, lo sgretolamento di una famiglia apparentemente perfetta. Tutto comincia quando la minore dei due figli, Eliza, scopre di avere grande talento nelle gare di spelling: lo scandire correttamente le lettere delle parole difficili, disciplina molto diffusa tra i ragazzi americani. Il padre (Gere) la incoraggia a partecipare ai campionati nazionali, e in quanto ebreo vede nella bravura della ragazzina un segno divino. Ma intanto la madre (Binoche) e il fratello prendono direzioni diverse... La regia è di Scott McGehee e David Siegel. Per sentimentali un po' mistici.

http://www.repubblica.it/2005/l/sezioni/sp...e58/cine58.html
 
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petrus33
view post Posted on 14/1/2006, 08:54




Match Point
di Woody Allen
con Jonathan Rhys Meyers, Scarlett Johansson, Emily Mortimer, Brian Cox, Matthew Goode, Penelope Wilton, Ewen Bremner, James Nesbit, Rupert Penry-Jones (Gb/Usa 2005)
Non lasciatevi ingannare: è vero che non si ride in questo film, ma si tratta sempre di un Woody Allen di grande annata. Forse persino più grande del solito, se solo lo si lascia un po' decantare nella memoria e si è disposti a confrontarsi con un "moralista" che di solito si nasconde dietro le battute e qui invece lo fa dietro le citazioni.

Perché la frase detta all'inizio del film, sulla differenza tra fortuna e talento e sulla sua presumibile influenza sulla carriera di un giovane tennista, si rivelerà alla fine un ennesimo inganno. Vedrete, nel più bello del dramma, cosa vuol dire se una pallina viene rimandata indietro dalla rete. O, meglio, se una monetina viene rimandata indietro da una balaustra… Che Woody Allen sia un grande moralista, uno dei pochi rimasti nel cinema americano, mi sembra un dato di fatto incontestabile.
Tutta la sua carriera gira attorno ai temi della colpa e del rimorso, della punizione e della espiazione, anche se nella maggioranza dei casi venivano “mascherati” dietro a battute e gag. Chi si ricorda un film in cui non ci sia un tradimento, un marito che inganna la moglie, un’amante che cerca altre avventure? Anche in Match Point ci sono gli stessi temi: il protagonista, un giovane irlandese spiantato che ha sfondato grazie al suo fascino e alla sua bravura a tennis (è stato per un po’ anche professionista), si sistema sposando la ricca figlia di un finanziere ma la tradisce con un’aspirante attrice americana in trasferta a Londra, ex fidanzata del cognato.
Mancano le gag, ma non è una mancanza grave. Perché Allen dimostra un’insospettata abilità nel far crescere la tensione, nel creare angoscia e usa queste sue qualità troppo a lungo tenute nascoste per obbligare lo spettatore a fare i conti con la propria morale.
Sul tema del delitto senza castigo, Allen si era già misurato in Crimini e misfatti e, in maniere più laterali, in Ombre e nebbia. Qui, forse facilitato dalla trasferta produttiva in terra inglese e dalla coproduzione con la Bbc, sfodera una radicalità nuova, forse insospettata, quasi insostenibile. Se per tutta la prima parte cerca di farci provare simpatia per il suo protagonista (anche grazie a una “riscoperta” delle differenze sociali e delle divisioni in classi che non aveva mai avuto un gran diritto di cittadinanza nei suoi film), nella seconda parte ci mostra l’altra faccia dell’agiatezza raggiunta. E quali compromessi con la propria morale si possono accettare per conservarla.
È un Woody Allen filosofo quello che a un certo momento prende in mano il filo del racconto, che oltre agli spartiti di jazz sembra aver frequentato con una certa consuetudine anche Pascal e Dostoevskij, e che smonta pezzo dopo pezzo il mondo praticamente perfetto in cui ci aveva fatto entrare. Non solo dal punto di vista morale ma anche da quello figurativo se le eleganti atmosfere alla Henry James che dominano la prima parte del film diventano più acide e contraddittorie con lo spostamento dai campi di tennis e dalle ville di campagna alla nuova Londra della Tate Modern e dalla galleria Saatchi. E alla fine manda in frantumi persino quel tanto di hitchcockiano che aveva costruito (anche con insolite citazioni cinefile alla partita a tennis di Delitto per delitto): il re del giallo non avrebbe mai lasciato che un poliziotto non risolvesse un delitto, qui il re della commedia fa ben di peggio…

di Paolo Mereghetti

http://www.corriere.it/Rubriche/Cinema/?fr=tcol
 
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62 replies since 21/5/2005, 07:26   823 views
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